2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Il mondo che non fu mai – Alex Butterworth

IL MONDO CHE NON FU MAI – Una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti
Alex Butterworth
Traduzione di M. Marchetti

Einaudi 2011

Molto bello questo saggio storico di Alex Butterworth, scritto con stile brioso e accattivante, quasi da thriller o spy-story, il che farà forse incispare ancora di più le cispose sopracciglia di qualche paludato storico o amante dei tomi di storia asettici e pedanti, ma che, per tutti gli altri, lo rende una lettura oltreché interessantissima anche assai piacevole.

Tratta di quel periodo storico cruciale per tutti noi figli del Novecento che va dalla Comune di Parigi del 1870 fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione Sovietica.
Lo fa ripercorrendo la storia del movimento anarchico, che è forse il movimento politico e di pensiero più bistrattato, ghettizzato, male interpretato, preso a calci e infine spinto all’oblio da qualsiasi parte lo si sia guardato, destra, sinistra, sopra e sotto.

Butterworth in modo evidente cerca di riabilitarne il nome, i principi, le battaglie e lo spirito che mosse le tante persone che vi aderirono, spesso patendo sacrifici personali tremendi e colpi mortali dalle potenze in campo e dal suo stesso interno.
Il tutto stritolato in un cinquantennio burrascoso, di forze magmatiche che ribollivano in un mondo che si avviava a trasformazioni radicali e a sconvolgimenti mai visti prima. Anche a tragedie mai viste prima. E noi, come detto, siamo figli di quelle trasformazioni, di questo a volte ce ne si dimentica.

Nell’introduzione, Butterworth a proposito dei rimandi all’anarchia che spesso vengono fatti per episodi di terrorismo, qualcuno ha parlato di “islamo-anarchia”, ricorda che le cose, a volerle guardare senza preconcetti e senza comoda superficialità, sono meno semplici di come vogliono far credere simili proclami.

Se si osserva quel mondo dalla posizione che costoro [gli anarchici] occupavano ai margini della società, vuoi per scelta vuoi per malasorte, la cosiddetta Belle Èpoque, detta anche “età dell’oro” per la sua scintillante apparenza, si staglia in una luce cruda. L’effetto è inquietante, visto che molti tratti di quello scenario ricordano straordinariamente quelli del nostro tempo, cosa che dovrebbe farci arrossire e destare profondo allarme.
Vergognose disparità nel tenore di vita tra ricchi e poveri erano acutamente evidenti negli ultimi decenni dell’Ottocento, e in città come Londra spiccavano fianco a fianco: disuguaglianze, peraltro, oggi poco meno sconvolgenti e addirittura più estreme se si considera il villaggio globale. A quei tempi lo sfruttamento industriale della manodopera e l’avidità dei pochi producevano ingiustizia sociale e instabilità economica e, d’altro canto, la riluttanza dei politici ad affrontare il pernicioso potere finanziario e societario induceva la disillusione, anche all’interno di quelle che passavano per democrazie: il tutto sullo sfondo di sistemi economici in perenne ondeggiamento tra crisi e crisi, incapaci di imbrigliare un capitalismo rampante e selvaggio. […]
Si dovrebbe essere estremamente cauti nel supporre che la storia abbia anche solo delle assonanze, tanto meno che si ripeta. Ciò malgrado, le notizie salienti degli ultimi anni, da me spesi nel fare ricerche per questo libro e per scriverlo, mi hanno sempre più lasciato l’impressione che il secolo passato si sia in qualche strano modo ripiegato all’indietro.

Io non so se la Storia e i secoli si ripieghino, oppure talvolta si infilino in spirali o che altra figura a corpo libero possano produrre, tuttavia sentimenti dovuti a condizioni di vita precarie possono ripetersi nel corso del tempo: la fame è sempre fame, la paura è sempre paura, la speranza è sempre speranza e la rabbia è sempre rabbia. Anche l’avidità e le ingiustizie sono sempre loro.

Per questo conoscere cosa accadde in quel periodo e ripercorrere la parabola del movimento anarchico, che ebbe un peso e un’importanza oggi enormemente sottovalutata (avete mai sentito qualche esponente politico della sinistra richiamare gli ideali, quelli veri non quelli stereotipati, dell’anarchia invece che le bombe e gli attentati?): dalla definizione teorica di società ideale basata sulla cooperazione e la delocalizzazione invece che sulla centralizzazione e il potere della burocrazia statale, passando per le spaccature, la fascinazione per l’azione violenta di una parte, la strumentalizzazione e l’uso cinico che l’establishment ne fece attraverso polizie segrete di ogni genere, fino al canto del cigno, schiacciato dai nuovi poteri  che si imposero, comunista in Russia e fascista in Germania e Italia, ancor più gerarchici, centralisti e opprimenti degli stati liberali, Francia, Inghilterra e Stati Uniti.

Eppure, nonostante i molti errori, ingenuità, derive degeneri, conflitti autodistruttivi, inconsistenze e fascinazioni irreali del movimento anarchico, che Butterworth mette in evidenza in modo rigoroso, nonostante sia per loro stato difficile anche avere una bandiera comune dietro alla quale sfilare, divisi com’erano tra la bandiera nera del lutto anarchico e quella rossa della rivoluzione, eppure, all’autore, ma anche a me e credo anche a molti altri, non può che ispirare rispetto e un sorriso malinconico leggere di quei sogni di un mondo migliore, di quelle lotte per il suffragio universale, per i diritti delle donne, per la libertà sessuale, per la laicità, per i diritti dei figli illegittimi e per un’istruzione di massa, per il pane a una popolazione che viveva in condizioni bestiali a vantaggio di una minoranza di ricchi e raffinati. Poi ci sono state le bombe e gli attentati anarchici, le invocazioni alla violenza, ma è bene sapere perchè ci furono e come queste fecero spesso il gioco degli avversari, dell’establishment che voleva mantenere lo status quo e l’establishment alternativo che agognava di imporre un nuovo status quo, di come destra reazionaria e sinistra socialista e comunista calpestarono quelle richieste sociali preferendo gli accordi o la repressione, che a leggerle ora sembrano talmente lungimiranti e chiaroveggenti da domandarsi il perchè di tutto il sangue versato nel Novecento.

Non sono forse vittime innocenti anche i bambini che muoiono lentamente di anemia nelle catapecchie? E non lo sono le donne spremute fino alla spossatezza nelle vostre officine per 40 centesimi al giorno, il cui solo motivo di felicità è di non essere ancora cadute nella prostituzione? E non lo sono quei poveracci trasformati in macchine per poterli spremere tutta la vita e poi gettarli in strada come gusci vuoti?

Queste furono le parole che Emile Henry pronunciò durante il suo processo per aver gettato una bomba al Café Terminus di Parigi che si concluse con la condanna a morte.
E con queste si ripete la stessa insoluta questione dell’ingiustizia sociale e della giustizia degli uomini.

Insomma, nel Grande Gioco a cavallo della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento si scontrarono violentemente ideologie, poteri, stati, eserciti e classi sociali, ma in tutto questo, ciò che emerge da questo libro è che ci fu solo un movimento, quello anarchico, che invocando l’utopia di un mondo di concordia finì per essere fatto a pezzi da tutti gli altri, concordi, sì, almeno in questo.

Uno dei tratti più affascinanti del libro sta nel ripercorrere le trame infinite e arzigogolate che misero in atto gli stati e i loro Servizi Speciali di polizia, gli antesignani dei moderni Servizi Segreti, per infiltrare il movimento anarchico, manipolarlo, imbastire intrighi, tradimenti, compravendite e ogni altro trucco sotterraneo.

La Russia, in primo luogo, con l’Ochrana, il predecessore del KGB, scatenata nella caccia ai rivoluzionari anarchici che cercavano con tutti i mezzi di ribaltare il potere dello Zar. Il ruolo giocato dalla sezione di Parigi comandata da Rackovskij nelle trame che hanno percorso l’intero continente in quegli anni, nonchè il suo ruolo dietro molti degli attentati dinamitardi compiuti da giovani fanatici anarchici opportunamente pilotati da agenti provocatori per orientare l’opinione pubblica della Francia, soprattutto, in vista della possibile espansione ostile della Germania, è descritto con la tensione di una spy-story e rende bene la complessità del periodo, con rapporti tra potenze tentacolari sempre giocati sul filo dell’instabilità politica ed economica.

Alla Francia sono dedicati molti capitoli, sia per l’epilogo sanguinario della repressione della Comune di Parigi e il conseguente esodo di comunardi che diedero vita alle prime comunità di esuli politici in Inghilterra, sia per le successive lotte di potere tra fazioni politiche e il ribollire di sottofondo degli spiriti rivoluzionari covati dall’anarchia. Nel Grande Gioco, la Francia strinse alleanza con la Russia per far fronte alla Germania, ed è questo uno dei fili conduttori di quei decenni e della libertà d’azione che ebbe l’Ochrana russa nel manovrare a Parigi.

L’Inghilterra è il terzo polo nazionale del quale il libro ricostruisce la storia. L’Inghilterra che con la sua tradizione liberale accolse gli esuli politici di tutta Europa dopo che la Svizzera, prima destinazione della fuga dei rivoluzionari russi era diventata insicura, e che per ultima acconsentì a istituire una Sezione Speciale della polizia adita a pratiche, quasi sempre illegali, di controterrorismo. Inghilterra che però, come testimonia l’autore, più di tutte rifiuta tutt’oggi di aprire gli archivi agli storici per poter ricostruire gli avvenimenti e i ruoli dell’epoca. È curioso, per essere pacati, che a più di un secolo di distanza, certi documenti vengano fatti sparire o negati. Come dire, la coscienza sporca della disinformazione pretende ancora il suo pegno.

Un capitolo è dedicato alla nascita dei movimenti sindacali e socialisti negli Stati Uniti, ai quali parteciparono molti esuli anarchici europei. Le condizioni dei lavoratori immigrati erano tremende, mentre il tasso di sviluppo dell’economia americana in quegli anni toccava il 300% e alcune delle più strabilianti ricchezze si ammassavano nelle mani di pochi.
Il centro della protesta fu Chicago, dove avvennero dimostrazioni e scioperi imponenti, in un clima che per certi versi aveva sfumature rivoluzionarie. Fu represso tutto in un bagno di sangue, anche lì sull’onda emotiva di una bomba scagliata tra i poliziotti che, si seppe in seguito, fu lanciata da un agente infiltrato tra i manifestanti.

Gli avvenimenti ripercorsi dal libro sono moltissimi ed è impossibile sintetizzarli tutti in un commento. Cruciali sono comunque gli episodi più eclatanti di manipolazione, dagli attentati dinamitardi di Lione e Parigi, all’affare Dreyfus, fino alla sobillazione costante dell’antisemitismo, in Francia a partire dallo scandalo finanziario che portò alla bancarotta della Società per la costruzione del Canale di Panama, per la quale venne tirata in ballo una cospirazione di finanzieri ebrei per sviare la rabbia della popolazione che aveva perso i soldi, fino ai pogrom in Russia organizzati dalla corte dello Zar, per finire con la diffusione di pubblicazioni contraffate che asserivano l’esistenza di un complotto globale ebraico, tra le quali I Protocolli dei Savi di Sion (probabilmente opera dell’Ochrana russa) fu la più nota e successivamente utilizzata a fini propagandistici nella Germania nazista.

Lascia pensierosi l’accostamento che emerge tra la fase discendente della presa sull’immaginario popolare del movimento anarchico e dell’attività della sua componente “individualista” responsabile degli attentati e la recrudescenza dell’antisemitismo. Dà da pensare ma non stupisce, avvezzi come ormai siamo alla necessità per gli stati egemoni di avere un nemico ben identificato attraverso il quale orientare l’opinione pubblica.
Se fu strumentale, come da questo libro ma anche da molti altri emerge, l’ombra delle responsabilità del massacro della Seconda Guerra Mondiale si allunga e di molto.

Faccio un piccolo inciso solo per notare quanto sia incredibile la scelta di Umberto Eco di incentrare su una faccenda tanto aggrovigliata e ancora non ben chiarita come I Protocolli dei Savi di Sion e i libelli antisemiti che vennero pubblicati all’inizio del Novecento quel libraccio insulso che è Il cimitero di Praga. Misteri del prosciugamento della vena creativa.

Per le vicende del movimento anarchico, molto spazio viene dedicato da Butterworth all’evoluzione che ebbe.
La prima fase, rivoluzionaria contro lo Zar poi innestatasi con l’esperienza della Comune di Parigi guidata dai teorici del movimento, Bakunin prima, poi Kropotkin, Kravchinsky diventato in seguito Stepnyak, Élisée Reclus, Louise Michel, Errico Malatesta infine gli inglesi e i tedeschi.

Non dimenticherò mai – aveva detto uno di loro – quegli stupendi momenti di liberazione quando scesi dalla mia stanzetta del Quartiere Latino per unirmi a quell’immenso club all’aria aperta che riempiva i viali da un capo all’altro di Parigi. Tutti parlavano di affari pubblici; ogni preoccupazione personale era dimenticata; nessun pensiero di comprare o di vendere; tutti si sentivano pronti ad avanzare verso il futuro.

Così scrisse Kropotkin riportando i ricordi nostalgici degli esuli della Comune di Parigi.

La seconda fase iniziò quando le perenni spaccature e i conflitti ideologici propri dell’assenza di centralismo e di una piattaforma programmatica gestita da un direttivo diedero luogo sia a frequenti e devastanti infiltrazioni di agenti provocatori delle polizie di tutto il continente, sia all’azione di frange poco ferrate sulle radici del pensiero anarchico ma molto desiderose di agire in modo violento, al limite della criminalità, spesso.
Questa tensione costante e le fughe verso la violenza dinamitarda, sia organizzate da militanti sia pilotate da spie e provocatori della polizia, hanno portato alla deflagrazione del movimento e soprattutto alla facile identificazione del termine “anarchia” con tutto ciò che terrorizzava il ceto borghese e ne provocava gli spasmi reazionari più acuti.
Perdura tutt’oggi questa mistificazione del termine “anarchia” ed è passato più di un secolo. Curioso, no?, come certe convenienze abbiano vita lunghissima.

È quanto mai sconcertante leggere come fosse nota e talvolta tollerata la presenza di agenti provocatori nelle fila del movimento anarchico. Questo in parte si ascrive alle peculiarità anti-gerarchiche di questo movimento, ma molto va ricondotto proprio al caos dei tempi, quando le posizioni e le alleanze si rovesciavano continuamente come un barile in un mare in burrasca; i doppi o tripli giochi erano all’ordine del giorno e tutti infiltravano tutti, tradivano tutti e si alleavano con tutti nel tentativo di prendere la testa di quel drago impazzito che era la situazione politica e sociale in Europa.
Ripercorrere questa storia è affascinante per la difficoltà estrema che emerge di organizzare un movimento politico esteso, evitare o contenerne le derive, tenere la barra in mezzo ai colpi sempre più violenti che arrivavano dall’esterno come dall’interno, dalle forze reazionarie come da quelle rivoluzionarie rivali, dai potentati economici e religiosi, dalle fazioni in lotta nel movimento come tra le diverse anime territoriali.

Ulteriore aspetto estremamente interessante che viene descritto è il legame che si strinse tra scoperte scientifiche e analisi politiche.
Alcune figure principali del movimento anarchico erano anche eccellenti scienziati, Élisée Reclus grande geografo e Pëtr Kropotkin anch’egli geografo e zoologo. Entrambi presero spunto dalle conoscenze scientifiche per immaginare progressi sociali, Reclus con la sua proposta di costruzione di un globo di metallo a scopo didattico, per ispirare l’internazionalismo e la reciproca conoscenza tra popoli; ancora di più Kropotkin che dall’osservazione dei benefici della cooperazione e mutua assistenza tra specie animali a fini evoluzionistici trasse ispirazione per il disegno teorico della società anarchica basata, appunto, sulla cooperazione invece che sulla competizione.
Più inquietanti furono invece i salti logici che dalle scoperte di Pasteur sui virus e le infezioni portarono a teorizzare infezioni razziali e sociali, microbi umani, fossero essi gli ebrei degli antisemiti o le persone con tare psichiche o fisiche dell’eugenetica o anche le fisionomie criminali di Lombroso. Aberrazioni di questo tipo purtroppo non si sono limitate a quell’epoca ignorante, ma le abbiamo viste anche in tempi più recenti con le oscene teorie sul darwinismo sociale più o meno dichiarato, che già dal nome dà il segno dell’abissale stupidità dei proponenti.
Quindi, è in quegli anni e nelle democrazie liberali, oltreché in Russia, che si piantarono i germi delle dittature successive e anche la scienza non è stata mera osservatrice neutrale. Questa è una realtà storica che non è mai stata resa nota abbastanza.

Tra le figure di spicco del movimento anarchico, alcune attraversano l’intero arco temporale del libro. Élisée Reclus e Louise Michel tra i francesi, con quest’ultima protagonista di una vita che definire incredibile è molto riduttivo, eroina della Comune, imprigionata ripetutamente, mandata per lunghi anni nella colonia penale della Nuova Caldonia, ma sempre, fino all’ultimo giorno della sua vita di stenti e di passione indomabile, perennemente sulle barricate. L’antitesi della sinistra all’icona patriottica di Giovanna d’Arco, eroina della destra francese.

Ma soprattutto, come emblemi della gloria e della sconfitta dell’anarchia, a chiudere il libro Butterworth sceglie Pëtr Kropotkin ed Errico Malatesta, colonne del pensiero anarchico e della sua utopia, il “Cristo laico” il primo, il più grande rivoluzionario italiano il secondo (e, aggiungo io, il più grande italiano gettato nell’oblio dalla storia ufficiale patria), uniti fino alla sconfitta definitiva del movimento anarchico che segnò anche il distacco reciproco, per poi trovare idealmente una nuova unione nella fine malinconica a cui andarono incontro, uno esiliato nella campagna russa dalla presa del potere bolscevica che fece piazza pulita dei compagni di rivoluzione anarchici; l’altro tenuto agli arresti domiciliari fino alla morte dal fascismo.

Gettare il paese nel terrore rosso, e ancor più ricorrere all’arresto di ostaggi per proteggere la vita dei propri capi non è degno di un partito che si dice socialista ed è vergognoso per i suoi dirigenti.

Questo fu il testo di una lettera indirizzata a Lenin da Kropotkin mentre infuriava la repressione in Russia.

L’instaurazione e il progressivo miglioramento di una società di uomini liberi può essere unicamente il risultato di una libera evoluzione; il nostro compito di anarchici è proprio di difendere e di garantire la libertà di simile evoluzione.

Queste le parole di Malatesta in uno degli ultimi articoli che pubblicò quando i fascisti avevano appena concluso la marcia su Roma.

Onore a questi sognatori troppo dimenticati, che hanno combattuto e perso per una causa forse più giusta di quanto la Storia ufficiale abbia finora riportato, sembra dire l’immagine che chiude questo bel libro.

Note: Un altro commento a questo libro è quello di Giorgio Boatti su Doppio Zero. Un bel commento che integra bene questo mio con diversi dettagli che io ho invece omesso.

2 commenti su “Il mondo che non fu mai – Alex Butterworth

  1. http://google.com
    14 febbraio 2013

    This unique article, “Il mondo che non fu mai – Alex Butterworth 2000battute” shows the fact that
    u fully understand exactly what u r writing about!
    I personally absolutely approve. Thanks ,Dedra

  2. Pingback: De profundis – Oscar Wilde « 2000battute

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