«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
VENERATI MAESTRI
Edmondo Berselli
Mondadori
Leggo Edmondo Berselli, compianto, con il desiderio di trovare una voce fuori dal coro, ma non la solita voce fuori dal coro, di quelle che poi finiscono per fare il coro delle solite voci fuori dal coro, no, una voce solitaria, isolata, flaianesca. Questa la premessa alla lettura.
Il libro è divertente – talvolta ho fatto grasse risate per le sue trovate e le staffilate che rifila – dissacrante, prende i mostri sacri dell’immaginario intellettual-popolare italiano – Bertolucci, Benigni, Arbasino, Baricco, Nannimoretti tuttoattaccato – e li squarta, sghignazzando, li fa a pezzi, li sfiletta come dei cefali e se la ride.
Non solo loro, ovviamente, dagli artisti, cineastiletterati, passa a Sartori, Magris, Giulio Einaudi nume tutelare mito e leggenda dell’editoria, e ancora Bobbio, la Fallaci. Tutti ridotti in poltiglia sotto i colpi del sarcasmo e dissezionati con feroce ilarità.
L’accusa, seguita da condanna inappellabile, è il conformismo del quale sono intrisi fin nel midollo, l’autocompiacersi sempre e comunque, la falsificazione praticata in modo spontaneo, come fosse un riflesso condizionato.
Tutto ciò, in un panorama culturale suddiviso in tre categorie: quella delle “giovani promesse” dalla quale passano tutti, alcuni ci si fermano pure; quella dei “venerati maestri”, pochi, pochissimi, forse ormai estinti; e quella centrale, della virtù media, dei bravi lavoratori, dei “tengo famiglia”, insomma quella dei “soliti stronzi”.
Ed è alla categoria dei “soliti stronzi” che Berselli condanna tutti, o quasi, i suoi personaggi e interpreti.
Colpisce a sinistra e destra, più a sinistra che a destra, ma per motivi di quantità, se non altro, visto il deserto intellettuale sul lato destro dell’orizzonte, là dove per disperazione o rassegnazione si continua a rivangare un derelitto di protofilosofo insignificante come Evola e immancabilmente si rimesta nella poltiglia del pensiero liberale, senza mai afferrarne il senso, tuttavia. Per questo Ferrara si erge nel panorama intellettuale destrico italiano e Berselli quasi lo coccola, come si fa con una bestia un po’ repellente e puzzona, ma residuo rarissimo di una specie che si credeva estinta.
Però.
C’è un però, grosso e ingombrante.
Berselli gigioneggia, fa i ghirigori, infilza di qua e di là, con acume chirurgico, flaianeggia, appunto.
Ma Edmondo Berselli non è Ennio Flaiano e anzi, c’è un bel cazzo di differenza tra i due: Flaiano è stato scrittore sublime che scriveva degli italiani e dei loro vizi nascosti maldestramente sotto al tappeto; Berselli non è uno scrittore, ma un giornalista, un editorialista, al più un saggista, ma non ha né lo stile né il tocco sulle parole di un grande scrittore come Flaiano.
Viene dal Mulino, di Bologna, quella combriccola intellettual-politico-accademico-editoriale di cattolici liberali, a volte più cattolici che liberali, altre volte l’inverso, una strana mistura non a caso nata a Bologna, gente come Prodi, Matteucci, Pedrazzi, gente strana, allo stesso tempo troppo democristiani e troppo poco, troppo liberali e troppo poco, troppo autonomi e troppo poco, troppo integrati e troppo poco, troppo di destra e troppo di sinistra allo stesso tempo, troppo laici e troppo poco, strani, gente strana, commistioni tipicamente italiane.
Ecco, il “però grosso e ingombrante” con Edmondo Berselli è che alla fine sembra dirti “evvabbè, che ci vuoi fare?”, e lo vedi riprendere le sue riunioni editoriali, il tran tran, far parte di quella combriccola di intelligenti d’Italia con il cocktail in mano sulla terrazza romana insieme a pretoni, comunistoni, fascistoni e mignottone varie, fino alla prossima sbottata, libretto, plauso della critica e via di nuovo da capo.
Ho letto il tuo commento su « Venerati Maestri” che per me rappresenta un cult, nell’asfittico panorama editoriale italiano degli ultimi anni. Un libro ben scritto, pensato e capace di criticare lo scempio ideologico e politico che ci mitridatizza ( per utilizzare un termine caro proprio a Berselli). Tuttavia, la tua conclusione, su Berselli, parte del microcosmo dell’editoria che egli stesso rappresenta, credo che non sia del tutto adeguata. Lo conobbi, seppur indirettamente, e mi rappresentò il suo rammarico perché i suoi libri vendevano meno di 30.000 copie. Sì, è vero, erano pubblicati da Mondadori, ma lui non risparmiava nessuno e tantomeno in Mondadori. Veniva dalla scuola del Mulino, la stessa che ha formato intellettuali, sociologi, storici e politologhi, colti, anche se politicamente schierati, e contingenti alla sinistra clericale italiana. In fondo però, come dicono quelli che parlano bene, il sistema si cambia dall’interno. A mio avviso aver sbugiardato tutta la classe intellettuale italiana, anche se gli permetteva comunque di intrattenersi, cocktail in mano, in una lussuosa terrazza estiva, dove veniva presentato l’ultimo libro Mondadori, sicuramente non gli permetteva di scalare le vette dell’editoria. Personaggio a mio avviso sottovalutato. Accetto le tue osservazioni sulla maestria di Flaiano, ma ti consiglio di leggere dello stesso “Autobiografia del blu di Prussia”: libro frammentario dove l’abilità del narratore si coagula in alcune e sparute massime, lasciando il resto coperto da una cortina di nebbia, che neanche a Torino nei peggiori giorni d’inverno! Anche i grandi si nascondono dietro le ombre! Da “Autobiografia del blu di Prussia: “Se in un quadro i cattivi umori del pittore, le sue torbide malinconie, i sui errori, le sue sfrenate ambizioni condensano e s’esprimono, state certi che là, in quel punto, troverete la mia ombra, l’ombra del Blu”.
Ti ringrazio molto per le considerazioni e la correzione al mio commento. Anche per il suggerimento, che seguirò senz’altro e spero molto presto, perché leggere Berselli è salutare. .
Certo fa sorridere leggere “il suo rammarico perché i suoi libri vendevano meno di 30.000 copie”, davvero è finita un’epoca.