«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL GIORNO DELLA LOCUSTA
Nathanael West
Traduzione di M. Morpurgo
et al./edizioni 2011
“Il giorno della locusta” di Nathanael West è uno di quei libri di cui per qualche inspiegabile ragione si perde traccia, semplicemente scompaiono, escono dai cataloghi degli editori e rimangono nella memoria solo come titolo (al più, forse, viene in mente un vecchio film).
Invece è un libro, del 1939, e vi dirò di più, tanto per rimanere sulle bizzarrie che si producono quando certi libri, misteriosamente, svaniscono.
Homer Simpson è uno dei personaggi de “Il giorno della locusta”, il più complesso e tragico dei suoi personaggi, lo stereotipo del fesso del Midwest trasferitosi a Los Angeles, il perdente tra i perdenti, la vittima delle vittime. Matt Groening, creatore de “I Simpson”, ha reso omaggio a Nathanael West, completamente dimenticato anche da wikipedia. Bizzarro, no?
“Il giorno della locusta”, ripubblicato nel 2011 da un piccolo editore, et al./edizioni, è un grande libro, il capostipite di quella letteratura che ha raccontato le miserie e le depravazioni del sottobosco che è cresciuto all’ombra degli Studios di Hollywood, gli sconfitti del sogno americano, gli scarti del mondo incantato del cinema. È quel mondo di case in stile “spagnolo” arrampicate sui canyon che in realtà sono catapecchie fetide, di combattimenti tra galli, cowboy delinquenti, nani e vecchi clown male in arnese. Ma soprattutto è il mondo delle aspiranti attrici che ancora non hanno avuto l’occasione perchè sfortunate, forse non avevano gli abiti giusti, eppure sono talmente meravigliose ed eteree che tutti gli occhi sono per loro, gli uomini s’innamorano, fanno pazzie, sacrificano ogni cosa.
Tutto ruota attorno a Faye.
Finché Tod non pronuncia la battuta cruciale: “È una baldracca!”Con quella il finale si apre come la coda di un pavone, grandioso nella sua tragica ironia e amara assurdità.