«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
EDUCAZIONE SIBERIANA
Nicolai Lilin
Einaudi 2009
Difficile esprimere un’opinione su questo libro, ci sono luci e ombre, ma non sono del tutto certo di cosa per me sia luce e di cosa sia ombra.
Quindi procedo a piccoli passi, didascalico.
Certamente lo considero un buon libro nel suo complesso, ricco di piccole vicende che si snodano sulla voce narrante, giocosa, ironica e ingenua.
Nel titolo, la parola chiave è nascosta, sepolta sotto lo spazio tra “Educazione” e “siberiana”, ed è “criminale”.
Il significato di “criminale” è il perno attorno il quale ruota tutta la narrazione. Criminale significa, come è ovvio, “dedito al crimine”, ovvero “fuori dalla Legge”. Questo nel significato comune. Che non è il significato che prende nella storia.
Per un motivo: non esiste “la Legge”, esistono diverse leggi, quindi “criminale” significa “fuori da una legge”, quella sbagliata, quella dei ricchi e dei poliziotti, quella degli altri, i non criminali, che non sono gli onesti, tuttavia. I criminali sono gli onesti.
È solo un cambio di prospettiva, niente di strano.
Nel mondo di Nicolai tutto è criminale, criminale siberiano, in particolare.
Le vicende e la storia descrivono una società tribale incastrata nella Transnistria, l’antica Bessarabia, parte dell’URSS a cavallo del crollo del ’89 poi Russia, né più né meno, dove ogni tribù è un mondo a sé, con la propria razza, le proprie regole, territorio, membri ed educazione. E gli incontri tra tribù, come sempre è stato, sono spesso sanguinosi.
Ma non è questo il punto.
I personaggi e le vicende hanno i tipici tratti disegnati con la matita grossa della tradizione slava, eccessivi fino all’inverosimile, caricaturali ed esagitati.
Ancora, neanche questo è il punto.
Il punto è l’iperviolenza che viene raccontata, continua, spontanea, a carrettate, ogni vicenda si conclude in esplosioni di violenza bestiale.
E mi domandavo perché, mentre lo leggevo.
È un’iperviolenza mista tra la truculenza intestinale all’Arancia Meccanica e la composta, medioborghese, perbenista iperviolenza dei vecchi western, con il bravo cow-boy dal viso da perfetta brava persona che ne ammazza dieci di quelli sporchi e scuri ogni volta che esce di casa, per poi ritrovarsi al saloon con la camicia intonsa e i pantaloni ancora stirati a dire “Giornata tranquilla oggi, i soliti venti o trenta stecchiti”.
Ecco, la storia di Lilin ha un po’ il sapore del vecchio western, genere degnissimo, naturalmente, sarcastico e moralista. Molto moralista, ti mostra il peggio, ma con garbo e col dito alzato. Un po’ di morale stile “dalla merda nasce un fiore” o “dietro la facciata pulita c’è il marcio”. Un po’ così.
Ultima cosa, meno didascalica: io cado dalla sedia (dal divano, per la verità) quando leggo termini come “casino”, “‘sto”, “‘sta”, “intortare”, “un tot” e altre stupidaggini del genere da banale gergo cittadino, che suonano bene nella prosa come un violino suonato con la suola di una scarpa.
O come se nel dialogo tra Ramon Rojo (Gian Maria Volontè) e Joe (Clint Eastwood), anziché esclamare “Gringo!”, “Sei morto!”, “Che ti succede Ramon, ti trema la mano?” e l’eternamente celebre “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto. Vediamo se è vero. Raccogli il fucile, carica e spara.”, avessero detto idiozie come “Hey brutto cazzaro!”, “Ti faccio un paiolo tanto!”, “Che casino stai facendo cagasotto?” e “Se c’hai la pistola e ti scazzi con uno col fucile, quello ti fa un tot di buchi. Fa un po’ vedere se è vero. Piglia ‘sto fucile e prova a sparare”.
Non è la stessa cosa, c’è un bel cazzo di differenza, ma tanta differenza.
Inspiegabile svarione editoriale, che lascia un retrogusto cattivo di prodotto, forse, fin troppo confezionato.
Nicolai Lilin l’ho conosciuto ed è veramente così, la sua vita è un intreccio per noi inverosimile, un vero personaggio dostojewskiano. Secondo me dopo tutto quel tumulto della sua vita in Transnistria ha trovato la pace in Italia, dove vive benissimo e parla un italiano perfetto