«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
PULP ROMA
Tommaso Pincio
il Saggiatore 2012
Ho da non molto letto con grande piacere e commentato entusiasta Hotel a zero stelle di Tommaso Pincio, per cui ho preso il suo nuovo Pulp Roma come si fa quando si risente una persona con la quale si ha avuto una lunga e piacevole conversazione, per il gusto di riascoltare il tono della voce, le inflessioni, apprezzarne le pause e così via.
E non mi ha deluso.
Pulp Roma “è un piccolo libro. Non un libro piccolo, attenzione, quantunque sia pure minuto. È piccolo quanto a contenuti e ambizioni. Un libercolo, insomma, o anche un capriccio o meglio uno svago“, come annuncia lo stesso Pincio. Mi ha fatto sorridere, perchè uso spesso anche io questa distinzione tra “piccolo libro” e “libro piccolo”, e i primi, i piccoli libri sono oggettini deliziosi e che non fanno rumore.
Pulp Roma è effettivamente un piccolo libro, un libriccino, che Pincio confeziona mettendo insieme alcune storielle brevi e pure qualche tavola grafica, dei fumetti, avendo lui un passato da disegnatore.
Il risultato è, appunto, come rimettersi a parlare del più e del meno con un amico (o un’amica) col quale hai trascorso la notte precedente immerso in lunghe chiacchiere, divagazioni, sogni, visioni, immagini, il tutto avvolto nella coperta fascinosa del lasciare fluire le parole, che è la sensazione che mi aveva lasciato Hotel a zero stelle.
Purtroppo, secondo me, manca una definizione precisa per questo tipo di libri; ci sono romanzi di genere e di formazione, romanzi storici, sentimentali, erotici, e comici, ci sono i flussi di coscienza e le descrizioni realistiche, ma non c’è una definizione che risponda alla domanda “Ma se non ho mai letto Pincio, mi conviene partire da questo piccolo libro?”, il che è una domanda molto ragionevole, visto che a prestar fede a quello che dico io, qualcuno potrebbe pensare, giustamente, mica è una balordaggine, “Bè, proviamo con questo libriccino, poi se mi piace passo agli altri”.
E invece no!
Perchè se ci fosse una definizione precisa, che so, qualcosa come, libro porta e libro stanza, io potrei dire, questo Pulp Roma è un libro stanza, mentre Hotel a zero stelle è un libro porta e, come tutti sanno, per entrare in una stanza si deve passare per una porta, a meno di non immaginarsi fantasticherie.
Sarebbe tutto chiarissimo, ma non so perché una definizione come questa non se la sono mai inventata, che poi io mi chiedo come facciano allora a suggerire da dove iniziare.
Allora, per questo, vi racconto la storia della curva a banana di Via di Casaglia a Bologna, che c’entra con la faccenda di dove iniziare a leggere un autore, Tommaso Pincio, ad esempio, perché anche gli autori, magari non tutti, ma molti sì, fanno delle curve a banana.
Intanto, come tutti saprete, per fare una curva, soprattutto in discesa, ci sono due fasi fondamentali: quello che si fa prima di iniziare la curva e quello che si fa mentre si percorre la curva. E come tutti, spero, saprete, è più importante quello che si fa prima di iniziare la curva, che se si fa bene poi il resto va via liscio, altrimenti sono problemi e ci si deve affannare mentre si percorre la curva.
Questo vale in generale, ma tanto di più vale con le curve a banana.
“Che roba è una curva a banana?”, direte voi.
Una curva a banana è una di quelle curve che sembrano larghe e placide e in effetti iniziano in questo modo, poi però d’improvviso si stringono invece di aprirsi, come avevano dato a intendere, e se uno non è attento o non ha fatto le cose per bene, poi si trova a dover remare controcorrente.
Su per Via di Casaglia a Bologna, che è una delle molte strade che portano sui colli, c’è la più bella curva a banana che abbia mai visto; io la adoro, anzi la amo, ogni volta che la percorro in discesa provo un piacere meraviglioso, la guardo arrivare e penso “Eccoti qua, lo so, lo so, guarda come sembri innocente, io a te ti conosco” e a conoscerla la si percorre larghi all’inizio, poi appena si stringe ci si infila dentro che è una bellezza.
È la curva più bella del mondo, secondo me.
Ma non tutti stanno attenti e allora per loro diventa fetente.
Fu quello che successe al mio amico Giulio, che quando eravamo ragazzini andavamo su per Via di Casaglia con le biciclette. Avevamo tutti degli scassoni infernali o delle grazielle con la sella da motorino (io ne avevo una così e all’epoca era cosa sciccosissima, come saper fare le impennate); Giulio invece aveva una bici da corsa, che poi non era proprio una vera bici da corsa, ma una normale bici da uomo che aveva mezzo trasformato in una tipo-da-corsa.
Quindi, quel giorno stavamo scendendo e si andava forte e Giulio con la sua bici tipo-da-corsa andava molto più forte di noi altri del gruppetto degli scassoni e delle grazielle e ci aveva distanziato di parecchio lanciato a razzo tutto incuneato sul manubrio basso.
Fin quando non siamo arrivati alla curva a banana e abbiamo trovato la bici tipo-da-corsa di Giulio in mezzo alla strada. Ci fermiamo e qualcuno dice: “Eh, ma Giulio dov’è andato?”
Allora guardiamo e lo troviamo steso a pelle d’orso nel fosso dietro il guard-rail.
Non si era fatto niente, si era solo schiantato quando la curva a banana aveva stretto ed era rimbalzato contro la siepe della casa e poi rotolato nel fosso.
Ecco, questo per dire che, probabilmente (ma la prossima volta che lo incrocio glielo chiedo), al mio amico Giulio la curva a banana di Via di Casaglia non deve aver lasciato un buon ricordo, mentre per me è la curva più bella del mondo.
Per certi autori vale la stessa cosa, se ci si infila in una curva a banana dei loro libri senza preparare bene la curva, si rischia di finire stesi dietro al guard-rail, al contrario, invece, sembrerà come una lunga chiacchierata bellissima con un amico.
Quindi, se volete leggere Tommaso Pincio, io vi consiglio di cominciare da Hotel a zero stelle, poi se vi è piaciuto molto, potete prendere in mano Pulp Roma, ma non viceversa, altrimenti rischiate la fine del mio amico Giulio.
Quello che avrebbe potuto essere Roma è diventata invece la Los Angeles di Blade Runner. Ed è un’ingiustizia, perchè sebbene l’esegesi sia infondata, è Roma la prostituta seduta a cavallo del mostro a sette teste, è Roma la grande meretrice, la madre delle puttane con cui si sono venduti i re e gli abitanti della Terra, è lei la donna ubriaca del sangue del popolo, ammantata di scarlatto, adorna d’oro, è lei la grande Babilonia. Dobbiamo così contentarci dei frammenti di bordello che Fellini ricostruì a Cinecittà. Quei frammenti hanno rappresentato, per me, la possibilità di una riconciliazione, seppure parziale, con una Storia andata. Hanno fatto sì che potessi guardare con meno sensi di colpa ai miei tentativi di fuga dal reale, agli sconfinamenti nel visionario, alla voglia di appartenere a un tempo che non è mio, alla predilezione per i paradisi perduti e le età dell’oro. Forse non hanno reso la mia vita dolce come avrei voluto, ma mi hanno comunque tolto un poco di amarezza.
Diciamo che l’hanno resa agrodolce. Che non è poco. Non è poco per niente.