2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Guardami – Jennifer Egan

guardamiGUARDAMI
Jennifer Egan
Traduzione di M. Colombo e M. Testa

Minimum Fax  2012

Avete mai mangiato un BigMac? Letto la Gazzetta dello Sport? Donna Moderna? Avete mai visto la commedia di stagione, che so… uno degli ultimi Woody Allen o un tardo Ozpetek? E il telegiornale, lo vedete il telegiornale? I programmi del pomeriggio? La De Filippi, avete mai visto la De Filippi? Oppure… la prima pagina di uno dei quotidiani nazionalpopolari, la leggete? I titoli, quei titoloni e titolini de La Repubblica, il Corriere…, li leggete quelli?
E i film di 007, quanti ne avete visti? Mi ricordo – saranno vent’anni che non ne vedo uno, quindi forse adesso sono cambiati – che James Bond fumava prendendo sempre il pacchetto di lato con pollice e indice, come se fosse un profilattico, per non coprire la marca, vero che faceva così? Oppure quando doveva guardare l’ora sollevava il polsino della camicia fino a metà avambraccio in modo che l’orologio potesse essere inquadrato bene in tutti i dettagli, perfino quelli del cinturino. Faceva così, dai, ve lo ricordate? Oppure… chi non ha ascoltato Lady Gaga o Madonna? Laura Pausini? Una di quelle cantanti nuove che hanno solo il nome e mai il cognome, dai, chi non le ha ascoltate qualche volta, eh?

E ammettiamolo che immergersi di tanto in tanto nella palude fruttata con pezzi di fragola sintetica della più plateale mediocrità, nei fumi aromatizzati al gusto cannella del grasso nazionalpopolarismo, nella lounge del centro benessere del conformismo globalizzato dà un certo sollievo anche agli spiriti più spocchiosamente snob ed elitari che si piccano, loro, di nutrirsi solo e soltanto dell’ambrosia delle belle lettere, dell’arte sopraffina e dei pensieri complicati.
(Vostro Onore, mi dichiaro colpevole di tutti i capi di imputazione e mi appello alla clemenza della Corte)
Si può fare, anzi magari fa pure bene, rilassa i nervi, qualche volta grufolare beati nella salsa della mediocrità conclamata senza per questo contorcersi per cercare di negare il senso di lieve soddisfazione che si è provato nel farlo. Si possono fare, coscientemente, deliberatamente e con l’anima candida come i denti rifatti di una presentatrice televisiva tutte le cose mediocri che la vita ci offre, basta non abituarcisi troppo o non sprofondare troppo a fondo nella palude fruttata, che le fragole sintetiche, ancor più di quelle naturali, in grandi quantità sono ultratossiche, perfino mortali, con effetti anche peggiori del morbo della mucca pazza.

Per tutto questo, e se siete d’accordo con la teoria dell’assunzione di mediocrità conclamata in piccole dosi, allora dico con spirito lieve e senza tanti scrupoli morali che si può tranquillamente leggere Jennifer Egan e il suo Guardami ammettendo pure di averlo fatto con una certa bramosia di arrivare alla fine di quella specchiata, inconfondibile, trapanante esibizione di mediocrità al gusto cannella spumata di latte di soia che è questo libro.

Insomma, Jennifer Egan è incontestabilmente la regina di quel genere letterario nato nell’attuale epoca della Grande Depressione Psicologica che, con ignoranza asinina, ho battezzato letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua.
Non sto qui a ripetere gli assiomi e i lemmi che formano il corpus semantico di tale  definizione somaresca e mi accontento dell’intuizione onomatopeica; i perditempo che ne volessero conoscere più dettagliatamente le sfaccettature surrealiste sono gentilmente invitati a consultare il mio commento a Questioni delicate che ho affrontato dall’analista di Matthew Klam, e precisamente l’ottavo paragrafo, quello che inizia con “Ora dico quell’altra cosa un po’ da critico a cui accennavo.”

Ritorno a bomba sul libro, che non è il successore del pluripremiato e pluriacquistato Il tempo è un bastardo, libro che qualche guizzo di ispirazione lo ha lasciato trasparire nonostante il format preconfezionato, ma è antecedente, del 2001, quindi, per usare una metafora culinaria, è il soffritto nel quale si è rosolato il polpettone della letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua dei tempi della Grande Depressione Psicologica (a proposito, per cuocere un polpettone si fa il soffritto? Mmmh… dite di no? Va bè, polpettone surrealista all’americana.)

Ora viene il bello, perchè dopo tanto ciancicare devo pur darvi qualche prova, o se non proprio delle prove almeno degli indizi plausibili di quanto vado sostenendo. Ossia, le tracce inequivocabili della fioritura del seme della letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua.

Iniziamo. Mi dilungo un po’ e racconto parte della trama, sappiatelo e se volete seguitemi fin quando potete resistere alla sonnolenza.

1) Le location, come dicono le PR coi capelli piastrati anche al risveglio.
La prima: New York, la città-icona per definizione, presenza imprescindibile per tale genere letterario, dove per New York si intende naturalmente solo Manhattan e, al massimo, ma solo tra gli avanguardisti di discendenza ebraica, Brooklyn, però la parte nord, quella chiccosa e progressista.
Seconda location: anche questa un must del filone letterario, l’anti-icona, un qualche paesucolo fetente del Midwest rurale e bifolco guarnito di relitti industriali, superstrade e fast-food. Nella versione italiana del genere letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua, le location sono, ad esempio, per la città-icona la Milano-da-bere di Brera/Corso Como/Montenapoleone e per l’anti-icona un terrificante agglomerato di capannoni e fabbrichette della deprimente spianata veneta oppure una pietraia sarda.

Il gioco è semplice: il bene e il male, il bello e il brutto, lo yin e lo yang de no’antri, il buono e il cattivo, che si sa, è l’ossessione tantrica degli americani, i quali, comunque li giri, comunque si agghindino, sono flagellati dall’impellenza scolastica di tracciare sulla lavagnetta la colonna dei buoni e quella dei cattivi, poi magari iniziano a spostare i nomi un po’ di qua e un po’ di là, oppure prima fanno vedere come uno sembri buono (o cattivo) e poi, per l’annosa questione della maschera, della posa, del conformismo sociale, delle seghe mentali bla bla bla… si scopre che il buono (o cattivo) era cattivo (o buono). Però, che la prendano di dritta o di babordo, la lavagnetta con le due colonne è più forte di loro, come il tacchino per il giorno del Ringraziamento o confondere la Prussia con la Russia.

Ecco quindi che la città-icona e l’anti-icona sono indispensabili in questo genere letterario: NewYork la sfavillante bomboniera di tutti gli splendori e meraviglie il mondo offra, carnaio di bellezza, ricchezza e talento, e il paesello fetente del Midwest, emblema della morte civile, intellettuale, carnale, sensuale, neuronale, estetica e genitale, culla dello stato vegetativo ingozzato di porcherie di provenienza cinese.

La lavagnetta dei buoni e dei cattivi però, essendo gli scrittori cult della letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua gente smaliziata e con visione stereoscopica, va scaravoltata un po’: New York è anche la fogna più fogna del globo terracqueo, gli sbarluccicanti newyorkesi della mondanità e degli attici con affaccio su Central Park sono degli schifosi disposti a cavare il sangue e le budella alla propria madre pur di conservare il rango sociale e la tronfia aura di eletti, degli  psicotici maniaco-depressivi, drogati e corrosi fino al midollo che da un momento all’altro rischiano di precipitare dalle scale del successo di Manhattan direttamente nella cloaca di raccolta di tutta la merda dei miserabili del Queens. A far da contraltare, il fetente paesello del Midwest sprigiona dai suoi parallelepipedi di plastica e dalle sue villette-fotocopia con personalizzazioni stile Tudor o stile pueblo o stile Venezia dei Dogi o stile Taj-Mahal o stile vattelapesca un’inaspettata nebbia di placida rilassatezza, di ma-chi-cazzo-me-lo-fa-fare, un ritorno alla semplicità salvifica e curativa anti-ansiogena, il tepore dell’ottusità, il caldo abbraccio del centro commerciale stracolmo di beoti. Un gioco letterario teso su una lama di bisturi, insomma, per capirci.

2) I character, cioè i personaggi: archetipi, sagome, marionette da sit-com, moncherini sgambettanti e iperattivi, ma… attenzione battaglione!… con caratteristiche conformi al modello icona/anti-icona; anche loro devono essere iconici e anti-iconici, perché è in questa, e solo in questa, contrapposizione semantica che si dischiude tutto il senso profondo come il Reno (quello di Bologna però, non quello di Germania) della letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua. E quindi, i personaggi devono essere al contempo sessuomani e sessuofobi, intellettuali e cialtroni, immacolati e luridi, astemi e alcolizzati, di genio e dei falliti, buoni e stronzi, bellissimi e devastati.

In Guardami la Egan li infila praticamente tutti. Lei, l’eroina del romanzo, Charlotte è una modella sul viale del tramonto, trentacinquenne che ne dichiara ventotto, quindi comunque una tardona per il settore, si tratta solo di definire il grado di tardonaggine, eppure ancora una strafiga strepitosa e con le tette più sode della media, di quelle che-si-vede-che-hanno-qualcosa-in-più oltre alla bellezza. Si sfracella la faccia in un incidente e le viene ricostruita con “ottanta viti di titanio” (ripetuto forse ottanta volte) e da qui l’angoscioso dilemma esistenziale: sono io o non sono io? chi sono io per me? chi sono io per gli altri? Da modella che-ne-ha-viste-tante, proveniente dal fetido paesello del Midwest “centocinquanta miglia a ovest di Chicago, quasi in Wisconsin”, diventata un animale della notte newyorkese e che deve tirare a campare e a filosofeggiare, si è fatta, ovviamente, scopare da tutti e continua a farlo finchè smette di colpo e non si fa più scopare da nessuno, rantolando come una gatta in calore tra gli spasmi del desiderio di essere penetrata. Sembra zoccola, ma non lo è. È un po’ zoccola, ma in modo esistenziale, cioè raccatta stalloni per vederne l’anima segreta, una specie di alone fantasmatico che coglie con occhiate stregonesche e capisce tutto. Insomma, un personaggio tragicamente composito, di quel tipo di profondità che gli americani capiscono senza sbriciolarsi le meningi con sofisticazioni da europei.

Poi c’è un’altra Charlotte, questa volta una ragazzetta sedicenne del paesello fetido del Midwest, bruttina ma intelligente, tormentata dal non avere le tette e da sovrastrutture esistenziali che ne fanno la palpitante anti-eroina della storia. Famiglia medio-borghese, madre ex-bellezza ma ancora assai piacente, tormentata anch’essa in puro stile casalinga disperata dai ricordi delle selvagge scopate in situazioni da arresto immediato per atti osceni in luogo pubblico con l’amante perduto a causa della malattia del figlio Ricky, una brava madre e una brava donna americana insomma. C’è il fratellino Ricky, quasi guarito dalla leucemia che diventa skater (francamente insopportabili i dettagli sulle evoluzioni con lo skateboard) e si fa di hashish con ragazzetti più grandi di lui. Infine, il padre, personaggio anonimo che serve solo a riempire il quadretto famigliare, il solito padre ottuso e coglione che pensa solo ai soldi che guadagna e non capisce un tubo di tutto il resto.
Serve il bene e il male, però – ricordate, il pilastro portante di questo genere letterario in equilibrio su quell’unico puntello? – e quindi la neghittosa Charlotte, la ragazzina, che fa? Decide di farsi scopare, pure lei, prima scientificamente da un coetaneo che ovviamente in seguito neanche la riconoscerà, poi illegalmente ma con amore da un adulto, un professore di matematica, un tipo strano e ambiguo che vive isolato in una casetta spoglia e col quale si accoppia pornograficamente raggiungendolo in bicicletta in piena notte (solo pudici accenni, niente dettagli più scabrosi di “pene in erezione” o “presa da dietro” oppure “con lui ha fatto quello che non ha mai fatto col marito”, Guardami è un libro per americani o americanizzati perbene, mica sozzerie immaginifiche da europei alla Isabella Santacroce).
(Nota: ma in quelle famiglie americane ossessionate dalla sicurezza e dal perbenismo, una ragazzina di sedici anni può entrare e uscire in piena notte per recarsi in bicicletta a praticare didascaliche sessioni di sesso… “mi ha messa a sedere sul lavello e l’abbiamo fatto in piedi”… “mia ha piegata in due sollevandomi le gambe”…  senza che nessuno se ne accorga mai? Mah!)

Proseguo.
Altro personaggio iconico è uno strano terrorista fondamentalista islamico che ha una rabbia che più rabbiosa non si può contro gli americani del complotto globale e universale ai danni dei poveri come lui e vuol fare un attentato terribile, che però non si sa quale sia (il libro è stato scritto dopo il primo attentato al World Trade Center, quello che avvenne nei sotterranei e fece alcune vittime, ma prima dell’11 settembre 2001).
Icona: questo è cattivissimo, il Male in persona secondo la definizione accettata dagli americani dopo il crollo del muro di Berlino, anzi è mefistofelico, camaleontico, si insinua come un cancro nella New York  scintillante, da poveraccio scacciato per il vestito di poliestere fino a impresario di locali notturni imbottiti di modelle (e anche lui col “pene eretto” per la bramosia di vedere la bellezza e ricchezza dei vip… la Egan deve avere una sorta di monomania se non fa altro che vedere dappertutto uomini con erezioni oppure quelli dell’ufficio marketing le hanno detto che il “pene eretto” è iconico e va sempre bene) .
Modelle? Provate un po’ a indovinare quale modella acchiappa al volo, al primo colpo, facilmente come cogliere un fico maturo da un albero sul bordo di un viottolo di campagna? Bravi, indovinato.
Anti-icona: non può essere solo il Male, la Regola impone. Quindi è anche il Bene e infatti fa una giravolta esistenzialista strepitosa (questa non ve la dico).

Altro personaggio (vi risparmio i minori, ma con quelli la Egan ha fatto il giro completo dei character da sit-com): lo zio Moose, zio di Charlotte ragazzina e un tempo bramato (nonchè scopato, ovviamente, ma solo per onor di statistica, niente di più) da Charlotte modella.
Icona: Moose da giovane è il bonazzo americano superatleta, campione di sci acquatico e football americano, montagna di muscoli e cuore gentile, bello come Apollo, idolatrato come un re e spasimato da chiunque, maschi (come amici-sudditi, qui di gay non ce ne sono, solo una spruzzatina di lesbo en passant per corroborare certi tratti sessuomani) e femmine (queste come amanti-schiave d’amore).
Anti-icona: Moose un bel giorno riceve l’illuminazione sulla strada per Damasco (Damasco cittadina fetente del Midwest però) e “vede”, ha una “visione”, capisce. Capisce cosa? Capisce tutto. Capisce dove sta andando il mondo, l’America, la società, gli uomini, la tecnologia; capisce la storia, il fluire del tempo e degli eventi, capisce il destino, prevede e profetizza. In una parola si trasforma di botto da bonazzo superatleta concentrato di ormoni in una specie di monaco cistercense, uno stilita penitente, un devoto flagellante della fede nella Storia e nella Conoscenza. Si trasforma in intellettuale, anzi di più: da metalmeccanico che era, in quattro e quattr’otto, diventa professore universitario di Storia. Sarebbe già un salto carpiato abbastanza stupefacente se anche fosse diventato normale professore di Storia, ma invece non basta! Diventa un pazzo geniale, uno alla L’attimo fuggente – Carpe Diem e tutte quelle favole lì, un invasato trascinatore di menti imberbi che però va fuori di testa e quindi invece che diventare una superstar accademica diventa un accademico fallito. Ma si sa che di fianco a qualunque buon genio fallito e dall’animo puro, almeno in America, c’è sempre una santa donna che lo ama e se ne prende cura. E infatti la Egan, da brava confezionatrice di stereotipi, ce la mette. Non serve a niente, sembra un’idiota, ma c’era la casellina vuota e andava riempita.

Infine – lo so che sto abusando della vostra pazienza, ma quando si affonda il colpo bisogna farlo fino in fondo – l’investigatore privato. Eh sì perché c’è anche un abbozzo di thrilling in questo Guardami, abbozzo piuttosto scialbo a dire il vero.
Investigatore privato: icona e anti-icona.
«Noooo… non ci possiamo credere», mi sembra già di sentirvi ululare, «Dai no, non può essere, dicci che non è così.» Volete che vi menta? Mi chiedete davvero di raccontarvi una balla colossale? Me lo invento? Volete che me lo inventi? No, no e poi no!
È proprio così! Non c’è neanche bisogno che lo scriva tanto lo sapete già. Non lo scrivo. Dico solo “investigatore privato: icona e anti-icona”, questo basta, dovete solo credere a voi stessi, io non c’entro niente se non avete fiducia in voi.
Avete fiducia? Non tanta? Devo dirlo? Mi costringete a dirlo? Va bene. Ma solo il minimo, telegrafico.
Come deve ob-bli-ga-to-ria-men-te essere un investigatore privato secondo la Regola del polpettone americano? Trasandato, spettinato, intelligente, con una vita di merda, poveraccio, una famiglia devastata, un ufficio in un posto fetente, disordinato, canagliesco ma onesto, alcolizzato che cerca di smettere oppure ex-alcolizzato che ci ricasca, adorabile in fondo. Egan, compitino eseguito con molta diligenza.

Basta, aggiungo solo che Orson Welles de L’infernale Quinlan non ha proprio insegnato niente a questi scrittori cult della letteratura-vitedimerda-che-somigliano-alla-tua.

Chiudo, adesso chiudo. Dico solo l’ultima cosa sullo stile. Si domanderà: Ma almeno scrive bene?
Rispondo cartesianamente dicendo: Si è quello che si scrive.

Jennifer Egan scrive in modo molto semplice, confeziona una storia mettendo insieme i pezzi sparsi e tirando qualche filo, a volte più che alzarle fa precipitare architravi come un maldestro carpentiere; scrive per offrire il libro di stagione da far volare via nella noia di un treno o come alternativa al vuoto serale. Scrive senza musica, confeziona, non compone e ogni tanto prende stecche, come il seminare aggettivi insensati solo per ansia da mancanza di descrittività. L’errore più comune degli scrittori incerti che soccombono all’horror vacui dell’assenza dell’aggettivo e allora ne piantano due o tre badilate su oggetti tra i più comuni che nessuno si sognerebbe mai di infarcire in quel modo stomachevole, neanche fossero dei Dunkin’ Donuts con tripla glassatura fosforescente, che poi quando uno legge pensa “Ma scusa, Egan, tu hai mai sentito qualcuno di normale parlare in questo modo?”

Esempio. Quale delle due frasi, se vi venisse rivolta vi farebbe pensare “Ma come parla questa?”

1) Rimasi seduta sul mio divano angolare con gli occhi puntati sulla tempesta di neve che c’era fuori, fantastilioni di puntini bianchi che si scagliavano contro la portafinestra scorrevole in preda a una frenesia subatomica.

2) Rimasi seduta sul divano con gli occhi puntati sulla tempesta di neve che c’era fuori, milioni di puntini bianchi che si scagliavano frenetici contro la portafinestra.

Bravi, indovinato anche questa volta. Ce ne sono decine di paragrafi come questo nel libro.
Basta così, ho affondato a sufficienza.

Comunque, riprendendo la teoria sui benefici dell’assunzione di mediocrità conclamata in piccole dosi, questo polpettone di libro l’ho letto con un certo gusto e anche in modo brioso visto che le pagine volano rapide senza sforzo, un po’ come quella volta, che ricordo sempre con molta simpatia, quando, diversi anni fa, una sera mi rimbecillii a guardare la serie televisiva 24 che mi avevano prestato, quella col nazista Jack Bauer che salta da un aereo dentro un fungo atomico e si graffia appena un po’ un gomito, solo che mi rimbecillii a tal punto che ne guardai almeno una decina di puntate di seguito, finché non sentii il mio vicino di pianerottolo che usciva di casa per andare al lavoro e un po’ seccato pensai “Mi sa che ho fatto un po’ tardi, forse è meglio che spenga”. E quindi, se mangiare un polpettone ogni tanto può pure far piacere, non mi rimane che salutarvi con: Buon Polpettone a Tutti!

Nota: il libro è un regalo natalizio degli amici del Bistrò del Tempo Ritrovato. Regalo molto gradito e apprezzato, nonostante il commento un po’ da bestia, e per il quale li ringrazio anche qui.

Altra nota: sappiate che dalle recensioni che ho intravisto, mi pare di essere completamente controcorrente. Me ne faccio una ragione. Ognuno, come al solito, legge il proprio libro.

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Questa voce è stata pubblicata il 5 gennaio 2013 da in Autori, Editori, Egan, Jennifer, Minimum Fax con tag , , .

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