«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
JOHN BERGER
a cura di Maria Nadotti
Marcos y marcos – Riga 32 – 2011
Bellissima monografia dedicata a John Berger e curata da Maria Nadotti.
Un applauso a marcos y marcos per questa pubblicazione che sembra un marziano sbarcato sulla Terra per quanto è avulsa ed estranea alla cacofonia di parolai e pubblicitari da supermarket che affollano il mercato editoriale.
È una finestra. Neppure troppo piccola a dire il vero.
Vi avvicinate, magari provenendo da una strada puzzolente di smog e starnazzante di colpi di clacson, l’aprite, vi sporgete un poco e ammirate il panorama maestoso di un orizzonte che si apre a perdita d’occhio, con colline di qua, montagne sullo sfondo, alberi, valli, fiumi, mucche al pascolo, sole, luna, un campo profughi, un pezzo di deserto della Palestina, l’aria fresca, Caravaggio e Mantegna, uomini, donne, poveri, dignitosi, libri, film, pittura, poesia.
Un panorama talmente vasto e ricco da far girare la testa, che quasi vi vien voglia di tirarvi indietro, chiudere quella finestra e riprendere il cammino per la strada puzzolente e starnazzante.
Ma non lo fate. Lasciate passare il primo momento di stordimento e vi immergete in quel panorama multiforme e incredibile.
Respirate.
Respirate a lungo, riempiendovi i polmoni.
Sempre di più.
Finché non ne potete più fare a meno.
Questo è John Berger.
Critico d’arte, poeta, scrittore, pittore, sceneggiatore cinematografico, saggista.
John Berger è uno degli ultimi grandissimi del Novecento, quasi risorgimentale nel suo essere onnivoro e camaleontico pur restando sempre e comunque se stesso, in ogni sua forma.
Uno storyteller, un cantastorie, un traghettatore di storie dalla sorgente a un pubblico, una voce e uno sguardo, qualunque sia la forma d’arte che usa.
Il suo talento, immenso, è di essere un osservatore.
Osserva la pelle delle persone, dei luoghi, delle cose e vi entra dentro.
Pelle.
Pelle.
Senza pelle non c’è umanità.
L’umanità di una persona nasce dalla pelle.
E di John Berger la prima cosa che si prova in maniera epidermica è l’umanità. Da ogni suo romanzo, racconto, commento sulla pittura o sul guardare o sul fotografare.
Umanità e pelle.
Questo fa di lui un maestro per molti.
Ogni cosa comincia con la pelle, la carne, la superficie di quel corpo, l’involucro di quell’anima. Che il corpo sia nudo o vestito, che l’estensione di quella pelle sia delimitata da una frangia di capelli, dalla scollatura di un abito, o dal profilo di un torso o di un fianco, fa poca differenza. L’unica cosa che conta davvero è se il pittore ha, o non ha, oltrepassato la linea di confine di quell’intimità immaginaria al cui limite estremo ha inizio una tenerezza vertiginosa. Ogni cosa comincia con la pelle e con ciò che la delimita. Ed è lì che trova anche la sua completezza.
Quando si disegna qualcosa di vivo – sto pensando a una pianta, un animale o un viso e tralasciando un ponte o un cumulo di pietre, ma si tratta di una distinzione del tutto falsa, perchè sono vivi anch’essi, vivi in modo diverso, sono inanimati ma non morti – ok, quando si disegna qualcosa di vivo, in definitiva si disegnano le tracce di quel che gli è capitato fino al momento in cui hai cominciato a osservarlo, le tracce di come è diventato fisicamente se stesso o, nel caso si tratti di un volto, di come quella faccia, attraverso l’esperienza che si intravede dietro a essa, sia diventata quello che è. Perciò mi sembra che disegnare sia osservare le tracce di come la cosa che si sta guardando sia diventata se stessa. Il che ha naturalmente molto a che vedere con l’argomento di cui stiamo parlando: come si racconta una storia.
La monografia si apre con una sbalorditiva conversazione via sms tra John Berger e Maria Nadotti nella quale i due si scambiano commenti usando il gergo contratto e monco che spesso si attribuisce solo a ragazzini ignoranti.
In un certo modo, l’ottantaseienne Berger riesce nel miracolo di dare dignità alla spremitura della lingua che i messaggini hanno provocato.
Certo, dopo aver letto quella conversazione non si può più dire, con schifo ostentato, che solo delle bestie semianalfabete possono scrivere in quel modo.
La monografia prosegue con brani, spesso inediti in italiano, da opere di Berger: un frammento da romanzi, un suo commento sulla fotografia, sul mangiare, sull’opera bizzarra di un pittore che ha riprodotto fette di mortadella, su una mostra dedicata a Monet, il discorso di accettazione del Booker Prize ottenuto per G. nel 1972 e un bellissimo ricordo del filosofo Ernst Fisher.
Seguono interviste e colloqui, tra i quali con la figlia Katja e con Michael Ondaatje.
Poi saggi su Berger, tra i quali uno di Salman Rushdie (un po’ spocchiosetto), di Maria Nadotti sul workshop che Berger tenne in Palestina (molto bello) e un brevissimo intervento di Arundhati Roy tratto da La speranza, nel frattempo. Una conversazione tra Arundhati Roy, John Berger e Maria Nadotti. Da donna meravigliosa qual è, anzi una delle più meravigliose che abbiano mai calcato questo pianeta, Arundhati Roy riesce in poche righe a restituire lo spessore, morale, intellettuale e umano di John Berger.
Gli scrittori che danno testimonianza sono feriti e hanno bisogno di essere guariti, percheè non hanno una pelle che li separi dal mondo. Ecco, il libro di John [n.d.a Da A a X. Lettere di una storia] è come un balsamo sulle ferite.
Infine la monografia si completa con numerosi interventi da parte di persone che per motivi diversi, professionali o personali, hanno conosciuto John Berger o ne sono stati collaboratori.
Alcuni di questi non hanno molto da dire, in realtà, se non prodursi in commenti banalmente elegiaci o finire per parlare di cose loro, ma sono la minoranza.
Qualcuno è una perla, come la poesia di Rema Hammami; il valore delle parole di Berger per Iona Heath nella sua professione di medico e nel rapporto con i pazienti; il divertentissimo ricordo di Jamie Andrews, curatore dell’archivio della British Library quando si recò a Quincy, il paesello di contadini dell’Alta Savoia dove Berger risiede da quarant’anni (e dove fa il contadino, oltre a tutto il resto), per prelevare l’archivio personale che Berger donò e si ritrovò arruolato per la fienagione; il ricordo dello sconvolgimento che Italo Chiodi, docente all’Accademia di Brera, subì dalla lettura di Sul disegnare; e l’altro, spassosissimo, ricordo dell’incontro tra un terrorizzato Tom Penn e John Berger, ottantenne, in sella alla sua Honda CBR 1100 Blackbird lanciato in autostrada.
Molto belle le foto e le riproduzioni di disegni di cui il libro è ricchissimo.
Davvero una monografia che fa respirare, il dono che riceve chiunque legga John Berger.