«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
CRONACHE DI BUSTOS DOMECQ
Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares
Traduzione di G. Felici e F. Tentori Montalto
Einaudi 1999
[Libro disperso]
Ecco uno dei miei cari libri dispersi, numero 604 del catalogo Einaudi Tascabili – Letteratura, tristemente accompagnato dalla dicitura “Esaurito”, opera della più formidabile coppia di stelle del firmamento letterario che abbiano mai calcato le rispettive penne sullo stesso foglio: Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares.
Il risultato è questo Cronache di Bustos Domecq, che uscì nel 1967 a firma dello stesso Bustos Domecq, il quale non esiste, ovviamente, ma neppure è uno pseudonimo (nom de plume, per i raffinati) dietro il quale i due si vollero celare. No, affatto, mai si sono voluti celare i due; Bustos Domecq è un loro personaggio, questo era noto, compare anche nei Sei problemi per don Isidro Parodi, e però è anche l’autore, e come ogni autore dice quello che vuole dire nel modo che decide. Chiaro? È un eteronimo, per la precisione.
Anche Pessoa lo ha fatto con Álvaro de Campos, in fondo. Basta prenderla con ironia e non c’è nulla di strano.
Sempre con ironia, che serve per leggere ed apprezzare Cronache di Bustos Domecq, che ne è intriso, ma non solo apprezzare, l’ironia serve per godere della sua lettura. È una questione di legno, di sartine dalle mani d’oro e di educazione.
Proprio così. Poi torniamo anche a quell’infelice annuncio: “Esaurito”. Avverto che da qui in poi quello che dirò sarà un pasticcio, visto che intendo mescolare commenti al libro con commenti alla questione di legno etc.
Faccio come Bustos Domecq, insomma, che sta sia fuori che dentro le pagine.
Intanto, per non farla troppo lunga, di che parla Cronache di Bustos Domecq? Lo dice il titolo: sono le cronache di don Bustos Domecq, ovverosia è un vademecum, scritto da Bustos Domecq, in altre parole è una composizione di didascalie, ritrattini, miniature di artisti argentini.
Artisti un poco particolari, tuttavia, perché, come dice Borges, questi sono:
[…] moderni e stravaganti artisti immaginari – architetti, scultori, pittori, grandi cuochi, poeti, romanzieri, creatori di moda
Cioè non esistono, come anche l’autore; e pure i ritrattini in sè e per sè sono un poco particolari, visto che, sempre ascoltando Borges, sono:
scritti da un critico fanaticamente moderno. Ma tanto l’autore che i suoi personaggi sono dei pazzi, ed è difficile dire chi di loro sia in buona fede.
Quindi, ricapitolando, abbiamo:
– un autore inventato, pazzo e forse in mala fede
– delle note biografiche su personaggi immaginari, pazzi e tutti un po’ cialtroneschi
Vi sembra una cosa da squinternati? Che esagerati, è divertente, è una burla, una scena farsesca, è ironia sul mondo e su se stessi, come quando si dicono cose serie ridendo e si ride di cose serie. In parte l’avevano gia fatto sempre nei Sei problemi per don Isidro Parodi, poi l’ha rifatto anche Roberto Bolaño (e siamo a tre di stelle polari della sfera celeste della narrativa moderna) con La letteratura nazista in America, solo che lui non si è inventato anche l’autore.
Ma cosa c’entrano il legno, le sartine dalle mani d’oro e l’educazione?
C’entrano, perché loro spiegano (che spiegano lo dico io, s’intende, quindi non chiedetemi la dimostrazione matematica del teorema) l’annuncio funebre di “Esaurito”.
Il legno c’entra perché leggere un libro come questo è come apprezzare il lavoro minuto di un intarsiatore col bisturi mentre fuori la gente assite a gare tra spaccalegna che tirano colpi di accetta.
Le sartine dalle mani d’oro c’entrano perché similmente, godere della lettura di Bustos Domecq equivale a essere una fanciulla prepuberale (o puberale da non molto) che s’incanta davanti al ricamo delicato della sartina su di un tulle mentre le coetanee strillano per la nuova linea di scarpe gommate fluorescenti.
E infine, c’entra con una forma di educazione che si deve possedere (non ridere tu… lo so che a volte io sono un grande maleducato, come quando faccio notare a una ragazza che ha le calze smagliate o cose anche peggiori, ma è un altro discorso). È una specie di educazione che assomiglia a mettere la mano davanti alla bocca quando si tossisce, oppure a lasciar scendere dal tram prima di salire, tenere la porta aperta per chi sta dietro o a non spingere. Poi si può essere anche più educati di così, super-educati, la mia amica Francesca, ad esempio legge l’italiano cinquecentesco di Pietro Aretino, cosa che io non sarei assolutamente in grado di fare. Per Borges e Bioy Casares non occorre arrivare a Pietro Aretino, ma a mettersi la mano davanti alla bocca quando si tossisce sì.
(scusate, faccio un inciso perché mi sento che devo assolutamente raccontare un aneddoto che c’entra con l’educazione, diciamo cavalleresca, che mi vien da ridere ogni volta che ci penso.
Allora dunque… una volta camminavo per strada con una ragazza che avevo conosciuto di recente, io a destra, lei a sinistra. Percorriamo una decina di metri quando io le scivolo dietro e mi posiziono alla sua sinistra.
«Che fai?» dice lei. «Niente, è che preferisco stare da questa parte», faccio io. Camminiamo ancora qualche metro e lei si volta verso di me con un gran sorriso e fa: «Ho capito, vuoi stare a sinistra perché così sono io a camminare vicino al muro… è una specie di… protezione della donna… un gesto da cavaliere» – «Eh?!» rispondo facendo la faccia sbieca, «Che cosa? No no, proprio per niente… è solo che sono mancino e mi dà fastidio camminare a destra».
Ah… se qualcuno ora si chiede che diamine di spiegazione sia quella del mancino che deve stare a sinistra… bè non lo so, tutte le volte che me lo chiedono perchè cambio lato – e cambio sempre lato – io rispondo così e sembra che sia convincente.)
Torniamo a noi. L’educazione, si diceva, quella che serve per leggere Cronache di Bustos Domecq. Già, è così, perchè questo libro non ha nessuna delle caratteristiche che fanno oggi un libro di successo. Non è avvincente, non ha una trama, non ci sono colpi di scena, non ci sono personaggi da seguire, non colpisce nè scuote; sesso, ammazzamenti, vagonate di passioni, battute da sganasciarsi, dialoghi serrati, ritmo pubblicitario, neanche l’ombra di tutto ciò. E allora? E allora finisce che gli appendono l’avviso “Esaurito”.
Eppure rimane un libro meraviglioso per stile, tecnica, tono ed eleganza, solo che richiede di essere abbastanza educati da seguirne il gioco minutissimo degli intarsi fatti a parole, degli scherzi surreali che la coppia divina cesella lasciando scivolare un aggettivo, un avverbio; il ricamo delicato dell’ironia che suona nella voce di Bustos Domecq, chissà se autentico oppure sarcastico da imbroglione che si sta facendo beffe di noi; la fantasia divertita dei due sodali che si sbizzarriscono nel fare a gara per inventarsi i caratteri dotati delle sfumature più grottesche e le buffonerie più fini e il ritmo lento, un ritmo d’altri tempi, fumoso, ozioso, circonvoluto come un vecchio swing.
Dal brano intitolato Un nuovissimo punto di vista:
Paradossalmente, la tesi della storia pura, che ha trionfato nell’ultimo Congresso degli Storici, tenuto a Pau, costituisce un ostacolo rilevante alla comprensione piena del congresso stesso. In aperto contrasto con la tesi in parola, ci siamo inabissati nel sotterraneo della Biblioteca Nazionale, sezione Periodici, per consultare i giornali del mese di luglio dell’anno in corso. Non meno plausibilmente è in nostra mano il bollettino in più lingue che registra in tutti i particolari le ardue discussioni e la conclusione cui si pervenne. Il promo argomento era stato: la storia è una scienza o un’arte? Gli osservatori notarono che le due opposte fazioni brandivano, ciascuna come propri, gli stessi nomi: Tucidide, Voltaire, Gibbon, Michelet. Non lascieremo a questo punto passare la gradita occasione di rallegrarci col delegato del Chaco, signor Gaiferos, il quale arditamente propose agli altri congressisti che fosse dato uno spazio preferenziale alla nostra Indo-America, cominciando, naturalmente, dal Chaco, cospicua sede di non scarsi valori. L’imprevedibile, come spesso accade, si verificò; la tesi che ottenne il voto unanime fu, com’è noto, quella di Zavasco: la storia è un atto di fede.
L’ora propizia era veramente matura perché il consenso sanzionasse tale affermazione, dall’aspetto rivoluzionario e improvvisato, ma preparata, dopo un gran rimuginare, dalla lunga pazienza dei secoli. In effetti, non c’è manuale di storia, non c’è Bignami che non l’abbia in qualche modo anticipata, con maggiore o minore sicurezza. La duplice nazionalità di Cristoforo Colombo, la vittoria nello Jutland, che si attribuirono egualmente, nel ’16, anglosassoni e germanici, le sette culle di Omero, scrittore di rilievo, sono altrettanti casi che si presenteranno alla memoria del lettore medio. […]
C’è un’eleganza nella scrittura di Borges e Bioy Casares, parente stretta dell’educazione di cui dicevo, che è andata perduta, come questo libro disperso, “Esaurito” lui, esaurita anche questa eleganza anti-televisiva, anti-efficientismo, anti-stereotipi e anti-ruffiana.
È un’eleganza di livello superiore, che non offre al lettore tumulti d’animo telecomandati, singulti, brividi ed erezioni più o meno disperatamente conformate, pulsioni pettorali serializzate e così via. Offre, invece, un piacere tutto intellettuale per il gioco di parole che zampettano come un equilibrista sulla fune tesa e mentre si susseguono, ridono, si divertono a provare quell’esperimento di equilibrio che pare doversi concludere da un momento all’altro e invece è solidissimo, perfettamente controllato dall’abilità degli interpreti che inventano, piroettano, sogghignano, si burlano con uno stile oggi, penso, inarrivabile, inaccessibile a qualunque autore contemporaneo.
In Cronache di Bustos Domecq è contenuta una parte importante dell’arte dello scrivere, ma è un’arte “Esaurita”, un [Libro disperso]. Richiede e offre un’eleganza e un’educazione che sono prima di tutto igiene e benessere personale, come lo è il tenere aperta una porta; sono la diga che contiene il dilagare dell’indecenza, quell’indecenza mascherata, la più subdola – è più indecente mettersi il profumo sopra la puzza che puzzare, no?
Lo so che può sembrare anacronistico, antimoderno, forse addirittura nostalgico evocare l’indecenza per un Bustos Domecq “Esaurito”, ma io penso che sia proprio così, una perdita irrecuperabile e una corruzione del gusto.