«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IN UNA STANZA SCONOSCIUTA
Damon Galgut
Traduzione di C. V. Letizia
E/O 2011
Damon Galgut è ottimo scrittore e ne “In una stanza sconosciuta” cerca di fare una cosa difficilissima. Gli riesce per un terzo in modo sublime. Nel rimanente scrive un buon libro. E con questo voglio dire che ha fatto molto, non poco.
Il libro si compone di tre parti (adesso capite la faccenda dell’un terzo). Furono pubblicate separatamente su Paris Review.
Parla del distacco, in tutto il libro.
Del senso di distacco, dell’essere distaccati, da se stessi, da un’altra persona, di una persona che si distacca, di una parte di sè che si distacca, di una vita che si distacca, di un amore che si distacca, di un viaggio che si distacca dal viaggiatore, del senso dell’esistere che si distacca da qualunque luogo dell’esistenza.
Fino alle parole che si distaccano. Anche la voce e lo sguardo di una storia si distaccano. Questa è la cosa difficilissima che riesce a fare nella prima parte: distaccare la narrazione dalla trama, la voce dei personaggi dai personaggi stessi, le parole dal testo.
È un equilibrismo estremo, come camminare su una fune tirata sopra una voragine con il vento che soffia.
Nella prima parte, “Il seguace”, il risultato è meraviglioso. La narrazione è eterea, sospesa. Le frasi parlano della storia, ma non sembrano la storia, sembrano stare a metà, tra chi legge e la storia.
Non capisci chi parla, c’è una voce, “io”, “loro”, chi io? se loro sono loro, chi sei tu? quanti siete? due? tre? io-loro-io-loro-io-loro… poi ti accorgi che non c’è differenza, non devi chiedere, io chi?, oppure, loro?
È una voce che salta dalla prima alla terza persona, si distacca, ritorna, si distacca di nuovo. È una voce di uno dei personaggi, non il personaggio. Oppure, anche la voce è un personaggio, come preferite.
E lo stesso è la storia, di un incontro, che si trasforma in un’attrazione, che diventa un viaggio, che perde il senso del viaggiare per diventare camminare fino allo stremo, che si rivolta in uno scontro di potere, che si fa lontananza, che diventa riunione, ma non è rimasto più nulla. Neppure la trama, né un senso. Finisce, e basta.
Proseguendo con le altre due parti, la narrazione e la trama si riappropriano delle parole e della voce, non del tutto nella seconda parte, completamente nella terza. La trama acquista forza, la voce dei personaggi rientra nei loro corpi, gli avvenimenti trascinano la storia.
Sono belle e coinvolgenti anche queste parti, anzi più coinvolgenti della prima.
Ma quell’equilibrio instabile di attrazione e repulsione, parole e storia che si prendono e si lasciano, si perde dopo la prima parte e con quello anche l’inquietudine del lettore per essere lasciato solo dai personaggi.
Bravo Damon Galgut.