«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
Nello stratagemma dell’alter ego letterario c’è sempre un po’ di imbroglino, secondo me, perché il lettore legge e continuamente si chiede “ma è lui-lui che parla e che ha fatto queste cose e che pensa questi pensieri oppure non è lui ma è finzione, metafora, storie riportate?”
Naturalmente l’alter ego letterario deve condividere molto della storia dell’autore, luogo di nascita, vicende familiari, professione, aneddoti, tic, postura e tanto altro.
Insomma, bisogna confondere le acque e far girare la testa al lettore perché lo stratagemma dell’alter ego letterario funzioni, perché il lettore continui a rimanere appeso all’amo di quel dubbio e non si risolva invece a pensare che in fondo non ha nessuna importanza sapere se è lui-lui o l’altro che parla oppure che si stufi di fare l’altalena e sbotti dicendo “Oh insomma, adesso la finiamo però! Sei tu o non sei tu?”
Ecco, questo fa Antonio Pascale in “S’è fatta ora” e lo fa bene, devo dire. Per chi lo conosce dal suo blog, qui ritrova stile, prosa, vicende, personaggi e tic, un po’ tutto. Si può dire, penso, che il blog sia il proseguimento di questo libro del 2006, che per come è fatto, in effetti, non ha un capo e una coda, non è una storia che si chiude, ma è un discorso, anzi un’insieme di discorsi con tante storie piccole che poi si aggiustano in una storia più grande, a ben vedere.
Non so se sia corretto dire che lo stile è quello del “flusso di coscienza”, stile di nobile e stellare progenitura, però ne è stretto parente. In breve, significa che parla, parla, parla e parla… di questo, di quello, di su e di giù, ma in fondo parla sempre di sè e di come vede o vive tutto il resto.
Quindi, tutto dipende se quella voce piace o non piace.
A me piace, perché mescola cinismo, fatalità, ragione, ironia e quella brutalità della parola che deriva da un uso assai ben controllato e addomesticato della lingua.