«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’IMPOSTORE
Damon Galgut
Traduzione di S. Piraccini
Guanda 2009
Di Damon Galgut avevo letto e commentato l’ultimo libro, In una stanza sconosciuta, apprezzandone molto soprattutto la prima parte, con quella voce dissociata dal personaggio, extracorporea, sussurrante come un vento. Galgut aveva plasmato un’atmosfera onirica intrecciando voce, vicende e l’ambiente aspro e primordiale del bush sudafricano.
In questo, L’impostore, precedente di In una stanza sconosciuta, compaiono gli stessi elementi, ma senza quella pennellata a distorcere le prospettive.
La narrazione e la costruzione della storia sono tradizionali, un po’ scolastiche, i personaggi via via intrecciano i loro rapporti, Adam, la voce narrante, evolve nella sua vicenda personale di estraniamento e crisi di mezz’età, il Sudafrica, coi suoi contrasti a tinte forti incombe immanente, e un certo filo di suspense, peraltro non troppo marcato, fa da guida.
Talvolta il racconto sembra incespicare un po’, si incaglia in un dialogo, insiste troppo nel riproporre un’immagine o sembra spingere con qualche insistenza un personaggio minore o una situazione. Anche la traduzione non mi è sembrata particolarmente vispa, ogni tanto ho avuto l’impressione di leggere quella sorta di dialetto dell’italiano che è il “traduttorese” dei traduttori svogliati.
Il risultato è un normale bel libro, ma non fraintendetemi, Damon Galgut è un signor scrittore del quale aspetto con molta curiosità il prossimo libro. L’impostore si lascia leggere con piacere, ma non brilla come In una stanza sconosciuta, se non in qualche sprazzo nel finale.
Il tema del libro, e anche la sua costruzione e la parte migliore, è il gioco sui contrasti, irrisolti e irrisolvibili, pare dire Galgut, le parti che si scambiano e si confondono, cozzano tra loro schiacciando chi vi si trova in mezzo, opposti che si complementano e si scontrano.
Galgut lascia trapelare una vena di pessimismo e di ineluttabilità dalla sua storia.
Adam, scosso da qualche rovescio e dalla perdita di senso, lascia la città per rifugiarsi in una stamberga di un piccolo paese, isolato, solo, depresso, con l’illusione di poter ritrovare la sua identità di ragazzo che scriveva poesie.
La ricerca dell’innocenza, modello classico della letteratura.
Da qui Galgut inizia a costruire i contrasti.
Prima con l’ambiente, la solitudine che non ispira ma schiaccia, la semplicità della vita e degli abitanti del paese che inaridisce lo spirito, la natura selvatica che si rivela ostile.
Poi entrano gli altri personaggi: Kenneth, un po’ alter ego e un po’ nemesi, un po’ specchio di tutto ciò da cui Adam fugge e un po’ sua coscienza sporca; Bimba, la moglie nera e bellissima di Kenneth, fonte di piacere sessuale, sogni infranti e illusioni dell’uomo che vede la sua vita scivolare via inutile, volgarità e meschinità nascoste dalla nuova società post-apartheid; infine il Sudafrica, il personaggio sempre presente sullo sfondo e sempre al centro delle vicende narrate da Galgut, contraddittorio, natura primordiale di sconvolgente bellezza e crudeltà, modernità mescolata con arcaicità, diritti umani e rimescolamento di poteri, facce nuove e vecchi privilegi, figli contro genitori, conflitti che sembrano scivolare da un lato all’altro del piano, come fiumi carsici che scompaiono alla vista per poi emergere nuovamente in altro luogo, a volte ingrossati.
La vicenda, anzi le molte vicende che Galgut svolge non si risolvono, o forse, si risolvono come spesso accade nella realtà: il tempo smussa e ingrigisce, opacizza e sposta sullo sfondo, ma senza mai realmente scolorire del tutto l’ombra del passato.
Gli venne in mente che il tempo è la grande lente deformante. Da vicino la vita umana è un susseguirsi di dolore e potere, ma basta che passi un po’ di tempo e niente ha più importanza. Alla fine niente di quanto si fanno gli uomini l’un l’altro avrà alcun peso morale. La storia è come il suolo laggiù: una cosa neutra e osservabile, un disegno, una forma. Omicidio, stupro, razzia: alla fine non sono altro che particolari pittoreschi di una storia.