2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Mosca-Petuški e altre opere – Venedikt Vasil’evič Erofeev

MOSCA-PETUŠKI e altre opere
Venedikt Vasil’evič Erofeev
Traduzione di G. Zappi

Feltrinelli 2004

Quando si leggono certi libri, di certi autori, russi per lo più, perchè come sanno (o hanno saputo) scrivere questi certi russi nessuno mai lo ha saputo fare e la gran parte delle letterature mondiali impallidiscono alla loro ombra immortale, tanto che bisogna freneticamente scartabellare in secoli e secoli di letteratura di quello o quell’altro paese, continente o emisfero per estrarre qualcosa che almeno possa mettersi seduto di fianco a loro senza finire schiacciato come una zanzarina addormentata, ecco che succedono cose bizzarre, reazioni intendo, si reagisce, perchè lo stato d’animo passivo dello stilita che osserva dalla cima della colonna non è ammesso, non è possibile, anche se a questo mondo tutto è possibile, ma chi legge uno di questi russi, immensi, e continua a fare lo stilita è uno che io non capisco, cioè penso “Fa lo stilita, mah… chi lo sa cosa pensa quello… niente, forse niente, ormai è diventato un’aggiunta al capitello della colonna.”

Dico questo perchè a me sembra che ci siano due reazioni possibili quando si leggono questi russi divini: una è quella del passante che guarda un lombrico, l’altra è quella dell’allucinato in preda ad allucinazioni mistiche.
Con la prima, che sarà capitata a tutti voi, in una di quelle giornate quando è appena spiovuto, su un marciapiede di asfalto ci si imbatte in un lombricone spuntato dalla terra di un prato vicino. Chi è schifiltoso si schifa, ma a parte questo, di solito un po’ ci si sorprende a vedere quel verme sbucato dalla terra e un po’ fa pena osservare quell’essere che si contorce miseramente mentre ci si domanda per quale motivo se ne è escono da sotto la terra quando piove… forse si confondono e perdono la bussola? sopra sotto… non ci capiscono più niente, come se si ubriacassero di pioggia, o forse quando piove, poveretti, lì sotto dopo un po’ sono mezzi annegati e devono uscire a prendere aria? Chissà, ma non è importante saperlo, l’importante è come si guarda quella povera bestia.
Nel nostro caso, la povera bestia è l’autore russo di immensa grandezza.

L’altra reazione forse è meno comune, non so, ma il senso è quello della divaricazione: tanto più avanza l’illusione mistica e tanto più ci si rende conto che la testa sta partendo per una scarpata metafisica abbandonando la proverbiale terra-sotto-i-piedi; per questo ci si sente divaricare, come due mondi che si allontanano, uno spirito che schizza fuori dagli occhi come una pallina da schioppo, come uno squartamento percettivo, insomma, si perde il senso delle proporzioni, o almeno, delle proporzioni che si pensavano accettabili e ci si accorge che le proporzioni che si vedono sono favolosamente sproporzionate e quindi si finisce in uno stato metafisico divaricato.
Nel nostro caso, causa di questo delirio sproporzionato è l’immensa maestria che l’autore russo vi squaderna davanti agli occhi come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.

Per me è così con gli immensi autori russi, pretendono una reazione, una o l’altra, perché sono come un uragano che soffia e urla e o ci si tiene a distanza di sicurezza oppure ci si fa arpionare e si finisce dritti nell’occhio dove nessuno sa cosa accade. Sono dei sismografi impazziti invece che delle piacevoli ondulazioni consolatorie, sono la sapienza più distillata e l’abominio lurido, sono dei maestri di stile inarrivabili e degli schifosi pervertiti che turpiloquiano senza vergogna, sono i creatori del testo e i loro devastatori, prendono le parole e le fanno cantare e un attimo dopo le sbrindellano tanto che si sentono i gemiti e il suono sordo delle accettate. Sono selvaggi col testo, bestie selvatiche e allo stesso tempo gli architetti delle più meravigliose tra le cattedrali di parole.

Venedikt Erofeev (da non confondersi con Viktor Erofeev, altre volte scritto Victor Erofeyev, quasi coetaneo ma vivo, mentre Venedikt è morto nel 1990) è uno dei discendenti di quella genia di russi immensi, uno dei più estremi, un ramo contorto e allucinato di quel grande albero.

In breve, Venedikt Erofeev è un folle in preda alla tipica follia russa, un pazzo letterario e forse non solo, considerato che ha trascorso gran parte della vita da alcolizzato senza fissa dimora, che ha rovesciato in Mosca-Petuški il suo capolavoro – vomitato sarebbe più corretto se non suonasse denigratorio – il suo favoloso genio letterario. Oltre a Mosca-Petuški, le altre sue opere (quelle che si sono salvate, che non ha buttato via, dimenticato su qualche vagone ferroviario dove ha passato la notte ubriaco o non ha scambiato per una bottiglia di vodka), sono raccolte in questo libro meraviglioso e sorprendente (anche la copertina sobria e dignitosa di Feltrinelli è sorprendente, non me le ricordavo quasi più ormai).

Un libro imperdibile, per mio conto, per chi non ha paura di farsi scaraventare ai limiti dell’arte dello scrivere, di un autore che andrebbe osannato tra i grandissimi del 900 eppure pochissimo conosciuto, e al cui cospetto se impilate dieci Booker Prize uno sull’altro non gli arrivano alla spalla e fan figura di borghesucci in grisaglia o signorinette infiocchettate davanti all’animale posseduto dal demone della scrittura.

Mosca-Petuški è un romanzo breve, 150 pagine suppergiù, con allegate 20 pagine di note al testo. Un lavoro mostruoso di commento da parte dell’eroico curatore e traduttore Gario Zappi… eh sì perchè Erofeev era folle e intossicato ma era anche un finissimo letterato oltre che un polemista formidabile, lucidissimo e affilato come un bisturi. Quindi, quasi ogni frase del testo è un riferimento, una citazione velata, un’allusione, una beffa, una metafora nascosta, ha un sottotesto e un doppio livello che Gario Zappi ha documentato con pazienza certosina, ripescando sensi da autori classici greci o latini, decine di autori russi, fatti di cronaca, discorsi di Lenin (fatto a pezzi da Erofeev), frasi e figure della propaganda sovietica (ridicolizzati), motti e lazzi popolari, tradizioni rurali e così via.
Tutto questo rende la lettura di Mosca-Petuški ulteriormente allucinatoria, perchè induce uno stato di grave dissociazione psichica: una parte del cervello viene ingurgitato dalla sublime pazzia della storia e dello stile, l’altra rimane vigile sulle note. È un’esperienza credo unica, da che io mi ricordi.
Il libro fu scritto nel 1970 ed ebbe una diffusione clandestina, come samizdat. Venne poi stampato in Israele in russo, poi tradotto in francese nel 1976 e nel 1977 apparve per la prima volta per Feltrinelli. Fu ed è tuttora, come si usa dire, un libro di culto.

Ma direi che è ora di accennare qualcosa della storia. Il personaggio, indovinate un po’, si chiama Venička o Venja, diminutivi di Venedikt, Erofeev ed è un ubriacone sfrenato e la storia è la trascrizione del suo delirio alcolico. È lo stesso autore il personaggio o non è lui? Non importa, lo è e non lo è.

C’è anche un sottotitolo a Mosca-Petuški, che è: Poema.
Erofeev ha scritto un poema, un poema etilico, rinvigorito dall’alcool, stralunato e obnubilato dall’ubriachezza, senza più freni nè limiti, fino a perdere il senno per acquistare la lucidità, annebbiarsi per entrare nei fumi onirici dell’intossicazione e dire la verità mentre si stringe al collo il nodo scorsoio delle illusioni. Venička è un verme lurido che potrebbe scambiare qualunque cosa per un sorso di alcool, anche il suo ultimo respiro, teorizza la filosofia della vodka (o di qualunque altro intruglio mortale) e rischiara la nebbia della dolorosa esistenza umana nella cupa Madre Russia, nella città ostile e inconoscibile. Vive a Mosca ma non ha mai visto il Cremlino, ogni volta che ci prova finisce sempre alla Stazione di Kursk, e quindi via lungo una fuga inutile e irreale per arrivare a Petuŝki dove lo aspetta sul binario la sua amata, la puttana lo aspetta. Tutto si vive e si perde lungo la linea ferroviaria Mosca-Petuŝki, di fermata in fermata, di bevuta in bevuta; tutto si sgrana e si accende. Tutto si scioglie in una bottiglia di vodka in un treno che non è un treno, in un’allucinazione che si è ormai inestricabilmente annodata con la realtà.

“[…] Va tutto per il verso giusto. Se vuoi andare a sinistra, Venička, vai a sinistra, io non ti impongo nulla. Se vuoi andare a destra, vai a destra.”
Sono andato a destra, un po’ barcollante per il freddo e la disperazione. Oh, il peso mattutino sul cuore! Oh, l’effimera sensazione di sciagura! Oh, il sentirsi senza scampo! Che c’è di più in questo peso che nessuno ha ancora definito con un nome preciso, che c’è di più? Paralisi o nausea? Esaurimento nervoso o mortifera angoscia, e mica poi tanto lontano dal cuore? E se ce ne fosse in dosi uguali, cosa prevarrebbe: la catalessi o il delirio?
“Fa nulla, fa nulla,” mi sono detto, “riparati dal vento e va’ avanti pian piano. E respira a rade boccate. Respira così, per non inciampare. E segui almeno una direzione, una qualsiasi. Non importa quale. Anche se prendi a sinistra finirai per sbucare alla Stazione di Kursk. E anche se vai dritto finirai alla Stazione di Kursk. Perciò prendi a destra, così ci finirai a colpo sicuro.” 
[…]
A farla breve ecco a voi il cocktail “Trippa di cagna”, una bevanda che obnubila tutto. Più che di una bevanda è di musica delle sfere che si tratta. Qual è la cosa più meravigliosa al mondo? La lotta per la liberazione dell’umanità. E ancor più meravigliosa? Ecco qua (prendete nota):
Birra di Žigulì 100g
Shampoo “Shadko – ospite di lusso” 30g
Lozione antiforfora 70g
Colla BF 15g
Olio dei freni 30g
Insetticida 30g
[…]
A dire il vero, sulla linea di Petuŝki i controllori non li teme nessuno visto che il biglietto non ce l’ha nessuno. Se qualche rinnegato fa nonostante tutto il biglietto perché in preda ai fumi dell’alcol, è naturale che non si senta a proprio agio quando passano i controllori. È per questo che quando questi si avvicinano per controllare il biglietto lui non guarda in faccia nessuno, né il controllore, né gli astanti, come volesse sprofondare sottoterra. Il controllore, dal canto suo, osserva con ripugnanza il biglietto che quello gli tende, lo fissa con sguardo annichilante, come se si trattasse di un essere viscido. E gli altri viaggiatori guardano lo “scroccone” con grandi occhi bellissimi, come a dire: hai abbassato lo sguardo, rincoglionito che non sei altro! Ti rode la coscienza, muso ebreo? […]
Coll’avvento del controllore-capo Semënyč tutto cambiò radicalmente: egli abrogò tutte le multe e le riserve. Semplificò tutto: da coloro che viaggiavano senza biglietto si faceva dare un grammo di vodka a chilometro. 
[…]
Quando le navi della Settima flotta americana attraccarono alla stazione di Petuŝki, di ragazze iscritte al Partito non ce n’era manco una, ma se si considerano le ragazze della Gioventù comunista come iscritte al Partito allora una di loro su tre era bionda. Dopo che le navi della Settima flotta americana ebbero levato le ancore, risultò quanto segue: un’iscritta della Gioventù comunista su tre era stata violentata; una violentata su quattro risultò essere iscritta alla Gioventù comunista; un’iscritta alla Gioventù comunista violentata su cinque risultò essere bionda; una bionda violentata su nove risultò iscritta alla Gioventù comunista. Se a Petuŝki le ragazze erano in tutto 428, calcola quante furono tra loro le brune senzapartito rimaste vergini.
“Ma a chi sta alludendo adesso, cagna che non è altro? Perché le brune sono rimaste tutte vergini e le bionde sono state tutte violentate? Che vuol dire con ciò, ‘sta parassita?”
– Pure ‘st’enigma non mi ci metto a risolverlo, Sfinge. Scusami tanto, ma non posso. È un enigma davvero disgustoso. Tira fuori il terzo che è meglio!…

E così via.
Le altre opere contenute nel libro sono tre brani brevi e un’opera teatrale intitolata La notte di Valpurga o “I passi del commendatore”. Ve la sintetizzo: cinque atti, si svolge in una corsia di un’ospedale psichiatrico, sono tutti matti suonati e ubriaconi, finisce che si bevono un bottiglione di alcool metilico.
Una follia degenerata; scritta nel 1985, non credo sia mai stata rappresentata.

Favoloso Venedikt Erofeev.

Nota: Qui intervista a Francesco Cataluccio che racconta la vita di Erofeev e parla del libro.

7 commenti su “Mosca-Petuški e altre opere – Venedikt Vasil’evič Erofeev

  1. Mauro Maraschi
    1 febbraio 2019

    “Io per esempio sono stato in Italia: là ai russi non prestano nessuna attenzione. Cantano e dipingono e basta. Uno, per dire, sta in piedi e canta. Un altro, lì vicino, sta seduto e dipinge quello che canta. Un terzo, più distante, canta di quello che dipinge… Viene una tale tristezza! Ma loro la nostra tristezza non la capiscono…”

    Venedikt Vasil’evič Erofeev, “Mosca-Petuškì”, 1973.

  2. Marco
    13 luglio 2017

    Gentili Marco e alter-ego,

    vi prego di eliminare queste mie poche righe e il primo commento da me postato, che contiene un piccolo refuso, e di pubblicare solo il secondo.
    Vista la simpatica dissociazione del suo Io, caro Marco, nello scrivere mi sono permesso di utilizzare direttamente il «voi», per non rischiare di urtare la suscettibilità del permaloso Cornelio Nepote. Saluti di nuovo e che il vostro blog continui ad aggiornarsi spesso,

    Marco (BL)

  3. 2000battute
    8 novembre 2012

    I mie amici del Bistrò del Tempo Ritrovato (http://www.bistrodeltemporitrovato.it/ – twitter: @tempo_ritrovato) mi segnalano questo video nel quale Francesco Cataluccio parla di Erofeev e di Mosca-Petuški: http://www.streamago.tv/general/24984/bookup-mym-cataluccio-erofeev.html

  4. 2000battute
    12 ottobre 2012

    Paolo Nori su “Limonov” di Emmanuel Carrère su Venedikt Erofeev di “Mosca-Petuški”: http://www.paolonori.it/gli-uomini-di-valore/

    • Marco
      13 luglio 2017

      Segnalo che nel settembre 2014 le edizioni Quodlibet hanno ripubblicato il volume di Erofeev – con il titolo «Mosca-Petuškì: poema ferroviario» – proprio con la traduzione di Paolo Nori, devo dire personalmente ottima e con alcune invenzioni linguistiche originali («ciclone» per la sbornia e «anticiclone» per il dopo-sbornia, fra le altre): è stata una manna perché l’edizione Feltrinelli del 2004 tradotta e curata da Gario Zappi è ormai introvabile; per chi fosse interessato e avesse la pazienza di ascoltare, a questi link lo stesso Nori legge integralmente – in quattro parti – il capolavoro del grande Venedikt:

      1) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/11/25/mosca-petuski-parte/
      2) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/12/02/mosca-petuski-seconda-parte/
      3) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/12/09/mosca-petuski-terza-parte/
      4) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/12/16/mosca-petuski-ultima-parte/

      Se mi è permesso di dare un consiglio di lettura, non perdetevi il romanzo «Sanin» di Michail Arcybašev, una verla perla, pubblicato centodieci anni fa e ben tradotto da UTET – nella collana Letterature – nel 2009 (si trova ormai a prezzi molto modici fra i cosiddetti «remainders») e in Russia definito all’epoca «pornografico» per i temi trattati; Arcybašev crea un personaggio, quello che dà il titolo all’opera, indimenticabile, a metà fra Bazarov e il principe Stavrogin, e divenuto celebre fra la gioventù russa dell’epoca, che si chiedeva se dovesse o no abbracciare il «saninismo» come stile di vita: una vita senza preoccupazioni di ordine ideologico, dove la sensualità e il libero amore la fanno da padroni – e da contorno al tutto il tema della disillusione dopo la fallita Rivoluzione del 1905 e del suicidio, trattato senza emettere condanne pregiudiziali. Bestialità, carnalità e pessimismo venato di superomismo che resero Arcybašev uno dei romanzieri più famosi del primo Novecento russo, capace di svincolarsi dalla scia ingombrante dei grandi dell’Ottocento. Insomma, una lettura davvero necessaria! A questo link, per farvi qualche idea in più, c’è la prefazione al volume, sempre di Nori (che in questo caso non ne ha curato la traduzione, che è di Ira Torresi):

      http://www.paolonori.it/sanin/

      Un saluto caloroso e complimenti per il lavoro di «propagazione cultural-letteraria» che portate avanti.

    • 2000battute
      15 luglio 2017

      Grazie. Sanin ce l’ho da anni ma ancora non l’ho letto. Magari questa è la volta buona

    • Marco
      13 luglio 2017

      Segnalo che nel settembre 2014 le edizioni Quodlibet hanno ripubblicato il volume di Erofeev – con il titolo «Mosca-Petuškì: poema ferroviario» – proprio con la traduzione di Paolo Nori, devo dire personalmente ottima e con alcune invenzioni linguistiche originali («ciclone» per la sbornia e «anticiclone» per il dopo-sbornia, fra le altre): è stata una manna perché l’edizione Feltrinelli del 2004 tradotta e curata da Gario Zappi è ormai introvabile; per chi fosse interessato e avesse la pazienza di ascoltare, a questi link lo stesso Nori legge integralmente – in quattro parti – il capolavoro del grande Venedikt:

      1) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/11/25/mosca-petuski-parte/
      2) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/12/02/mosca-petuski-seconda-parte/
      3) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/12/09/mosca-petuski-terza-parte/
      4) http://www.ilpost.it/paolonori/2014/12/16/mosca-petuski-ultima-parte/

      Se mi è permesso di dare un consiglio di lettura, non perdetevi il romanzo «Sanin» di Michail Arcybašev, una vera perla, pubblicato centodieci anni fa e ben tradotto da UTET – nella collana Letterature – nel 2009 (si trova ormai a prezzi molto modici fra i cosiddetti «remainders») e in Russia definito all’epoca «pornografico» per i temi trattati; Arcybašev crea un personaggio, quello che dà il titolo all’opera, indimenticabile, a metà fra Bazarov e il principe Stavrogin, e divenuto celebre fra la gioventù russa dell’epoca, che si chiedeva se dovesse o no abbracciare il «saninismo» come stile di vita: una vita senza preoccupazioni di ordine ideologico, dove la sensualità e il libero amore la fanno da padroni – e da contorno al tutto il tema della disillusione dopo la fallita Rivoluzione del 1905 e del suicidio, trattato senza emettere condanne pregiudiziali. Bestialità, carnalità e pessimismo venato di superomismo che resero Arcybašev uno dei romanzieri più famosi del primo Novecento russo, capace di svincolarsi dalla scia ingombrante dei grandi dell’Ottocento. Insomma, una lettura davvero necessaria! A questo link, per farvi qualche idea in più, c’è la prefazione al volume, sempre di Nori (che in questo caso non ne ha curato la traduzione, che è di Ira Torresi):

      http://www.paolonori.it/sanin/

      Un saluto caloroso e complimenti per il lavoro di «propagazione cultural-letteraria» che portate avanti.

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Questa voce è stata pubblicata il 6 ottobre 2012 da in Autori, Editori, Erofeev, Venedikt Vasil'evič, Feltrinelli con tag , , .

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