«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA VOCE DEL PADRONE
Stanislaw Lem
Traduzione di V. Verdiani
Bollati Boringhieri 2010
L’incontro con la Voce che viene dallo spazio, il Primo Contatto con i Mittenti.
Forse.
Stanislaw Lem passa per scrittore di fantascienza e per questo viene relegato negli scaffali etichettati “Fantasy” (chissà perché non si dice più “fantascienza”, penso per quel “scienza” che suona ostico ai lettori contemporanei, “fantasy” è per tutte le tasche).
Ma non lo è, o meglio, usa il genere fantascientifico per raccontare tutt’altro, disegnare metafore e narrare dell’uomo (suo è “Solaris”, dal quale l’omonimo film di Tarkowsky).
Nelle sue storie non c’è azione, non c’è suspense, la sua prosa è piana ed elegante, raffinata e difficile. Pretende attenzione, frase per frase, a volte riletture.
Non proprio quel che di solito s’intende con “fantasy”, quindi.
E parla del suo tempo, scriveva nella Polonia comunista durante la Guerra Fredda, e degli uomini, della scienza, degli scienziati, dei militari, della guerra, dei piccoli umani che si rotolano e barano difronte a quello che non conoscono, sempre preda dei loro istinti, ognuno i propri.
In questo libro descrive la storia di un fallimento degli uomini di scienza, ma parla di tutti, in realtà, perché nessuno sa davvero se quel messaggio che riceve sia veramente un messaggio, che cosa dica e se parli a noi o a chissà chi.
“La Voce del Padrone” non entusiasma né appassiona, perché non è scritto per quello, perché Lem è gelido nel lasciar cadere i pensieri, scientifico nel disporli e grandioso nel disegnare l’insieme, come un affresco verista.
Già, verista, nonostante scriva storie di fantascienza.
Bizzarra contraddizione, ma questo è Stanislaw Lem, può piacere o annoiare, dipende, ma se piace, è un sottile piacere intellettuale che sgorga dallo sforzo di riuscire a seguire il flusso analitico del suo narrare, rotto da lampi di estrosità creativa che appaiono improvvisi.
Lem è una sfida, non un passatempo né un maestro di vita o di favole.