«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
AMORINO
Isabella Santacroce
Bompiani 2012
“Amorino” l’ha scritto Isabella Santacroce.
Non l’avevo mai letta.
Sa scrivere molto bene, anzi benissimo.
È una giovane donna che ama provocare.
Questo è quanto si può dire con facilità, volendo commentare “Amorino” e come si può ben vedere, trattasi di scempiaggini, visto che, a parte la prima frase, nessuna delle altre parla del libro quanto dell’autrice. E infatti, la trappola che la Santacroce tende è proprio quella di finire per commentare lei invece che il libro.
Mi diverte immaginarla mentre la prepara con cura, la trappola, per poi sistemarsi comoda a osservare i pesci che cascano nella rete. Sghignazzando.
È il trucco che giustifica l’esistenza della letteratura erotica femminile. Vengono i pruriti, a uomini e donne, leggendo il testo e pensando all’autrice.
Quindi, a me non me ne importa niente di Isabella Santacroce, santa, puttana, strega o madonna che sia. Iniziamo da qui.
La forma epistolare è perfetta per evitare il racconto e sbirciare invece direttamente tra i pensieri, e le mutande, dei personaggi. Laclos e molti altri lo hanno insegnato parecchio tempo fa: il filo dell’erotismo si tende al massimo nelle lettere e nei diari.
In “Amorino”, il filo dell’erotismo non è leggero e forte come seta, è un’accetta che fa a pezzi le pagine. La perversione sessuale e la depravazione morale sono un marchio a fuoco impresso sui personaggi, investono il lettore e lo scuotono. Ci sarà chi griderà alla sconcezza. Molti meno avranno il coraggio di confessare eccitazione. Ma, di nuovo, la Santacroce tende una trappola. La pornografia insita nella dilatazione dell’orifizio anale della madre penetrata dal figlio o nella pedofilia del prete schiantata dalla lussuria della bambina, sono il libro?
No, certo che no, questo non è un libro per lettori ingenui, ma per gente smaliziata che non si fa menare per il naso da immagini di sesso estremo e legge dietro.
Leggiamo dietro, allora.
Dietro, “Amorino” è gelido, non scalda, ricopre di ghiaccio, non illumina, scaraventa nel buio, non attrae, respinge, non respira, rantola e scatarra, si contorce dal dolore, abbagliato dai lampi bianchi della follia che acceca, arranca nella ricerca spasmodica e senza speranza dell’amore, che esiste, irraggiungibile, un miraggio per il quale uomini e donne strisciano nella lordura, come vermi.
Vermi.
Che divorano la carne. Divorano le pagine. Divorano i personaggi. Divorano il libro, chi lo legge e chi lo scrive, Isabella Santacroce, il personaggio, penetrata da tutto il male, illuminata dalla purezza dell’amore.
“Amorino” è pervaso da un’angoscia ipnotica che si spande negli occhi del lettore e lo attrae scalciandolo, lo abbraccia ferendolo, lo sporco trasuda dalle pagine sulle dita. È un incubo “Amorino”, che dura un attimo, ma sembra lungo una vita.
Non può essere un capolavoro, questo è il destino dei libri che riempiono di gelo, di sporco e di morte.
Ma è un libro che merita di essere letto e difficilmente lo si dimentica.
Brava Isabella Santacroce.
Molto bella quanto inattesa la recensione (e qui pecco della presunzione di chi cela dietro snobismo preventivo la propria ignoranza).
Bella perché invoglia a leggere il testo recensito, e questa e’ sempre una virtù in un mondo di dilagante analfabetizzazione di ritorno. Inattesa perché la sua lettura/ricerca nasce da un incontro casuale con l’autore della recensione, non la Santacroce :D
Un solo neo. Anzi per meglio dire, una sola mancanza: proprio nessuna esplorazione sul nome dell’autrice.
Possibile che “Isabella Santacroce” non abbia ispirato alcuna speculazione? Eppure ce ne sono di moventi.
Ad esempio: il colore Isabella definisce il colore “bianco sporco” e deriva dalla tonalità dei vestiti della Regina Isabella di Castiglia che fece voto di non cambiare la biancheria intima finche’ non fosse finito l’assedio (che duro’ più anni…). Forse potrebbe starci bene con il contenuto del libro, che non ho ancora letto, e quindi potrei ingannarmi.
Il cognome Santacroce si potrebbe proporre come gioco duplice: il richiamo a piazza Santa Croce di Firenze che nell’alluvione dell’Arno si colmo’ di acqua e fango ben oltre il metro di altezza sul livello della strada. Ma anche, per assonanza, alle Sante Crociate che di Santo avevano ben poco e nascondevano nefandezze dietro la sacralita’ del nome, così come Amorino cela, leggo nella recensione, gelo, morte, lordura; nulla a che vedere con la tenerezza che accompagna sentimenti gesti e pensieri quando io chiamo Amorcito (= Amorino) i miei bambini.
Nome e Cognome dell’Autrice potrebbero rappresentare entrambi occasioni di rechiamo a lordure fisiche che forse si riallacciano a quel “lo sporco trasuda dalle pagine sulle dita”, come commenta l’Autore della recensione.
Recensione che incuriosisce e, come e ‘ noto, la curiosità e’ uno dei segnali di intelligenza e risvegliarla e’ sempre ‘cosa buona e giusta’ (e mi piace utilizzare un linguaggio ecclesiastico che si contrappone con forza alla natura così terrena e panica di Amorino)
Dunque auguro buona lettura a tutti; a cominciare da me :D
Stellasempredifretta