«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
QUASI AMORE
Ugo Cornia
Sellerio
Ugo Cornia con me funziona sempre e riesce a farmi sorridere molto, c’era già riuscito anche nel precedente che ho commentato, Le pratiche del disgusto, e adesso in questo Quasi amore. È nell’attacco che è un maestro; va con la prima pagina e mi sento già come uno di quei sassi cosmici che vengono attratti nell’atmosfera e non c’è verso che possano cambiare direzione. Mi fa questo effetto qui, non c’è verso.
Questa volta attacca così:
Per un periodo piuttosto lungo non sono riuscito a fare una vita ideale, anche se non so il perché.
In seguito ad alcuni eventi che non mi sembra opportuno di raccontare, situabili nelle vacanze di Natale del 1998, a un certo punto, di colpo sono diventato uno che principalmente stava in attesa di qualcosa. E quel che mi ha fatto più impressione è che quando camminavo, a partire da febbraio-marzo ho sempre guardato passare le macchine in continuazione. La mia testa, per dei mesi, ha seguito la traiettoria delle macchine che passavano, come se da queste macchine potesse arrivare la salvezza, ma le macchine sono delle migliaia. Tutte le volte che ho cercato di distrarmi, dopo cinque minuti che ero riuscito a pensare ai fatti miei senza guardare niente, mi tornava subito da guardare queste macchine che passavano. In quel periodo ci sono stati dei pomeriggi in cui, essendo arrivato alla fine del mio cervello, ho pensato di prendere tutto di punta. Di andare a sedermi su un muretto al bordo di una strada di gran traffico e stare tutto il pomeriggio a guardare le macchine che passano per vedere di farla finita tutta in una volta; in modo da sfondare questa ossessione che mi perseguita.
Fine della prima pagina e già sono preso all’amo come un cavedano (dal sasso cosmico al cavedano è un bel salto), immerso nelle ossessioni di Cornia che mi sento pulsare nelle tempie insieme a tutte le macchine che nella mia vita ho fissato mentre passavano, seguite da un “No, non è quella”, centinaia di volte, migliaia, un numero incontabile.
Ecco qua, Ugo Cornia racconta di ossessioni ridicole e fa sorridere, ma mentre si sorride si rivivono le stesse ossessioni.
“Caspita, ma sta parlando di me?”
“Come fa a saperlo?”
“Oh! Uguale!”
“Ma che, sono uguale a Cornia, io?”
Ma no, non c’è trucco e non c’è inganno, come dicono, è che siamo tutti (facciamo molti, và, che tutti io non so chi siano) un po’ Ugo Cornia e Ugo Cornia parla anche un po’ di me e di te; dice la verità. Anche Ermanno Cavazzoni lo dice, “mica sono originale io in quello che scrivo, dico solo la verità” e la verità è che le abbiamo guardate tutti (molti) le macchine passare e ne abbiamo avuti tutti (molti) di quasi amori.
Già perché nel Quasi amore del titolo, “amore” è importante, che lo è sempre quando lo si scrive, ma anche di più lo è “quasi”.
Un “quasi amore”, quanti ne avete avuti di “quasi amori”, anche se magari non li avete chiamati così? Se non ne avete avuto neanche uno allora dovete essere come quelle coppie eroiche che si incontrano sui banchi di scuola elementare e tirano di lungo un secolo. Una specie rarissima e in via di estinzione.
Per tutti (molti degli) gli altri, invece, i “quasi amori” sono una croce e una delizia che ci si deve trascinare dietro a lungo.
E allora via con i “quasi amori” di Ugo Cornia, che da uomo, quando parla dei “quasi amori” parla di donne, croce e delizia per tutti (molti) e per questo si può perfino dire, esagerando alquanto, che Quasi amori è un libro tipicamente maschile; una specie di incrocio tra il manuale di sopravvivenza alle inevitabili devastazioni psico-fisiche causate dalle femmine e il libro di doglianze con venature auto-flagellatorie immerso nella più pura ironia emiliana.
E le signore/signorine non possono leggerlo? Ma certo che sì! Accidenti se possono, anzi, dico di più, lo leggeranno con quell’occhio da entomologhe che scruta compiaciuto le strane convulsioni di quella bizzarrissima specie animale con la quale a tutte (molte) succede di accompagnarsi.
In una situazione simile il voler dimenticare diventa una cosa difficilissima e s’intreccia al ritornello, perchè tu vuoi dimenticare una cosa e ogni giorno, due o tre volte al giorno, davanti ai tuoi occhi passa qualcosa che te la ricorda, qualcosa che ti gira l’attenzione, tre volte al giorno passa una traiettoria che ti fa girare il collo anche se non vuoi. E anche senza volerlo in testa mi si è formata una mappa delle macchine parcheggiate. In via Carlo Sigonio, nei primi trecento metri, ore pasti e di notte, quattro macchine esattamente uguali alla sua. In via Trento Trieste due macchine uguali alla sua.
Ossessioni da “quasi amori”, ridicole ossessioni, tanto più vere quanto più ridicole, raccontate da Ugo Cornia con quel suo stile rustico che sembra che apra un rubinetto nella testa e lasci scorrere fuori un fiotto di parole che scivolano sulla carta, poi si increspano, gorgogliano e gorgheggiano e ripartono a gran velocità. Lui è senza dubbio uno dei maestri della scrittura emiliana contemporanea, se così si può definire, e anche se non si può, credo che abbiate capito cosa cerco di dire.
Ma io ne ho già passate due o tre volte di cose simili per poter pensare che un’emozione, soprattutto un’emozione così, un’emozione che ti disturba alla bocca dello stomaco possa essere smontata. Già due o tre volte, a intervalli di cinque o sei anni la mia testa è partita in quanto ogni tanto una testa parte, deve partire, ne va del suo stare al mondo. Per tornare al mondo veramente, l’ho capito qualche anno fa, le teste devono partire. Per tornare al mondo veramente, la tua vita deve diventare come la steppa, paglia secca e pietre. E tra la paglia secca e le pietre bisognerebbe poter avere pietà di se stessi.. È questo che è difficile in generale: l’aver pietà di se stessi in mezzo al compatimento generale. Uno con se stesso invece è sempre spietato quando dovrebbe aver pazienza, poi quando dovrebbe odiarsi è tutto compiaciuto.
Eh? Non vi viene un sorriso/non-sorriso? Che è quando si sorride, perchè fa ridere, ma si sente che esce un po’ tirato, perchè nel frattempo è partito un pensiero lì nel lobo frontale che sta ripescando frammenti e continua a dire “Come questo qua? Come questa volta? Come con lei?”
Mi verrebbe voglia di leggervelo tutto ad alta voce, mentre vado avanti e indietro molto divertito a cercare pezzettini da copiarvi, da tanto che è leggero come una storiella, però una storiella strana, di quelle che ci si racconta da sè, quando si sorride ai ricordi croce-e-delizia; ma non si può.
Allora metto l’ultimo e poi basta, che è anche uno di quelli che mi ha proprio schiantato sul divano da tanto che mi ci sono ritrovato in pieno e come lo dice Cornia è come sentire la voce di un tuo amico, di quelli con i quali ne hai passate talmente tante che a ogni nuova, bella o brutta, finisce sempre in un sorriso e un bicchiere di vino.
Quando uno non ci sta in mezzo in modo doloroso è veramente incredibile il fatto che la propria vita è sempre un’alternanza di scordare e voler ricordare, ricordare e voler scordare, e scordare e basta. Per due anni vuoi dimenticare a tutti i costi, poi dimentichi e appena hai dimenticato ti viene in mente che era meglio ricordare. Anche perché negli anni la sparizione nella dimenticanza di quasi tutto quello che ti è successo è quasi totale. […]
Però mi balza ancora davanti agli occhi la scena di quando lei (non la figlia del dottore ma la figlia del camionista) mi aveva dato il suo numero di telefono, che quella sera aveva una maglietta bianca e una gonna nera corta, e delle gambe che facevano veramente voglia di toccarle. Mentre mi scriveva il bigliettino col numero teneva le gambe accavallate, e io, quando due giorni dopo le ho telefonato avevo il suo numero già stampato nel mio cervello. […]
Tanto che delle volte ho avuto la certezza che una mi piacesse veramente da come il giorno dopo che lei mi aveva dato il suo numero di telefono, il suo numero di telefono all’improvviso, mentre andavo a spasso, mi è passato per la testa ripetutamente.
Ho letto solo 3 pagine…. mi sono spaventato a morte altro che ridere… ho incontrato i fantasmi della poca lucidità che ho attraversato… mi sta spaventano cone quella sera che ho ripreso in mano Woobinda di Aldo Nove.. mica ho riso come la prima volta…ma ero un altro io, erano altri i tempi e le idee. Poi passioni tempeste distruzioni pena dolore e tanta rabbia hanno dato fuoco a tutto. Dalle ceneri è nato un nuovo fiore di loro che ho tatuato. Sono tornato sul luogo del delitto per verificare la mia capacità. Ne avevo ancora. Poi abbiamo perso entrambi o forse abbiamo capito entrambi anche se non doveva finire così. Io non conto le macchine cone Ugo ma vivo. Lo leggerò con paura ma lo leggerò (forse)
Se tu inquadri novembre solo perché è il 2 del mese di novembre e ti sembra di essere vivo, perché così credi che sia, e per il fatto che la sera vai a dormire e la mattina ti svegli e poi fai le tue cose, parli, cammini e respiri, buon per te. E che nientemeno ti colleghi con un blog, lo leggi e ci scrivi eccetera, allora per te novembre è novembre. E non ci piove. Ci credo che credi in novembre. Infatti se novembre è novembre non può esser settembre.E non ci piove, anche se a novembre piove, eccome. Ma chi si contenta gode. E poi c’è chi non va oltre la punta del proprio naso. Belle sagome di uno stampo che non se ne fa più quelli che il bicchiere è mezzo vuoto e il giorno dopo dicono il contrario. Quindi in novembre accade soltanto quel che sappiamo tutti accade in novembre. Epperò, oltre di un acino di pepe non vanno. Se le cose sono così, lo saranno per l’eternità. Che l’eternità, cioè il futuro prossimo, per quanto mi riguarda è: un secolo, una guerra di dieci anni, un battito d’ali, la frazione di un secondo in cui cala la morte e, insieme, si sprigiona l’amore a prima vista, anzi,a pelle. C’è gente, singoli individui, gruppi e anche un giro più allargato e intere moltitudini che pensano, e credono, di essere vivi; invece, son morti da una vita. Lo sono da un sacchissimo, ma solo per il fatto che trascinano la loro carcassa appresso in giugno, luglio e ad agosto, perché larghi, sorridenti, spendaccioni e vacanzieri. E, addirittura, anche in primavera quando la natura rifiorisce e i giovani e persino i vecchi si innamorano, che tra l’altro novembre non l’hanno visto nemmeno dal binocolo da un sacchissimo. E persino in maggio, il cosiddetto mese dei fiori e delle rose, capita un giorno di novembre. E’ da un eternità che il mese più dolce in assoluto di colpo divenga novembre. Ma se te per dire che novembre è quando sul calendario arriva novembre, allora contento te, così sia. Che poi un essere umano le ore, i giorni, i mesi e gli anni, compreso novembre, in principio di tutti i principi, li ha dentro di sé,non come date,ma vissuto interiore ed esteriore del proprio e altrui corpo. Per vivere e accettare di vivere, volenti o nolenti, si muore e bisogna morire centinai di volte. E ciò accade in milioni di battiti, di echi lontani, che novembre, sul calendario, non è mai esistito.
Ci sono giorni, come oggi ad esempio, che i pensieri sono di tungsteno e altri in cui i pensieri sono acciaio inox o di ghisa; ma se è per questo anche di rame e di piombo, per non parlare poi dei pensieri di alluminio, che questi pensieri qua sono pensieri luminosi; infatti, lo dice la parola stessa. Quando però di un pensiero dicono che il significato lo dice la parola stessa, allora qualcuno, ma non diciamo chi per un fatto di suspense,imbroglia. Ci sono giorni come il martedì, che è un po’ come agosto, settembre e ottobre, in cui le cose le persone e gli animali, ma pure il tempo se è per questo, sono ancora più straripanti del detto, del non detto, e delle intuizioni e, persino degli sguardi, che agli sguardi manca solo la parola, e parlano con un intensità tipo scala Mercalli. O striminziti, cadaverici, esangui.Infatti, se sei innamorato/a devi sbrigarti a capire e a fare presto perchè stare tra sabato e lunedì è un conto; un’altro vivere tra maggio,dicembre e marzo. La domenica,invece, sia a livello di stare, cioè stare dove ti trovi e, di pensieri che sono tutto un pensamento, è fatta tutta di oro. Non a caso la domenica fa pensare ai lingotti, al mattone e a possedere. Infatti, la domenica è giorno sacro del riposo, dopo una settimana di lavoro. Pulito sporco.
La domenica pomeriggio è il giorno in cui, nella parte più intima dell’uomo, nascono i più feroci e spietati serial killer della storia, del pensiero umano. La domenica da un versante cola grasso dappertutto e dall’altro lato le cose si seccano, perciò i pensieri sono di burro, ma proprio per questo,insidiosi, mefistofelici e, catarifrangenti. Infatti non brillano di luce propria, propria, bensì riflessa. Riflessa? Il sabato i pensieri sono di ferro con punte di ruggine. Infatti vicino al mare la salsedine i manufatti in ferro li lavora ai fianchi. Ecco, studiare il sapere e il non sapere sulle caratteristiche e le proprietà intrinseca del tungsteno e dei metalli in genere, a questo punto della vita del pianeta, è di fondamentale importanza. Importante per sé e per i suoi. E così, apro il diz., e voilà, il tungsteno non c’è, non è registrato e, cosa più inquietante, non lo trovo. La cosa mi turba, mi butta giù ed entro in coma. Poi metto la testa sotto l’acqua fredda, che l’acqua fredda è come il ghiaccio nel senso che ha una funzione oltre che rinfrescante anche di vasocostrizione. Vado avanti nello sfoglio e sempre nella t trovo:tundra(sf. pianura caratteristica delle zone artiche, con vegetazione formata da muschi,licheni e piante basse), ma non tungsteno che dovrebbe stargli da presso. Invece 23 lemmi a ritroso, mi soffermo sul termine tubo, non il tubo della lapp dance, e leggo: sm. corpo cilindrico, vuoto internamente, di varia lunghezza e diametro, fatto con diversi materiali e utilizzato per il trasporto o lo scarico dei fluidi: tubo di ferro, di piombo, di cemento, di gomma. Ci sono certi pensieri che nel loro incidere improvviso riempiono gli occhi dei bambini e, con minore liquidità, quelli degli anziani. Sanno di sale e si chiamano lacrime. E quando sgorgano sono calde. Nessuno medico sa, ad esempio, la temperatura media o standard dei pensieri. Se chiedete ai medici, vi rispondono picche, vattelappesca o si girano dall’altro lato, che scrivono con una pessima calligrafia le medicine per la cura del caso. Gli innamorati non si sa, in questi caso le donne fanno la parte del leone, che semmai dovrebbe essere la parte della leonessa che spesso il leone vuole mangiarsi la sua prole per accoppiarsi di nuovo con la leonessa che alla leonessa non le va di accoppiarsi non per rifiuto del sesso, ma perché c’ha paura delle intenzioni malvagie dei pensieri dello stomaco del leone che scorazza nei dintorni e presso mamma leonessa e prole di bellissimi leoncini con certe zampone e capriole che spettacolo fantastico, che la leonessa madre dice: Infame se non giri alla larga ti graffio la faccia che ti mando gli occhi in infezione e cecità –
Che poi gli anziani rispetto ai bambini loro coetanei, sono sensibili, emotivi e piscialacrime più di quando loro erano criaturi e piccirilli; mettiamo pure, picciriddi. I pensieri dell’intera settimana, comprese le notti, sono fili, tubi vuoti e tondini di ferro che i tondini della siderurgica bresciana & f.lli servono tra l’altro per i piloni delle fondamenta dei palazzi e delle ville e anche quelli di ponti e autostrade.Che quando certi pensieri sono tubi vuoti o dei tondini di ferro, quelli belli pieni dentro, allora i pensieri si dicono pensieri vuoti, o pensieri pieni. Poi ci sono quelli che dicono che il significato di una parola lo dice la parola stessa, allora sempre lui dice che è solo una questione di pensieri pesanti, tipo uno scocciamento continuo e palloso; e pensieri di leggera leggerezza, perché loro i pensieri son fatti a modo loro i pensieri che stare lì a pensare sempre le cose serie ti ammazza. Meglio uscire e andare a bere. I pensieri leggeri girano alla larga dai pensieri pesanti, perchè troppo seriosi, epperciocchè mai una risata, porca miseria, mannaggia. Ma quegli altri, le moltitudini dei bambini, dei poeti, dei folli e degli innamorati che camminano per il mondo e l’universo intero dicono che i pensieri sono profumati e, che basta solo annusarli quando nascono e girano attorno alla testa, in bocca e sulle labbra. E nel cuore, i pensieri.
PS: Mi sono sbagliato, il pezzo finale è quello che posterò tra poco.
Ah, quasi dimenticavo che i pensieri non sai mai quanti giorni o anni di età hanno
che questi pensieri si presentano all’improvviso mentre i bambini escono dalle mammute pance dopo nove mesi; tal ché i pensieri vanno e vengono, epperò mica quando sbucano nella curva o attorno alla tua testa si fanno riconoscere per la data di nascita, no! Poi i pensieri non hanno confini né comune di residenza per cui niente richiesta di stato di nascita e di famiglia. A questo punto i pensieri son più aere che non zo; che o aere o non zo sono zone vastissime sconfinate. I pensieri sono come i postini, li trovi nella cassetta della posta che nemmeno il mittente ti ha avvisato. I pensieri sono un poco sbruffoncelli: se la tirano, perché non riesci a dargli l’età esatta, perché un pensiero che ti è venuto anni e anni fa si presenta di nuovo e tu, minimo, dovresti dire: – Sei invecchiato –
PS: Seguirà l’ultimo pezzo.
Io ai pensieri ci faccio dei discorsi che i pensieri mi guardano e ci rimangono di stucco. Poi, anche io cerco di vederci chiaro e allora prendo le distanze da questi pensieri che sono come i cani che quando li accarezzi ti leccano, Allora i pensieri si intimidiscono un poco oppure sono indecisi, mentre i pensieri diventati di stucco io li posso guardare in faccia per ore, giorni, mesi, anni. Poi, basta, passo appresso come i post dei blog. Però i pensieri più insidiosi, che mi uccidono la salute, sono i pensieri dialettici che somigliano a delle catene e alle anguille. Poi i pensieri mi vengono vicino e mi carezzano e mi baciano e così ci facciamo pure una passeggiata lungo il mare.
PS: Ecco i pensieri che mi sfuggivano e che son riuscito ad acchiappare. Dopo di questi ne posterò altri. Fui punzecchiato e provocato e risposi scrivendo quel che aggiungerò tra poco.
24/5/01 Uno sta bene quando vede il mondo come mondo e basta.
Frase trascritta dietro la copertina la copertina di Ugo Cornia Quasi amore.
Io, pubblicato uno zero tondo di libri. Leggo. Abbastanza. Anzi, rispetto alla famosa media(tre polli a testa: no, no e poi no)direi qualche libro in più. E’ un periodo florido per me dal punto di vista della lettura. Gli altri, però, non leggono me. Anche se volessero, poverelli, non potrebbero e possono farlo. Le cose che scrivo le tengo per me. Autarchico e autosufficiente, però, giuro, non mi cito; in pratica, non sono uno che autocito le mie opere. Altro che Paolo Nori che ti fa venire, così ho letto da recensori e critici, un senso di chiusura da ombelico e claustrofobia. I libri di Paolo Nori muoiono in gola, per quanto acuti e divertenti. Ma appunto girano nella gola e rimangono lì. Claustrofobia? Paura dei luoghi chiusi. L cassa toracica è un luogo chiuso e la gola attraverso la voce(e la scrittura)la voce la liberazione totale. Luoghi chiusi? Allora Paolo Nori è un luogo chiuso. Uno che arrota la voce dentro la propria voce. Possibile? Eppure Paolo Nori era giovane quando ha esordito come Paolo Nori. E Ugo Cornia che pure mi piace come scrive visto che mi piace la sua scrittura? Ho sottolineato certe frasi di questo secondo libro di Ugo Cornia. E giacché ci siamo, io, personalmente, come scrivo la voce dei personaggi che eventualmente vivono nei miei futuri libri che sono nell’aria, ma più che nell’artia e nell’oralità, in pezzi sotto pezzi e spezzoni di pezzi e altri pezzi come i corpi che non si presentano mai per intero ma solo apparentemente interi. Posso essere solo il cronista dei personaggi e credo tutt’al più anche di me quando mi siedo e scrivo nella mente la realtà.
PS: Mi fermo qui. Anche se le pagine scritte continuano oltre l’elco dei libri dietro l’ultima pagina della Sellerio edotore Palermo.
“Uno sta bene quando vede il mondo come mondo e basta”
Quanto mi è piaciuto tutto questo tuo commento. Molto d’accordo anche su Paolo Nori, scrittore acuto e divertente ma a volte esagera nel vestire i panni del personaggio Paolo Nori.
Nascere significa innanzitutto sapere cosa scegliere. Questo succede specialmente quando si finiscono le medie. Se hai finito le medie stai con le pacche nell’acqua. Giuro. A tredici massimo quattordici anni devi sapere già cosa farai da grande. Anche quelli che nascono col talento naturale spesso pur facendo secondo talento vanno in malora perché le forze della vita sono correnti possenti e non quantificabili rispetto al cuore, agli stati d’animo e al fisico. Spesso il fisico si mette di traverso. Quelli che non finiscono le medie perché non ci sono andati alle medie, per certi versi, forse della poesia orale, sono baciati dalla saggezza, perché hanno la saggezza nei calcagni che li proietta in avanti. Vuoi o non vuoi sei un proiettato.
Perciò devi scegliere le scuole superiori come strada da percorrere nel mondo del lavoro. Per cui non sapendo cosa fare della vita, dei suoi giorni e della quantità spropositata delle ore tutt’intorno che ogni singolo vivente, volente o nolente, ha disposizione come ad esempio l’aria; ma, in attesa dei trent’anni appena dietro l’angolo, ho vissuto scrivendo dietro le copertine dei libri e nelle pagine bianche, perché a trent’anni spaccati, promisi nei giorni antecedenti, che mi sarei ucciso. Insomma, mio malgrado e nonostante avessi delle resistenze interne ed esterne, tra l’altro credevo nei valori della Resistenza, cioè un dei periodi più alti vissuti dal popolo italiano e non solo, sarei diventato il killer di me stesso. Sarebbe a dire che un certo brivido noir rabbrividiva la mia schiena.
Era un impegno verso me stesso a causa del fallimento della propria vita ma anche della vita a largo raggio e più in là del largo raggio. E evidentemente della rivoluzione. Sicuro. Però quando mi mettevo a pensare alle implicazioni del mio gesto estremo mi scocciavo moltissimo. Certo. Anche intorno al pensiero e all’idea di ammazzarsi per non aver fatto trionfare la rivoluzione ci sono delle cose che ti pesano moltissimo e che non ti fanno andare né avanti e né indietro. Un tipico stallo da transizione. Ma le transizioni si sa spesso durano dei maledetti secoli. Mica è facile portare a termine un progetto che poi si slarga in una piazza grandissima con un orizzonte vastissimo. C’erano certi scrittori più che altro russi, almeno così ho letto da qualche parte, che ti mettevano davanti a questi orizzonti vastissimi e tu eri lì che ci rimanevi di stucco. A quel punto mi disposi:
Attenzione qui dovrebbero venire dei pensieri che ho scritto e non riesco a rintracciare(prometto che indagherò come un sagace segugio.)
Però l’altra faccia degli orizzonti vastissimi è il fallimento e quindi la depressione o tornare al vecchio status quo. Ci sono status quo che hanno facce e sagome che ti fan dire: – Mamma mia. –
Si fa presto a dire: Vivi e lascia vivere. Vivi e lascia vivere è come una cosa incartocciata tipo borsone o cose così e dentro non sai cosa prenderai e cosa rimarrà. O cosa non hai visto. Così.
PS: Quanto sopra l’ho scritto poco fa, cioè nel momento appena trascorso, ma prima c’era quel che avevo scritto a suo tempo dietro la copertina Sulla felicità a oltranza che trascrivo:
* * *
28/5/2000
Un libro che non finisce mai(tutto ciò che ho scritto dietro le copertine dei libri che compro e leggo)
Molti molti, prima o poi, inevitabilmente, hanno un sogno segreto nel profondo o nel cuore(eh già se i sogni non fossero segreti per la loro intrinseca meccanica segreta che sogni sarebbero?);o un libro nel cassetto(questa è un’altra faccenda strana o calcolata matematicamente male: chi non sa scrivere non ha né un romanzo, né una raccolta di poesie e tantomeno dei racconti, ma anche quelli che hanno un istruzione sia media che superiore tipo laurea non ce l’hanno il famoso libro nel cassetto perché semplicemente pensano più a farsi gli oggetti materiali per la materializzazione della propria casa piuttosto che sbattersi per le belle lettere.) E se non ce l’hanno sia il sogno o il libro nel cassetto, contraddicendo a ogni logica di calcolo matematico svizzero, dicono:- Ce li ho –
Personalmente, invece, trovandomi in mezzo, tra sogno e il libro, non riesco a scegliere tra l’uno e l’altro; eppure non sogno da una vita i sogni notturni, ma semmai quelli dell’utopia addentellati nella realtà piatta e al quadrato. Questa cosa qui è grave. Anche se non grave grave che non si può fare niente come quando viene la morte ti piglia o piglia qualcos’altro sul fianco o sotto i piedi e tu non puoi che stare lì, anche in questo caso, interdetto, affranto e impotente come il mare pieno di cavalloni giganti alti tre metri o quelli che portano le spiagge nel territorio interno dei paesi e città di mare. Nel caso specifico della morte, è un impotenza grave. Anche se ti organizzi e ti dai da fare come non mai. Però, pur essendo di questa specie, ugualmente ti convinci, ma anche se non lo sei,
vai avanti lo stesso. Persino se fai il mulo e non vuoi andare avanti(avanti avanti o avanti indietro a sbattere la faccia e il fegato?), ci sono le cose(le cose a pensarci sono tremende)che ti fanno andare avanti come un fiume. Un fiume nella sua liquidità informe e insostituibile è un fiume a tutto tondo, ma spesso, o quasi sempre, non ha coscienza di essere un fiume; forse si pone il problema della propria essenzialità e potabilità solo quando ha il letto in secca.
PS: Quanto sopra lo scrissi dietro il bianco della copertina. Mi fermo qui, anche se ci sono ben nove paginette scritte e anche dietro l’ultimo foglio bianco, perché voglio riportare ciò che scrissi dietro la copertina del secondo libro di Ugo Cornia Quasi amore.
Ho guardato nel mobiletto all’inglese, adattato a piccola libreria, in cerca di Ugo Cornia, e ho trovato due suoi libri(ricordo anche un terzo sempre di Ugo Cornia che non trovo e che fu l’ultimo libro comprato di Ugo Cornia, perché altri non ne ho comprato più: forse perché il cognome Cornia mi sembra che come cognome di persona e di scrittore possa andare tranquillamente, ma sul nome non saprei. Secondo me il nome Ugo, specie se una persona è un bambino e anche un giovane, credo che il nome Ugo sia troppo impegnativo e fuggitivo: neanche il tempo di pronunciarlo e quello, il nome Ugo, già è bello che sparito): Felicità a oltranza e Quasi amore, editi dalla Sellerio editore Palermo. Le copertine dal solito colore blu con al centro un quadro diverso. E dietro ciò che scrissi durante e al termine della loro lettura. Ah, anche il formato di questa veste mi piace molto. Cosa faccio, riporto quel che scrissi dietro quelle copertine? Non vorrei esagerare e tanto meno essere e pormi come l’unico commentatore(che va oltre le righe intese come righe di quantità).
Che importa se sei l’unico commentatore? I tuoi commenti da copertina sono sempre un piacere, molti o pochi, come vuoi tu.
“Sulla felicità a oltranza” ce l’ho anche io ancora da leggere, e anche “Roma” che mi è piaciuto fin dal titolo, anche se pure lui devo ancora leggerlo. Anzi, adesso che mi hai ricordato Cornia, lo leggo nei prossimi giorni.
L’ho letto tempo fa e mi sono arrecriato.