«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
Gottland
Mariusz Szczygiel
Traduzione di M. Borejczuk
Nottetempo 2009
“Gottland” l’ha scritto Mariusz Szczygiel (e vi sfido a pronunciarlo, io non ci riesco e non so neanche come si fa) e secondo me Nottetempo ne ha vendute dieci copie o giù di lì.
Eppure, nonostante le mie maldicenze perché non so dire il nome, ha vinto lo European Book Prize 2009 ed è un interessantissimo, buffo, assurdo e surreale reportage fatto di pezzettoni e storielline inverosimili eppur vere sulla Cecoslovacchia comunista.
Szczygiel è una specie di Kapuscinski (maestro inarrivabile del reportage), polacchi entrambi, meno epico ma più ironico, ed è bravissimo a scrivere. A tratti sembra un’opera buffa, con le maschere e le peripezie stralunate da arlecchini e balanzoni.
E stralunati lo erano parecchio in Cecoslovacchia, sotto il giogo del Partito Comunista più stupido dell’intero blocco sovietico.
Alcuni racconti sono memorabili, come la storia dello scultore che realizzò la statua di Stalin più grande del mondo, un colosso di cemento e granito di dimensioni ciclopiche e bruttezza smisurata che per il peso rischiò di demolire la collina sulla quale venne posto. Lo scultore, conscio delle fattezze orripilanti della sua opera, pare che decise di togliersi la vita dopo che un tassista gli rivelò che, da una certa angolatura, sembrava che la contadina, una delle figure di contorno a Stalin, tenesse la mano poggiata sul cazzo del soldato a fianco.
Poi c’è Kafka, anzi il suo spettro e tutti i luoghi storici della sua vita. Visitati da frotte di turisti e tutti rigorosamente falsi. Di vero c’è solo la nipote Vera, una vecchietta che sfugge ai petulanti intervistatori con una caparbia favolosa.
E la ricercatrice americana, alla quale, per la sua tesi su Kafka, suggerirono, per la sua incolumità, di omettere qualunque citazione a Kafka dal suo lavoro. Tutte, non avrebbe dovuto scrivere “Kafka” neppure una volta. Però avrebbe potuto usare l’espressione “quello scrittore”.
Quest’ultima storia non è vera, ma tutti quelli che la lessero dissero che poteva benissimo essere capitata.
Ce ne sono anche altre di storie, che non cito. Belle, parecchio, da sorridere e da pensare “Ma pensa che roba che succedeva”.