2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Questa è l’acqua – David Foster Wallace

QUESTA È L’ACQUA
David Foster Wallace
Traduzione di G. Granato

Einaudi 2009

Questa è l’acqua è uno dei libri postumi di Wallace, per così dire, visto che non è esattamente un suo libro.
“In che senso?”
Nel senso che l’ha fatto Einaudi, è un libro editoriale combinato mettendo insieme sei storie brevi, che poi sono cinque storie brevi e la trascrizione del discorso che Wallace tenne ai laureati del Kenyon College nel maggio 2005.
Einaudi nella postfazione di Luca Briasco si sbrodola un po’ addosso dicendo che si tratta di “una raccolta che non ha equivalenti in nessun altro Paese del mondo”, che è una di quelle frasi che trova il tempo che trova o meglio, entra da un orecchio ed esce dall’altro, cioè che se anche non l’avessero detta non sarebbe cambiato niente.
E quindi, varrebbe, come per tutti i libri editoriali, il principio di colpevolezza, ovvero: a meno di esplicita dimostrazione del contrario è da ritenersi una solenne porcata commerciale escogitata dall’editore, tipicamente sulle ceneri o sul tumulo dell’autore morto.

In questo caso la dimostrazione del contrario c’è tutta e Questa è l’acqua è un libro molto bello, molto amaro, molto triste, molto disperato, molto notturno, ma molto bello.
C’è un brandello di autoritratto di David Foster Wallace che si svela, la sua voce che parla, i suoi incubi, i tormenti, la sua forza e la sua fragilità. Il suo sguardo che tenta per quanto gli è possibile di vedere e osservare oltre le lacrime e la stanchezza.

Sono sei pezzi. Questo l’ho già detto.
Non ve li racconto tutti e sei, ve ne racconto tre.
Ma farò parlare soprattutto le parole, non le mie chiacchiere.

Il primo.
Solomon Silverfish, pubblicato per la prima volta in Sonora Review, n. 16, Fall 1987.
È una storia d’amore. Una grande e bellissima storia d’amore.
Tra Solomon e la moglie Sophie.
Solomon è un’uomo di mezz’età, o anche qualcosa di più, brutto, appesantito, con un terribile riporto in testa che sventola come una bandiera, gesticola in modo ridicolo, a volte urla, non ha qualità particolari, fa l’avvocato azzeccagarbugli e si è comprato una macchina decappottabile di cui va fiero. Forse tradisce Sophie.
Sophie è malata terminale. Pesa quarantacinque chili, sta morendo, le hanno asportato entrambi i seni, è diventata calva, gli occhi cerchiati di nero, una flebo sempre infilata nel braccio livido, vomita, defeca nel letto. Non sembra quasi neanche più un essere umano, tanto meno una donna.

La storia che si svolge è di cattiveria da parte dei parenti di lei, che accusano Solomon di avere sempre mentito alla moglie e a loro.
Non è ebreo, è figlio di uno schifoso cristiano rinato, gente mezza fanatica. Non ebrea.
Vorrebbero che Sophie si liberasse di lui, facesse sciogliere il matrimonio religioso ottenuto con l’impostura. Fosse pura in punto di morte.
Glielo chiedono i genitori e i fratelli. Glielo impongono.

Parliamo di me,
parliamo del fatto che Solomon ha dimostrato sempre e solo di amare sua moglie, la quale non merita né ha mai meritato un amore e una persona così –. Respirò. – Parliamo del cancro. Ricordiamoci che una certa persona si è accampata nella mia stanza al B’nai B’rith per una cosa come ventiquattr’ore al giorno finché i medici non dicono che quel Silverfish ha già penato abbastanza e gli danno il permesso di portarmi a casa. Parliamo di un uomo che trascura un lavoro che ama e che è la sua vita per la moglie che dimostra di amare di più proprio quando lei ha più bisogno di saperlo. Parliamo di un uomo con questa moglie che è mutilata…
– Sophie.
– Una moglie priva di importanti attributi femminili, che le pupille di quest’uomo ancora si dilatano quando i suoi occhi mi guardano. Un uomo che mi guarda ridurmi a un mucchietto d’ossa e protuberanze e odora il mio odore e asciuga le mie lacrime e quando serve porta via i miei escrementi come fossero regali e pulisce il mio vomito quando non faccio in tempo ad andare in bagno e non mi fa mai sentire debole, sporca, o meno persona, o meno Sophie del giorno in cui ha ballato insieme a me con le braccia rotte –. Sophie ebbe un violento attacco di tosse. – Potreste anche scoprire che è un marziano venuto dallo spazio, per quanto me ne importa. È mio marito e io e lui siamo uniti da una cosa chiamata amore che, casomai non l’aveste ancora sentita nominare, non è solo un sentimento, è un modo di vivere la vita con una persona, e la vostra Sophie malata è fatta di questo amore, di questa vita e di questo Silverfish, e la mia vita è la sua e tutt’e due siamo quello che siamo grazie all’altro –. Respirò rumorosamente. 

Ecco. Questa è una storia d’amore grande e bellissima. E succede, lo so per certo.
David Foster Wallace non inventava fantasie.

Il secondo, che poi è il terzo nel libro.
Si chiama Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta.
È del 1984, anche se è stato pubblicato sull’Amherst Review nel 1987 e si tratta della prima pubblicazione dell’autore.
È un racconto giovanile, lo si capisce dal fatto che ricama, romanzeggia e cerca di imbastire una storia attorno a quello che vuol dire, che invece è duro, tagliente, buio e doloroso: la sua depressione.

Quella che, si dice, lo portò alla morte, anche se ci sarebbe da vergognarsi ogni volta che si pretende di spiegare perchè una persona si toglie la vita, per quanto banale, evidente e semplice possa sembrare, e magari sia davvero, la ragione.

Salto i ghirigori.
La descrive così:

Io non ho uno scilinguagnolo incredibile, ma voglio raccontarvi com’è secondo me la Cosa Brutta.
Per me è come una nausea completa, totale, assoluta. Cercherò di spiegarmi meglio. Immaginate di avere una nausea davvero tremenda che parte dallo stomaco. Quasi tutti hanno avuto una nausea davvero tremenda, perciò tutti sanno come ci si sente: è tutt’altro che divertente. OK. OK. Ma quella è una sensazione circoscritta: si accentra grossomodo intorno allo stomaco. Immaginate che tutto il corpo abbia la nausea: i piedi, i grossi muscoli delle gambe, le clavicole, la testa, i capelli, ogni cosa, tutto nauseato come uno stomaco in subbuglio. Poi, se ci riuscite, vi pregherei di immaginare la stessa sensazione ancora più diffusa e totale. Immaginate che ogni cellula del vostro corpo, ogni singola cellula del vostro corpo stia male come quello stomaco nauseato. E non solo le cellule, ma anche gli e.coli e i lactobacilli, i mitocondri, i corpi basali, tutti con la nausea a ribollire infiammati come larve nel collo, nel cervello, ovunque, dappertutto, in ogni cosa. E tutti con una nausea da morire. Ora immaginate che ogni singolo atomo di ogni singola cellula del corpo abbia quella stessa nausea, una nausea insopportabile. E ogni protone e neutrone di ogni atomo… gonfio e pulsante, malaticcio, nauseato, senza speranza di vomitare per liberarsi da quella sensazione. Ogni elettrone ha la nausea, perde l’equilibrio e sbarella negli orbitali da luna park inondati da un turbinio screziato di gas velenosi gialli e viola, tutto stordito e sbarellante. Quark e neutrini fuori di testa che schizzano nauseati dappertutto, impazziti. Immaginate questo, immaginate una nausea diffusa capillarmente in ogni vostro minimo frammento, perfino nei frammenti dei frammenti. Di modo che la vostra essenza, la vostra… quintessenza è caratterizzata unicamente dalla nausea; voi e la nausea siete, come si dice, «una cosa sola».
Ecco pressappoco cos’è in sostanza la Cosa Brutta. Tutto in voi è nauseato e paradossale. E siccome l’unica conoscenza che si ha del mondo intero passa attraverso le varie parti del corpo – tipo gli organi sensoriali, la mente, ecc. – e siccome queste parti hanno una nausea da morire, il mondo intero che voi percepite, conoscete e abitate vi arriva filtrato da questa brutta nausea e diventa brutto. E tutto diventa brutto in voi, tutto il bello esce dal mondo come l’aria esce da un pallone rotto. Di questo mondo conoscete solo mefitiche puzze di marcio, visioni tristi e paradossali dai lividi colori pastello, suoni aspri o di una tristezza mortale, situazioni insopportabili e indefinite disposte in un continuum senza fine… Idee incredibilmente stupide, disastrose. E succede proprio come quando ti viene la nausea e sotto sotto hai paura che non passerà mai: la Cosa Brutta ti spaventa allo stesso modo, solo peggio, perché la paura stessa è filtrata dalla brutta malattia e diventa più grande, peggiore e famelica di quando è cominciata. Ti squarcia, si insinua e ti si agita dentro.
Perché la Cosa Brutta attacca non solo te facendoti sentire male e mettendoti fuori uso, ma attacca in special modo, fa sentire male e mette fuori uso proprio le cose che ti servono a combattere la Cosa Brutta, a sentirti magari meglio, a restare vivo. Non è facile capirlo, ma è davvero così.

Io non ho da aggiungere altro se non che mi fa riflettere su quanto è facile non accorgersi di una persona che sta male e non capire che quello che vede può essere molto diverso da quello che vediamo noi.

Passiamo al terzo e ultimo, che è anche l’ultimo pezzo del libro, il discorso ai laureati.
Si intitola Questa è l’acqua, l’ha pronunciato nel maggio 2005. L’avevo già detto.
Non per far della polemica, anzi col massimo rispetto per gli amici che lo portano a esempio, ma il (non da molto) famoso discorso di Steve Jobs con la celeberrima invocazione “Stay hungry, stay foolish” davanti agli studenti di Stanford sembra ben poca cosa a confronto del discorso che fece Wallace.

Parla di questo detto popolare: la mente è un ottimo servo e un pessimo padrone.
Parla dell’imparare a pensare, inteso come imparare a scegliere come e cosa pensare, che è una impresa difficilissima e faticosissima.
Dice questo, tra le altre cose.

Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è che cosa venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale – che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili – è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. È questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell’età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva. Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole; è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura.
Venerate l’intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via.
Guardate che l’aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono inconsapevoli. Sono modalità predefinite. Sono il genere di venerazione in cui scivolate per gradi, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che vedete e sul metro che usate per giudicare senza rendervi nemmeno bene conto di farlo. E il cosiddetto «mondo reale» non vi dissuaderà dall’operare in modalità predefinita, perché il cosiddetto «mondo reale» degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità e libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato.
Una libertà non priva di aspetti positivi. Ciò non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.

Vi consiglio di leggerlo tutto se ne avete voglia. Su Nazione Indiana trovate il testo integrale.

Io mi fermo qui. Capisco di non avere detto molto di mio in questo commento al libro, ma di avere per lo più scopiazzato brani.
Lo so.
Ma non mi veniva da fare il chiacchierone.
È che oltre ai pensieri e alle storie che racconta David Foster Wallace, parlando di molte cose, c’è un vento freddo, umido, che gela e bagna, e a me sembra di sentirmelo addosso.
Perché… sì perché, sarà banale e pure sbagliato, ma pensando alla fine che questo libro non riporta, insomma, cosa è stato di lui dopo queste parole e queste visioni tanto lucide, un po’ confessioni e un po’ profezie, forse, quello che non dice è che le cose possono essere ancora più difficili di come le racconta, o di come sperava che fossero.
Forse c’è un racconto che manca, che non ha mai scritto.
Non so. Mai interpretare le vite degli altri.

Bello comunque.
Molto amaro.
Ma anche bello.

Un commento su “Questa è l’acqua – David Foster Wallace

  1. archivioDFW
    19 agosto 2012

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Questa voce è stata pubblicata il 18 agosto 2012 da in Autori, Editori, Einaudi, Wallace, David Foster con tag , , .

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