«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
SOTTOSOPRA
Milena Agus
Nottetempo 2012
Romanzetto breve, fortunatamente breve, anche se stampato a caratteri grandi per farlo sembrare sufficientemente lungo per il prezzo che ha (tuttavia prudentemente acquistato al 50% di sconto, sospettando come sarebbe andato a finire) e straordinariamente noioso, nonchè straordinariamente impalpabile e pure straordinariamente privo di qualsivoglia tratto di originalità.
Insomma, questo libro, la professoressa di Lettere Milena Agus, della quale avevo letto vaghi commenti positivi, poteva anche evitare di scriverlo, l’editore risparmiarsi di pubblicarlo e io di leggerlo, anche se sono bastate poche ore.
La storia… mah non so… sempre la solita storiella un po’ patetica che molti di questi scrittori italiani giovani o giovanili o anche moderni riciclano ossessivamente: il paesello oppure il quartiere paesello oppure il condominio paesello, è sempre lo stesso, l’atmosfera non cambia mai, in più ci infilano anche frasi in dialetto, così, come un addobbo di Natale, non serve a un tubo, solo per fare polvere, soprattutto se, come fa la professoressa Agus, prima scrive la frasetta in sardo e e poi scrive “che vuol dire…” e la traduce, che io dico, Ma scusa, ma questa che parla bilingue, a chi parla? E soprattutto, ma come parla?, poi c’è il solito gruppetto di personaggi tratteggiati alla buona, uno un po’ così, uno un po’ cosà, tutti che vogliono fare gli strambi-normali, cioè la stramberia della normalità, la normale strambezza, non lo sanno neanche loro, secondo me, però ogni tanto cambiano, repentinamente, magari per un po’ sono in un modo poi sono in un altro, che secondo questi scrittori forse è come si fa per dare sussulti psicologici ai propri personaggi, e poi l’atmosfera un po’ famigliare ma con la necessaria dose di disgrazia o sfiga o marginalità, perchè sono poveri, o sono matti o sono tormentati dalla vita o dall’amore o dal non-amore o dal sesso o dal non-sesso, anche se non si capisce mai bene com’è che la vita di questi è tanto semplice, che io non ho mai conosciuto nessuno con una vita così semplice, poi… vado tutto di seguito che tanto va bene lo stesso… poi ci sono le vicende, che sembra una telenovela o un serial (non so la differenza), tutte cose dette in un modo da far sembrare straordinarie cose banalissime, solo che le accavallano, nel senso che sono cose banali ma che succedono a ritmo accelerato, proprio come in una telenovela, e poi ci sono queste emozioni esagerate e inspiegabili, cioè questi personaggi reagiscono sempre che sembrano degli squilibrati mentali, anche se non è questo l’intento, anzi, sarebbe tutto il contrario, dovrebbero sembrare pro-fon-di, dotati di profondità, la profondità dell’anima, e invece fanno come quegli attori di teatro che sono dei cani e declamano e usano il birignao e sbracano perché non sono capaci di recitare e questi lo stesso, non sanno cosa scrivere e quindi sbracano, fanno discorsi che non stanno nè in cielo nè in terra, e questa Agus, professoressa di Lettere che si mette a parlare di Dio, degli ebrei, degli omosessuali e dell’aborto e dell’amore tra anziani e del successo e del fallimento e dei bambini con i genitori gay e della morte e del sesso e pure dei “pugili preistorici” che sa solo lei cosa sono i pugili preistorici. Ma santiddio! Ma falla finita!
E se si vuole infilare una spruzzatina di sesso nella noia stratosferica, almeno (almeno!) che risulti leggermente più erotico di una confezione di detersivo; non basta, di punto in bianco, dire che lui la saluta dal cortile dandosi un bacio sulla mano, e quella che parla, che tra l’altro sembra pure un po’ deficiente (tipico di questi romanzetti di formazione, dove o ci sono giovani mica più bambini che parlano come dei ritardati mentali oppure bambini di pochi anni che discutono argomenti da filosofi), alla finestra si sdilinquisce e dice:
Non riuscivo più a muovermi, per l’emozione, il desiderio. Mi sono bagnata e non mi era mai successo neppure con le riviste pornografiche [ndA: questa fa l’Università, non le era mai successo, va bene]. Allora ho cominciato a masturbarmi, finché non ho trovato il mio ritmo [ndA: il ritmo di chi altri avrebbe dovuto trovare?], un piacere sconvolgente.
Ma che schifezza è questa? Se bisogna scrivere una penosità del genere, meglio non scriverla, si lasci stare la scenetta di sesso con quel “piacere sconvolgente” che sembra la pubblicità di una bambola gonfiabile. Oppure si impari da Isabella Santacroce come si fa a descrivere scene di sesso gotiche e depravate, ma che un colpo al lettore lo tirano.
Non ci siamo. Non ci siamo per niente, in niente.
Con la Agus ho aperto e chiuso dopo aver trovato “il sardo maso” (sic) non ricordo nemmeno in che libro
Spero tu sia una donna, così ti posso usare come scudo quando mi accusano di misoginia cronica nei confronti delle scrittrici :)