«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
I MEZZEMANICHE
Georges Courteline
Traduzione di A. Ieva
UTET 2008
Divertentissimo I mezzemaniche di Georges Courteline, pseudonimo di Georges Moineau, scritto nel 1893 sfodera una satira sanguinaria, quasi fantozziana un secolo prima di Fantozzi, che fa a pezzi il mito dell’efficientismo dell’amministrazione pubblica francese.
Una perla dimenticata tirata fuori da quel piccolo pozzo di perle che è il catalogo di UTET Letterature; una ventina scarsa di titoli, favolosi, tutti dal primo all’ultimo. Peccato che sia ferma al 2010 con le uscite, brutto segno mi sa.
Ottima l’introduzione d Tullio de Mauro che sembra aver goduto parecchio nel leggere I mezzemaniche e bellissima anche la veste grafica e la qualità della carta e della stampa; questi di UTET Letterature sembrano libri di un’epoca ormai passata, quella dell’eleganza degli oggetti con un valore che deve durare nel tempo. Cosa non comune presso altri editori.
Ma veniamo al libro.
Tutta la vicenda si svolge nella Direzione dei Doni e dei Lasciti, un grottesco castello kafkiano collocato nel centro di Parigi, dagli interminabili e desolati corridoi, androni misteriosi, mansarde ricolme di ogni genere di cianfrusaglie e soprattutto popolato e animato da tre razze di personaggi: dei favolosi lavativi, talmente lavativi da avere fatto della loro nullafacenza un’opera lirica; dei rimbambiti senili o anche non senili talmente rintronati da vagare persi in una perenne nebbia cerebrale; e infine degli squinternati a vario grado di pazzia, qualcuno moderatamente squilibrato, altri in preda a ossessioni maniacali, fino a dei veri e propri folli totalmente in balia delle convulsioni della loro demenza estrema.
Ecco il vice capo Van Der Hagen, uno dei pazzi maniaci ossessivi:
Imbottito di greco, imbottito di latino, imbottito d’inglese e di tedesco, ex allievo uscito primo dalla Scuola di Lingue Orientali, e assolutamente incapace, con questo, di mettere giù venti righe di francese, Thèodore Van Der Hagen evocava una spugna dalla quale niente sarebbe mai schizzato. Di volta in volta, aveva percorso come vice capo ognuno degli otto uffici della Direzione, senza che mai avessero potuto ottenere da lui altra cosa che un’attività disordinata e folle, un senso del nonsenso che faceva rovesciare come un guanto e rendere inestricabile, dall’oggi al domani, un funzionamento consacrato da lunghi anni di routine. Piombava nel suo ufficio come un nugolo di cavallette, e subito dopo era la fine, la carneficina, la devastazione: la corrente limpida di un ruscelletto che la caduta di un pietrone ha trasformato in uno strato di fango. La sua sola presenza affrancava tutto un piccolo mondo di impiegati, superflui da quello stesso momento, ai quali non rimaneva altro da fare che incrociare la braccia dinanzi al crollo sinistro di ciò che era stato il loro servizio.
E ancora il superlavativo Lahrier che si presenta a lavorare alle tre del pomeriggio per staccare alle quattro, quando si presenta, si intende; e quando lo fa passa il tempo a sbolognare pratiche a qualche collega maniaco-ossessivo o a insultare il collega di stanza e di tavolo Père Soupe, un vecchio rimbambito che dorme russando, oppure si lava i piedi nella bacinella o anche vaneggia biascicando frasi senza senso.
Poi ancora il capo uffico, il direttore, il portiere e gli uscieri, i redattori e i copisti, un’armata Brancaleone meravigliosa e ridicolissima.
Ecco il più pazzo dei pazzi squilibrati, Monsieur Letondu, nella descrizione di Monsieur Bourdon:
Monsieur e caro Collega,
Ho l’onore di farvi sapere che nella giornata di ieri, il vostro impiegato, monsieur Letondu, ha spaccato la porta del suo ufficio con un calcio, facendo andare in frantumi, con lo stesso colpo, il largo vetro smerigliato che formava la parte superiore di questa porta. Inoltre, monsieur Letondu, il cui stato d’animo anormale sembra lontano dal migliorare, manifesta da qualche tempo una predilezione marcata per gli esercizi fisici. Egli ha portato alcuni fioretti e per ore intere copre di buchi i muri della sua stanza la cui carta da parati non è altro che stracci e brandelli. Si esercita ugualmente coi manubri, specie di pesi a due teste che solleva con le braccia e lascia cadere a terra bruscamente, con grande spavento di monsieur Guitare, commesso d’ordine, alloggiato esattamente al disotto, come voi non ignorate. Queste cose, complicate da marce, contro marce, “passo”, “cadenza” e altre evoluzioni inerenti all’arte di Gatechair, sono state di un increscioso effetto per il pavimento del vostro subordinato. I listelli di legno, spiazzati, si sconnettono e si disgregano in ogni parte, e nello stesso tempo, per il contraccolpo, il soffitto di monsieur Guitare si scrosta, si screpola, si apre: in una parola crolla a poco a poco sulla testa di questo funzionario.
Un quadro strepitosamente surreale quello che disegna Courteline con uno stile d’altri tempi, dimenticato, perso, uno stile che fonde l’eleganza raffinata della forma con l’iperbolica cialtroneria della vicenda, i dialoghi serrati e sempre tesi sul filo dell’assurdità, i protagonisti che di volta in volta prendono la scena di questo teatrino di fiera paesana dove si ride con risate grasse, si grida all’idiota di turno, ci si scompiscia tirandosi manate sulle cosce e tutti insieme si demolisce fino alle fondamenta la grandiosa impalcatura della burocrazia.
E un gran finale a chiudere questa piccola perla di libro.
Non credo che sia cambiato molto nel mondo dei “mezzemaniche” da Courteline ad oggi. In effetti lo scopo primo della burocrazia rimane la riproduzione di se stessa. Con ogni mezzo!