«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA SOLITUDINE DEL MARATONETA
Alan Sillitoe
Traduzione di V. Mantovani
Minimum Fax
Raccolta di racconti, il primo, il più lungo, dà il titolo al libro.
Ambientati tra le due guerre, nei sobborghi di Nottingham, poverissimi, quasi dickensiani per il grottesco col quale Sillitoe costantemente circonda la vita stentata dei personaggi, sempre all’affannosa ricerca di un modo per sbarcare il lunario.
Ragazzini ladruncoli, famiglie sotto la soglia di sussistenza, focolari lividi, alcool e botte, bande sbandate, la partita di calcio nella nebbia che il Notts perde, proprio alla fine e l’uomo, onesto meccanico, tornando a casa perde tutto anche lui.
Sillitoe racconta di sogni che durano un attimo, ma che si ripetono ingenuamente, della povertà che insegna a camminare guardando in terra, che un penny caduto a qualcuno si può sempre trovare (e lo stesso fanno i poveri moderni, per le ricche strade di Milano); fino all’ultimo racconto, bellissimo, il più esplicitamente autobiografico, con la banda di Frankie Buller, “un ventenne ritardato alla testa di un piccolo esercito di dodicenni”, in guerra con quelli di Sodom, che pensavano fosse il nome di una marca di qualcosa, mica sapevano cosa volesse dire.
Storie da un’altra epoca, terribile, ai cui protagonisti loro malgrado, dal destino inevitabile di vivere sul fondo, Sillitoe, uno che a quel destino riuscì a sfuggire, restituisce l’umanità che neppure loro sapevano di possedere.
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