2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

L’anno nudo – Boris Pil’njak

L’ANNO NUDO
Boris Pil’njak
Traduzione di P. Zveteremich

UTET 2008

Bellissimo L’anno nudo di Boris Pil’njak, altra perla del (temo) defunto catalogo di UTET Letterature (dello stesso piccolissimo pozzo di perle, e ne sono tanto convinto che se mi chiedete un suggerimento di lettura vi dico di pescare un titolo a caso da là dentro e di certo non sbagliate, ho commentato il divertentissimo I mezzemaniche di Georges Courteline).
L’anno nudo l’ho letto qualche tempo fa e continuavo a ripetermi che volevo assolutamente inserirlo in 2000battute. Quindi, eccolo qua.

È il 1919, la rivoluzione esplode e penetra nell’eterna steppa russa.
Fine della trama.

Il resto non importa, non importa che sfumatura politica avesse Pil’njak, non importa se i tre principi Ordynin richiamano i Fratelli Karamazov; Boris Pil’njak aveva 26 anni quando l’ha scritto (la data di nascita sulla terza di copertina è sbagliata, 1894, non 1884), poi morì fucilato in un gulag, ma ha lasciato un libro scritto in modo meravigliosamente selvatico.

Quello che importa, l’unica cosa che importa ne L’anno nudo è come è stato scritto, sperimentando e osando, sbriciolando il lessico, la costruzione delle frasi, il senso delle parole, la voce narrante; tutto fatto a pezzi in rivoli di storie che partono e si disperdono a caso, a buffo, poi tornano, poi si ripetono in ripetizioni che si susseguono in un gioco di sonorità favoloso, che confonde e spiazza, ma se lo si segue, senza fare domande, senza chiedersi se Pil’njak era pazzo o epilettico o alcolizzato o soltanto un genio delle parole, ecco, se lo si segue come una musica, una sinfonia, un’accostamento di note e melodie, allora questo libro è magico.

Un pezzetto, preso aprendo a caso e leggendo.

La sera che Andrej arrivò non trovò Egorka. Nell’isba c’era odore di erbe, c’era pane e miele; il primo miele glielo diede Arina. Allora già cantavano i galli, e Arina, una bella donna, uscì per andare nella foresta nella notte.
La terra attira sè in maggio; in maggio, all’alba, nella nebbia. Le erbe di maggio odorano di dolci mieli; nelle notti di maggio c’è un odore amarognolo di betulla e di ciliegio selvatico; le notti di maggio sono fonde ed ebbre, e le albe in maggio sono purpuree, come il sangue e il fuoco. Arina era nata in casa di nonno Egorka in maggio, e c’erano: il maggio, il cielo, i pini, un ampio terreno e il fiume. Ella raccoglieva erbe insieme con la madre e con Egorka e da loro aveva imparato che, quando la terra in maggio impazzisce, con gli usignoli, con i cuculi, è matto anche il sangue dentro gli uomini, come il maggio, il mese della fioritura. […]
La rivoluzione giunse a Čërnye Rečki in maggio – attira nei mesi di maggio la terra. – E Arina accolse la rivolta come lo stregone Egorka, come i settàri della steppa.

Riesce a restituire l’odore profondo dell’immensa terra russa, il cupo biancore dell’inverno nella steppa, l’amaro dell’assenzio, il mondo dei mugik nelle isbe e dei signori nei palazzi, ricoperti di pulci e pidocchi, gli uni e gli altri, gli istinti che irrompono, la sessualità antica e ferina, fino alla descrizione finale della tormenta e della foresta, nella notte, cupa, epica, arcana, il buio e la luna, con i lupi che ululano, ululano, ululano… uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuhhhhhh.

Inverno. Dicembre. Feste di Natale.
Un bosco isolato. Gli alberi, coperti dalla brina e dalla neve, scintillano con azzurri diamanti. Al tramonto grida l’ultimo fringuello, una gazza crepita come una raganella d’osso. E silenzio. Enormi pini sono abbattuti e i rami secchi giacciono come un tappeto bizzarro. Fra gli alberi, nella torbida luce bluastra, la notte striscia come carta da zucchero. Con passi minuti, frettolosi, di corsa, saltella la lepre. In alto c’è il cielo, con brandelli blu fra le cime degli alberi e con le stelle bianche. D’attorno, celati al cielo, stanno ginepri e cupi abeti, impigliati, intricati con i loro rami sottili. Il mormorio della foresta si raduna regolare e penoso. Le gialle cataste di legna sono mute. La luna, come un carbone, si leva sopra l’estremo lembo del bosco. È notte. Il cielo è basso, la luna è rossa. La foresta si erge come una barriera pesante, inchiavardata col ferro. Il vento rugge e sembrano chiavistelli arrugginiti che stridono. I rami mozzati degli alberi abbattuti giacciono a terra in modo bizzarro, come ricci giganteschi tetramente irti di stecchi. Notte.
E allora, all’estremo lembo del bosco, fra i ricci dei pini, alla luce della luna comincia a ululare un lupo e i lupi celebrano le loro ferine feste di Natale, le nozze dei lupi. Una femmina ulula in modo pigro e stanco, i giovani maschi leccano con lingue ardenti la neve. I lupacchiotti sbirciano severi. Giocano, saltano, si rovesciano sulla neve i lupi, alla luce della luna, nel gelo. E il capo branco continua a ululare, ululare, ululare.

Inimitabile, splendido.

Nota: Pietro Zveteremich è il traduttore, a cui vanno enormi complimenti per l’impresa epica che ha compiuto nel restituire la selvaticità del testo, non minore di quella compiuta da Gario Zappi nel tradurre Mosca-Petuški di Venedickt Erofeev, altro genio folle della letteratura russa del Novecento.

2 commenti su “L’anno nudo – Boris Pil’njak

  1. Fabio
    27 dicembre 2021

    Buonasera. Seguo da tempo il blog, bellissimo, ma è la prima volta che vi pubblico un commento. Però mi sembra proprio il caso. Perché? Perché è da tempo che cercavo “L’anno nudo” di Pil’njak. Su vari siti, niente. In alcune (molte!) librerie antiquarie, niente.
    Alla fine oggi, a Gallarate dove mi trovo per le festività natalizie, ho provato a chiamare la fornitissima libreria “Carù”. E lo avevano! Fatto mettere da parte e comprato nel primo pomeriggio. Lo sto leggendo. Oltre alla bella introduzione di Cesare G. De Michelis, e in attesa del testo finale di Solženicyn (più o meno il mio scrittore preferito), le pagine fin qui lette di Pil’njak sono bellissime: dinamite pura. Cercatelo, trovatelo, leggetelo. Ne vale la pena, se si vuole capire cosa vuol dire per esseri umani diventare selvatici e se ci vuole salvare dalla selvatichezza.

    • 2000battute
      4 gennaio 2022

      “L’anno nudo” è folgorante.

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Questa voce è stata pubblicata il 10 novembre 2012 da in Autori, Editori, Pil'njak, Boris, UTET con tag , , .

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