«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
STORIE PER BAMBINI
Peter Bichsel
Traduzione di Chiara Allegra
Marcos y Marcos
Librino piccolopiccolo e bellobello questo Storie per bambini di Peter Bichsel, gran signore della letteratura svizzera, un nonno poeta che dice—a Mantova l’ha detto, quasi a scusarsi— «Bè io, a dire la verità, non è che conosca molto degli scrittori moderni, sono anziano, a me piace Goethe», ma ancora, nonostante i capelli bianchi e il passo malfermo porta in giro due occhi da bambino, luminosi e curiosi.
E con quei suoi occhi teneri scrive storie, come le sette storielline che compongono la raccolta Storie per bambini, che è la prima parte del libro; poi racconta di come si leggono le storie, di come le si narra, di come ci sono sempre storie che parlano di storie, come nelle cinque lezioni che tenne all’università di Francoforte nel 1982 che vanno sotto il titolo Il lettore, il narrare e formano la seconda parte di questo libro.
Le storielline di Storie per bambini non sono davvero per bambini, oppure lo sono ma solo un po’. Sono più per lettori con occhi fanciulli che fanno sorridere quando vedono una cosa buffa, una cosa che si arrotola mentre cerca di andare avanti, come un gatto che rincorre la propria coda o un cane che abbaia alla propria ombra, oppure come anche un vecchio che vuole verificare che la Terra sia veramente tonda e allora parte in una direzione, a Est o a Ovest, ma c’è da andare diritti se non si vuole confondersi, se c’è una casa, e una casa c’è, proprio alla fine del campo, allora, se c’è una casa bisogna scavalcarla, perchè c’è da andare diritti, e quindi serve una scala, poi c’è un fiume, e va guadato, lì dove s’ha da passare il ponte non c’è, e serve una barca, per l’uomo e per la scala, ma allora serve un carretto, per l’uomo, la barca e la scala, ma quindi serve una barca ancora più grande, per il carretto, l’uomo, la barca e la scala, ah ma allora servono uomini per portare tutto quel serraglio, e un carretto ancora più capiente, per gli uomini, la barca grande, il vecchio, la barca piccola, il carretto piccolo e la scala.
E allora, come si fa per vedere se la Terra è tonda?
Si parte, solo con la scala, come ha fatto il vecchio, che ancora non è tornato.
Questa è una, ve l’ho raccontata praticamente tutta.
Con le altre non lo faccio, ma sono così: dolci, buffe, stralunate, come le storie dei bambini, che fanno sorridere e venire quel non-so-che di tenerezza, solo che non sono storie di bambini.
Poi ci sono le cinque lezioni, che non sono lezioni come farebbe un professore o lo scrittore famoso. Sono lezioni che sono storie, storie di storie e storie di lettori e storie di come si legge.
Secondo me sono lezioni che leggerle fa bene, ma non come si ascolta un maestro o un professore o un altro saputello di quelli che ti vogliono spiegare perché tu leggi o come leggi o cos’è che non hai capito e loro sì, anche se poi evitano sempre di spiegare perché mai loro dovrebbero avere capito e tu no.
No, non così, che se fosse non scriverei che secondo me sono lezioni che fa bene leggere.
In un altro modo. Un modo pacato. Un modo pacato e sorridente, da gran signore con gli occhi da bambino che le parole troppo grandi le fa ritornare un po’ più piccole, così si vedono bene e si capiscono bene; quelle al singolare e con la maiuscola le mette al plurale e tutto minuscolo; e le cose che sembrano piccole e non fanno rumore, ma soltanto perché erano rotolate in un angolo, le riprende, le spolvera e le poggia educatamente davanti ai nostri occhi. Anche se a volte a guardarle il sorriso si spegne.
Le cinque lezioni si intitolano così: Storie sulla letteratura; La lettura; Come cominciare – A proposito dei contenuti; Joyce, per esempio; Storie che ha scritto la vita.
Un brano:
Una volta ci si chiedeva sempre se fosse ancora possibile scrivere poesie dopo Auschwitz. E oggi allora: è possibile sotto la minaccia della bomba atomica, il cinismo dei politici e le loro bombe al neutrone? E nelle condizioni attuali di disoccupazione e di fame?
Alla domanda è sempre stato possibile rispondere legittimamente con un sì o con un no. Certo, al mondo ci sono cose più importanti da fare, invece di chiacchierare di letteratura. Tuttavia è possibile farlo, malgrado tutto quello che accade.
Ma la domanda è legittima e, in fin dei conti, si tratta della questione dell’irresponsabilità del raccontare storie: è possibile agire in modo irresponsabile in un’epoca che avrebbe invece bisogno di responsabilità?
Però la domanda, posta in questo modo, è sbagliata, perché si riferisce soltanto al contenuto e allo scopo delle storie, invece di porre il quesito fondamentale, del tutto indipendente dal contenuto, che consiste nel chiedere da dove vengano, allora, il piacere o la coazione degli uomini a raccontare storie. Dopo tutto, il bambino che vuole sentirsi raccontare una storia, vuole innanzitutto sentirla raccontare.
Un altro:
Dalla letteratura si aspettano [i lettori e i non-lettori] un superamento — anche se soltanto illusorio — delle impossibilità della vita. L’autore è invece affascinato proprio da questo impossibile, dalla discrepanza tra lingua e realtà, dall’impossibilità di descrivere, dall’impossibilità di vivere. Egli non descrive delle realtà, non scrive “la Storia”, bensì delle “storie”. Per questo si distingue dallo storico, che crede che ciò di cui si occupa, per l’appunto “la Storia”, non si possa mettere al plurale.
Ma le parole che non si possono mettere al plurale sono parole particolarmente patetiche, da usare con cautela. Diffidate delle parole che non si possono mettere al plurale. Solo quando gli scrittori non scrivono “la Storia”, ma delle storie, allora — e qui mi contraddico di proposito — descrivono delle realtà, non la realtà. Se esistono varie realtà, allora non le chiameremmo più realtà, ma possibilità.
Un altro ancora, piccolo:
Raccontare storie per non dover parlare: anche questa può essere una delle ragioni per l’esistenza della letteratura. Credo che ce ne dimentichiamo tutti troppo spesso, quando avanziamo le nostre pretese nei confronti della letteratura. La letteratura non è la vita, non è la descrizione della vita. Si può vivere senza letteratura. La letteratura è qualcosa di accessorio. Nella letteratura la lingua assume un’altra funzione che nel parlare. La letteratura può scaturire dall’assenza di parola, dal rifiuto di parlare.
L’ultimo, che forse vi toglie il sorriso, se lo avevate. Ma forse ve lo fa venire, invece, non so.
Conosco una donna che vive per leggere. Non c’è nulla in lei che potrebbe escluderla dalla vita reale: è una donna bella, buona, intelligente. Ma la vita non le piace ed è assillata dall’idea del suicidio. L’unica cosa che la distoglie, all’ultimo momento, dal portare a termine il suo proposito, è il pensiero che dopo non potrebbe più leggere. È una decisione per la vita secondaria: vivere per poter guardare la vita — non osservarla o esplorarla, soltanto guardarla.
Ascoltare un gran signore con gli occhi da bambino, purifica l’anima.
(Piccola festa. Questo è il commento numero 100 di 2000battute. Sono contento che arrivi con questo piccolo libro.)