«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
UN LEONE NEL PARCO DI PALERMO
Adolfo Bioy Casares
Traduzione di G. Felici
Einaudi 2005
Diciamo subito come stanno le cose in modo inequivocabile (e abusando del plurale maiestatico, ma mi serve per dare enfasi declamatoria e voce roboante) e mi spiace per chi non sarà d’accordo perché non saprei come dargli anche soltanto parzialissima ragione: Adolfo Bioy Casares è un grande scrittore, un grandissimo, uno dei più grandi scrittori di racconti—facciamo ex æquo e insieme a lui ci mettiamo anche Edgar Allan Poe e volendo lasciamo una o due sedie vuote che ognuno riempie come preferisce—e chiunque abbia in mente di scrivere un racconto dovrebbe leggerselo, e rileggerselo, e rileggerselo ancora e ancora un’altra volta.
Ho declamato, ma lo penso sul serio.
Bioy Casares è noto soprattuto per essere stato sodale del grande vate della letteratura argentina Borges, ma la sua fama, almeno alle nostre longitudini, è quanto mai miope e avara, spilorcia, gretta, per niente commensurata alla sua grandezza.
Ricordo però Michele Mari dichiarare che proprio Bioy Casares è stato il suo ispiratore e pure il mio amico Corrado, dotto esegeta kantiano, infervorarsi dicendo «I racconti di Bioy Casares! Stupendi! Stupendi! Devi leggerli, devi leggerli assolutamente!»
Grandezza che per altro Borges aveva ben compreso, visto che le cronache riportano queste sue parole:
Uno dei principali avvenimenti di quegli anni—e della mia vita—fu l’amicizia con Adolfo Bioy Casares. Ci eravamo conosciuti nel 1930 o 1931, quando lui aveva circa diciassette anni e io avevo appena passato la trentina. In questi casi si dà sempre per scontato che il più vecchio sia il maestro e il più giovane il discepolo. Questo può essere stato vero in principio, ma diversi anni dopo, quando cominciammo a lavorare insieme, fu Bioy che, segretamente, divenne il vero maestro.
E insieme i due hanno effettivamente prodotto meraviglie, da Sei problemi per don Isidro Parodi, folgorante e buffonesca raccolta di mini indagini che ho commentato qualche tempo fa, a Cronache di Bustos Domecq, che freme sul mio tavolo disordinato nell’attesa di essere letto.
Un leone nel parco di Palermo raccoglie 16 racconti che vanno dal 1948 al 1962 tratti dalle opere complete di Bioy Casares, non apparse in Italia ed è anche il titolo del penultimo.
A questo proposito Bioy Casares disse: «Ho riletto il racconto di recente e l’ho trovato scritto male; ho tentato di correggerlo […]»
Fermi un momento. Un leone nel parco di Palermo, il racconto, è straordinariamente bello.
Scappa il leone dallo zoo e si nasconde nel parco di Palermo, che è a Buenos Aires, non a Palermo. I personaggi sono chiusi nel Club Atlético, all’interno del parco e lì si svolge la trama surreale e assurda. Eccone un brano:
– Vedrete, vedrete, non ho paura, – gridò Orlandito, camminando sull’orlo di uno scaffale, con le braccia in alto.
Cercarono di prenderlo, ma riuscì a fuggire. Fuggirono anche, ma di nascosto, Renata e l’Altro Socio. Lorenzo, guidato dall’istinto, li trovò in cucina che squartavano e divoravano un cosciotto di vacca. Al di sopra della preda ci fu uno scambio di occhiate torve. Lo scontro parve inevitabile. L’Altro Socio e Renata si allontanarono, perché erano sazi. Lorenzo mangiò. Poco dopo russavano tutti.
Alle dieci e mezzo del mattino li svegliò il notiziario radio, con una trasmissione straordinaria che sanciva la seconda, imminente e totale cattura del leone, che per di più era già sistemato nella sua gabbia del giardino zoologico. Com’era prevedibile, risuonò immediatamente – secondo l’impressione di tutti, nelle vicinanze del club – l’immenso ruggito ferale. Lo seguì un terrorizzato gridolino umano, che mise in risalto – come quelle persone che si fanno fotografare vicino ai monumenti – le eccezionali proporzioni del ruggito.
Scritto male? Uomo molto ironico Bioy Casares, soprattutto verso se stesso.
I 16 racconti sono pura meraviglia, impastati di quel tono leggero e perfino scanzonato che ha Bioy Casares nel lasciare scivolare un sorriso tra le parole, non si sa se complice o beffardo, mentre prende rapido il lettore, lo porta in un certo punto, gli lascia un momento per guardare il panorama e bearsi della pace fittizia e poi lo giravolta nell’abbrivo della chiusa. Maestro dell’arte del racconto.
Il fatto che siano stati scritti a così ampia distanza temporale mostra l’evoluzione delle preferenze dell’autore. Bioy Casares, insieme a Borges, fu lettore appassionato di storie fantastiche e di intrighi criminosi, oltreché giocoliere di parole e di pensieri; e si vede bene.
C’è il fantastico, soprattutto nei primi racconti, ci sono gli intrighi surreali e quasi metafisici, c’è l’amore, mai lineare, anzi sgusciante come un’anguilla, e c’è l’inebriante giocolare con i sensi, gli echi, la forma e le ombre delle parole per costruire, storia dopo storia, ogni volta una storia nuova, ognuna con un suo sipario che si apre e si chiude, ma che insieme, una volta aperte, continuerete ad ascoltare come un coro ciarlatano o una banda sbilenca.
Nel mondo delle storie di Bioy Casares è tutto falso ma tutto credibile o anche il contrario, tutto vero ma non ci si può credere. Chi lo sa se in quell’aroma dolciastro e polveroso che si respira nelle calle porteñe dove si aggira Bioy Casares c’è più sensualità appassionata o veleno traditore; a volte sarà uno, altre volte sarà l’altro, ma noi non lo sapremo mai.
Vi copio l’attacco, prodigioso per ritmo e colore, de Lo spergiuro della neve e ditemi se a leggere questo pezzo non vi sembra di sentire il rumore delle scarpe di Buenos Aires, donna decadente e ridondante, anche se non l’avete mai incontrata.
La realtà (come le grandi città) si è estesa e si è ramificata negli ultimi anni. Ciò ha avuto le sue influenze sul Tempo: il passato si allontana con inesorabile rapidità. Della stretta calle Corrientes è durata di più qualcuna delle sue case che il ricordo; la seconda guerra mondiale si confonde con la prima e perfino «las treinta caras bonitas» del Porteño risultano divenute degne ad opera della nostra amnesia; l’entusiasmo per gli scacchi, che ha fatto sorgere effimeri chioschi in tanti angoli di Buenos Aires, dove la popolazione disputava i suoi incontri con maestri lontani, le cui mosse rifulgevano su scacchiere collegate per televisione (o così si credeva), è stato dimenticato del tutto, come il delitto di calle Bustamante, con “Campana”, “Beicapelli” e il “Sellaio”, l’Affermazione dei civili, la confusione e le milongas tra le bancarelle di Adela, il signor Baigorri che fabbricava tempeste a Villa Luro, e la Settimana Tragica. Quindi, non ci si dovrà stupire se, per qualche lettore, il nome di Juan Luis Villafañe non evoca assolutamente nulla. Non ci stupiremo neppure del fatto che la storia riportata più avanti, sebbene quindici anni fa scosse il paese, venga accolta come la tortuosa invenzione di una fantasia scriteriata.
Strepitosamente bravo Adolfo Bioy Casares, bellibellissimi questi racconti.
Nota: le citazioni delle frasi di Borges e di Bioy Casares sono tratte dall’ottima postfazione di Glauco Felici, curatore dell’opera. Nella stessa si dice anche che la selezione dei racconti si è fermata al 1962 in previsione di una successiva pubblicazione di racconti più recenti.
Correva l’anno 2005, come si dice in questi casi.
A oggi non risultano ulteriori pubblicazioni di Bioy Casares da parte di Einaudi (mentre Cronache di Bustos Domecq persiste nell’infelice condizione di libro non disponibile).
Adelphi invece ha iniziato a ripubblicare le opere di Borges e Bioy Casares; oltre i Sei problemi per don Isidro Parodi già citato, è apparso anche Libro del cielo e dell’inferno.
Da dritta o da manca quindi, si spera vivamente che qualcuno continui a pubblicare Bioy Casares.
Mi sono piaciuti solo i primi tre racconti: “La trama celeste” (che vale quasi quanto il capolavoro assoluto di Casares, cioè il romanzo “L’invenzione di Morel”), quindi “In memoria di Paulina” e “Lo spergiuro della neve” (anche se questo forse è un po’ troppo cervellotico, a dirla tutta). I restanti… sembrano scritti da un altro autore… Lo stesso Casares, citato da Felici nella postfazione, ne spiega il motivo: sembrandogli arzigogolati quelli più giovanili, prese a scriverne di più semplici: ma così è solo passato da un eccesso all’altro, per me. Né mi pare che il fantastico e il sentimentale, gli elementi costitutivi della sua opera, si fondano sempre armonicamente, mentre le trame diventano man mano infinitesimali. Il racconto che dà il titolo alla raccolta, poi, è davvero scritto male, perché ad assassinare il prof. Zanichelli dovrebbero essere stati, come negli scritti della Christie, gli altri personaggi, e non il leone come parrebbe a una prima lettura, ma non è che la cosa si capisca granché (ecco perché ho scritto “dovrebbero”). In ultimo vorrei ricordare che Glauco Felici ha tirato le cuoia, perciò non vedremo mai la seconda raccolta promessa; questo non è necessariamente un male, e se anche lo fosse, basta procurarsi in biblioteca o sul mercato dell’usato quelle precedentemente stampate in Italia da Editori Riuniti, peraltro anche con la collaborazione dello stesso Felici.
“In ultimo vorrei ricordare che Glauco Felici ha tirato le cuoia, perciò non vedremo mai la seconda raccolta promessa; questo non è necessariamente un male, e se anche lo fosse, basta procurarsi in biblioteca o sul mercato dell’usato quelle precedentemente stampate in Italia da Editori Riuniti, peraltro anche con la collaborazione dello stesso Felici.”
Carlos tu sei un genio. Ho riso come un matto per questo pezzo strepitoso. Grazie veramente, sei stato grande
ciao