«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ZORBA IL GRECO
Nikos Kazantzakis
Traduzione di N. Crocetti
Crocetti 2011
Come si fa? Eh? Ditemi. Come si fa a dir male di Zorba il greco? Eh sì, perchè bisogna dire che non è un grande libro, è un buon libro, forse, ma che incespica, si avvita, Kazantzakis si sforza e si spreme come un limone per cavar parole da metterci dentro… e spremi che ti spremi… cava che ti cava… alla fine finisce che spremi anche la buccia di quel limone e cavi pure sassi e ci metti tutto dentro: succo e buccia, terra e sassi, tutto insieme dal tanto che ti sei sforzato di spremere e cavare. Il grano e il loglio… diceva uno famoso. Vanno separati. Ma qui non li ha separati per bene.
Insomma, bisogna pur dirlo, dico io, che Kazantzakis è un buon scrittore che si è spremuto anche più di quel che poteva, ma non ha la penna baciata dalla dea della scrittura. Si sente che suda e arranca, che quella penna, talvolta, la spinge come un mulo che si è impuntato. Altre volte si sente che aveva dei dubbi… si sarà capito?… forse non si è capito… e allora ripete… due, tre, quattro volte… ritorna da capo e ripete, allunga la strada… forse l’ho detto troppo piano? proviamo a dirlo più forte… e alza il tono della voce, allunga le immagini e i suoni, mette ancora un po’ di parole.
Però. Me lo chiedo di nuovo, Come si fa a dir male di Zorba il greco?
Bisogna forse essere dei critici, professionisti, intendo, di quelli che se c’è da dir male dicono male e a volte dicono male anche quando non ce ne era bisogno. È il loro lavoro, lo sanno fare. Ma io non sono un critico. Non è il mio lavoro dir male quando c’è da dir male. Io non ho un’etica professionale, una deontologia, una rispettabilità. Un imperativo morale. Un contratto da onorare. Una firma immacolata. Non le ho io queste cose importanti.
Io non devo per forza dir male quando c’è da dir male. Non devo neanche dir bene quando c’è da dir male. Dir bene quando c’è da dir bene quello sì, che altrimenti è meglio starsene zitti.
Io sono solo un lettore, non un critico; leggo perché mi piace e cerco di farmelo piacere, perchè se riesco a farmelo piacere, provo piacere e questo mi piace. Se non ci riesco, pazienza, non mi piace e non mi piace che non mi sia piaciuto.
Un po’ come con una donna, direbbe Zorba.
E quindi, di nuovo, come si fa a dir male di Zorba il greco?
Continuo a domandarlo perché sarebbe come chiedere come si fa a dir male di quella ragazza (o ragazzo, fate voi) là, quella bruttina, anzi un po’ racchia. Come si fa?
Eeeehhh… dirà qualcuno, Che ci vuole? Anzi, ci si diverte!
Sì, è vero, l’ho fatto anche io, risponderei. Però, direi poi, se tu mi ascoltassi, avresti sentito che ho appena raccontato la storia del critico e del lettore e ho detto che io sono un lettore, non un critico. Non hai capito la differenza?
Un critico dice male della ragazzina racchia, lo deve dire, lo dice senza neanche grattarsi la testa due volte. Ma un lettore? Un lettore, se è un bravo lettore, con la ragazzina racchia prima ci va a parlare, rimane un po’ con lei a chiacchierare e vede. Vede com’è la ragazzina racchia, a parte essere un po’ racchia. Magari è acida, antipatica, arrogante e insopportabile. Allora torna indietro e ne dice il doppio del critico. Oppure è una ragazzina simpatica, intelligente, forse un po’ troppo timida e impacciata, un po’ sgraziata, un calimero, ma una bella persona, una persona limpida.
Quindi?
Cosa fai? Come si fa a dir male di quella ragazzina? Ce l’hai un cuore? Senti qualcosa o solo il ronzio metallico dei tuoi neuroni?
Ecco perchè io non ci riesco a dir male di Zorba il greco, anche se magari se lo meriterebbe. Però io non lo voglio dire. Perché Nikos Kazantzakis è uno scrittore onesto; lo dice subito che il suo è un libro-calimero, lo ammette, basta credergli invece di far sempre gli eterni diffidenti che dubitano anche dei respiri.
Il suo non è un grande libro e lo sapeva. Sapeva di averlo strascicato, di aver ecceduto con l’enfasi, le ripetizioni, la storia trita e ritrita del Buon Selvaggio che illumina il Malinconico Intellettuale, la retorica agreste del ritorno alla Natura, arida, dura, crudele, meravigliosa, sbocciante di vita e di colori, l’apologia del Mondo Semplice e della Mente Ingenua, la novella consolatoria e masochista della Saggezza perduta dal Mondo Moderno e sparpagliata tra la sabbia di una desolata spiaggia cretese.
Lo sapeva e non lo nasconde. Lo accetta, è il meglio che riusciva a fare per poter comunque raccontare quello che gli stava a cuore: il suo ricordo di Alexis Zorbas.
Questo è il libro. Il suo ricordo, di Nikos Kazantzakis, di Alexis Zorba(s), la “s” è decaduta nella versione italiana. Vero o immaginario che sia, il ricordo o anche la persona, non importa, non fa differenza, domanda inutile.
Il libro è Zorba, il resto, quello che ci sta intorno, serve solo da pretesto, malfermo, per raccontare Zorba. È una dedica del cuore.
Zorba… bè Zorba è Zorba, è la persona che tutti avremmo voluto conoscere, che tutti vorremmo come amico (dico “tutti” non perchè sia sicuro che lo vorrebbero davvero tutti, sia inteso), che tutti vorremmo ricordare come l’ha ricordato Kazantzakis, perché Zorba rappresenta la sincerità allo stato puro, animale, senza sovrastrutture o impalcature, imperfetto, imbroglione, cialtronesco, temerario, folle, un somaro fatto e finito, però sincero, sempre e comunque, costi quel che costi. Zorba è quello che vive ora, adesso, non ieri o domani, non un’ora fa o tra dieci minuti, Zorba vive quello che è in ogni momento. Zorba è quello che se non sa dire comunica ballando e con la musica e alla fine comunica tutto quello che vuol dire, è quello che ama finché ama e, finché ama, ama come più non si potrebbe, poi riparte, quando finisce, semplicemente riparte, Zorba si batte senza paura, imbroglia senza rimorso e si meraviglia ogni volta di ciò che non si può capire. Come il cielo, il sole, il vento o il mare. E le cose che dice Zorba delle donne? Cosa non dice! A chiunque altro, sono sicuro, più che sicuro, che molte di voi vorrebbero cavare gli occhi con un cucchiaino da caffè rovente, se si azzardasse a dire quel che dice Zorba. Ma sono altrettanto sicuro che a Zorba sorridereste, Zorba è Zorba, o lo prendi così com’è oppure vola via, pensereste. È un personaggio da favola, quindi, Alexis Zorba.
Per questo si prova empatia, lo si vorrebbe abbracciare, fa sorridere, non se ne parlerebbe mai e poi mai male. Perchè, come lo sono spesso le favole, è il riflesso pulito della nostra coscienza sporca.
Non racconto nulla della storia. Vi lascio soltanto con un po’ della voce di Zorba.
Mi alzai.
“Vieni Zorba”, gridai, “insegnami a ballare!”
Zorba saltò su, il viso gli si illuminò.
“A ballare, padrone?”, disse, “A ballare? Vieni!”
“Avanti Zorba, la mia vita è cambiata, e vai!”
“Per prima cosa ti insegno lo zeimbèkiko, un ballo selvaggio, da valorosi. È quello che ballavano i comitagi prima della battaglia.”
Si tolse le scarpe, gettò via le calze color melanzana, rimase con la camicia, ma si sentiva soffocare. Gettò via anche quella.
“Guarda il mio piede, padrone”, ordinò, “osservalo bene!”
Allungò la gamba, sfiorò leggermente la terra col piede, allungò l’altra, i passi si intrecciarono selvaggiamente, gioiosamente, la terra risuonò.
Mi mise il braccio sulla spalla.
“Vieni, ragazzo mio, noi due!”
Ci buttammo nel ballo, Zorba mi correggeva, serio, paziente, con tenerezza; io prendevo coraggio, sentivo che i miei piedi pesanti mettevano le ali.
“Bravo, sei un’aquila!”, gridò Zorba per darmi il ritmo. “Bravo ragazzo mio! Al diavolo le carte e i calamai! Al diavolo i beni e gli interessi. Ora che balli anche tu e impari la mia lingua, ne avremo di cose da raccontarci!”
Strascicò i piedi nudi sulla ghiaia, battè le mani.
“Padrone”, gridò, “ho molte cose da dirti, non ho mai amato nessuno come te. Ho molte cose da dirti ma la mia lingua non ci riesce… Allora te le dico ballando. Scostati un po’, sennò ti pesto! Vai! Hop! Hop!”
Fece un salto, le sue gambe e le mani diventarono ali. Si lanciava eretto sopra il suolo, e vedendolo sullo sfondo del cielo e del mare mi sembrava un vecchio arcangelo ribelle. Perché quella danza di Zorba era tutta una sfida, un’ostinazione, una rivolta.
Avresti detto che gridasse: “Che cosa puoi farmi, Onnipotente? Non puoi farmi nulla, soltanto uccidermi. Uccidimi, me ne frego, mi sono tolto la soddisfazione, ho detto quello che volevo dire; ho avuto il tempo per ballare, non ho più bisogno di te!”
Nota: Questa edizione di Crocetti è la prima traduzione integrale, di Nicola Crocetti stesso, dal testo greco originale del 1943. Quella esistente in passato era una traduzione dalla traduzione inglese.
Altra nota: Forse non tutti sanno che il syrtaki, il famoso ballo tipico ballato nel film Zorba il greco di Michail Cacoyannis del 1964, non è un ballo tipico. Venne creato appositamente per il film dal grande Mikis Theodorakis. Zorba, nel libro, balla lo zeimbèkiko. Ma non importa, la scena finale del film è bellissima lo stesso.