«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA TORRE
Uwe Tellkamp
Traduzione di F. Gabelli
Bompiani 2012
Tellkamp è un gigante tra i nani della letteratura contemporanea e “La Torre” è un capolavoro.
Il libro ha il respiro dei grandi austriaci, lo Stifter di Tarda Estate, L’Uomo senza Qualità di Musil, con quella prosa che sembra sgorgare da una sorgente infinita, i personaggi che si tirano e si respingono, il ritmo della narrazione scandito da onde lunghe oceaniche.
Eh sì, perché come si dice, è solo dopo le 500 pagine che un grande libro, da torrente bisbetico, si fa oceano inesorabile e potente e “La Torre” lo è, 1300 pagine di una Heimat letteraria della DDR, tragica e grottesca, meschina e sublime che ti sospinge avanti e avanti inebriandoti e alla fine, quelle pagine sono poche, ne vorresti altre mille, duemila, cinquemila.
Nella Torre brulicano storie di vite intrecciate dal caso che ha voluto che si pestassero i piedi, un po’ si bisticciassero e un po’ si scaldassero una con l’altra.
E ti rimangono dentro.
Riprendo questo commento a più di un anno di distanza dalla lettura e se anche ho perso i nomi dei personaggi e le vicende mi sovvengono a tratti grossi, quel sapore agro che pervade il libro, le tinte nebbiose, il contatto dei corpi, il volano della narrazione che gira, e gira, e gira e mi trascina sempre più dentro quella Torre, basta che chiuda gli occhi, riveda le pagine fini fini e l’immagine del libro aperto nelle mie mani, che subito ritorna il ricordo dolcissimo e l’amore per quelle parole.
Questo è l’effetto su di me di un grande libro come “La Torre”.
Pingback: I fratelli Ashkenazi – Israel J. Singer « 2000battute