«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’UOMO CON IL SOLE IN TASCA
Cesare De Marchi
Feltrinelli 2012
Lo dico subito: la copertina con la quale qualcuno, nelle stanze feltrinelliane, ha deciso di ridicolizzare questo libro rivestendolo di un obbrobrio che sembra un misto tra un volantino di una setta new age e una pubblicità di un tour operator per idraulici e consorti, grida eterna vendetta.
Il fondo della spirale di bruttezza lungo la quale si sono ormai da tempo avvitate le copertine dei libri di Feltrinelli è stato raggiunto. Non riesco a immaginare come potrebbero peggiorare ulteriormente.
Detto questo, che non è solo un dettaglio estetico di scarsa importanza, è curioso che tale afflizione sia stata tributata all’autore che lo storico editor di casa Feltrinelli pubblicamente definisce come uno dei migliori scrittori italiani. Non solo non ripubblicano la sua opera migliore, ma pure l’ultima uscita la maltrattano in questo modo.
Per chi avesse perso il filo del discorso sulle opinioni dell’editor di Feltrinelli e l’opera migliore di De Marchi che non ripubblicano, la spiegazione si trova nel mio commento di qualche tempo fa a Il talento, per l’appunto l’opera migliore di Cesare De Marchi, libro e autore verso i quali nutro anche una certa riconoscenza visto che è stato quel libro a farmi scattare l’idea e la necessità di ritrovare e leggere e commentare i Libri dispersi.
Comunque, oltre che bruttissima, la copertina non c’entra un fico secco con il libro, niente, zero.
Vi anticipo subito di cosa parla il libro: del sequestro di Berlusconi, Presidente del Consiglio, da parte delle Nuove Brigate Rosse. La vicenda si svolge in quattro giorni di prigionia.
Questa è la trama che immagina De Marchi e devo dire che è eufemisticamente sorprendente, nel senso che io non mi sorprendo per niente, che di questo libro, uscito nel gennaio 2012, se ne sia parlato molto poco. Eppure, pur non essendo un grande libro, perché L’uomo con il sole in tasca certamente non lo è, abbiamo un ottimo scrittore italiano, un grande editore, una storia certamente gustosa per arzigogolarci sopra con i commenti… niente, tutto tace, tutti tacciono, forse perchè è meglio non riesumare la polemica sugli artisti e i letterati imbelli e supini, o forse è meglio non far troppo incazzare quelli che di sicuro con una trama del genere gli va il sangue agli occhi e iniziano a sbavare come cani rabbiosi, non lo so, forse per questo, o forse chissà perché… so solo che io vedo delle sfumature di marketing, libri di soubrette televisive, libri di giovani famosi autori di dubbio talento, libri di calciatori, libri di scrittori di finta grandezza, libri di ricette scritte da chi non sembra saper cucinare… questa robaccia qui, la solita, l’equivalente letterario dei reality show e delle trasmissioni rincoglionenti della domenica pomeriggio… per sua sfortuna, invece, il libro di De Marchi non è appropriato per le famiglie che fanno la spesa o per le vecchine in fila alla Posta, che magari poi si indispettiscono e non comprano i pelati e i detersivi, oppure s’arrabbiano e litigano con gli impiegati o chissà cos’altro, e allora, io penso, non lo so, lo penso solo, è una mia opinione, ma lo penso in modo molto concreto, che anche l’ufficio stampa preposto non si sia proprio spellato le mani per far uscire questo libro sulle vetrine e sugli inserti dei giornali, penso di no.
Scrive De Marchi facendo parlare uno dei carcerieri:
“Nella sua concezione il parlamento ha l’unica funzione di votare le leggi che gli vengono proposte, e che sono diretta emanazione dell’arbitrio del governo, cioè del suo capo, cioè ancora e sempre di lei, presidente. Dibattiti, interrogazioni, emendamenti, eccezioni di incostituzionalità, per lei non sono che il macchinoso strumentario delle macchinazioni parlamentari. Del resto, per l’utilità che ha, il parlamento lo si potrebbe benissimo sostituire con dei plebisciti popolari, che in fondo sarebbe anche una procedura più democratica. E a far meglio pesare tutto questo disprezzo che lei nutre per il parlamento, ha deciso di farvi eleggere, oltre che dirigenti e avvocati delle sue aziende, una certa quantità di giovani donne di sicura procacità e di più che probabile ignoranza, le cosiddette veline televisive. […]”
E ancora, questa volta con le parole di Leandri, il capo dei poliziotti incaricati di trovare il covo.
Certo, il capo del governo rapito era egli stesso un’incognita, e Leandri si vedeva spinto dalla propria diffidenza, che a ogni passo trovava nuovo alimento, a sospettare in lui un disegno autoritario: il cuore dello Stato che i terroristi avevano voluto colpire, pensava, era un cuore infido. E non si nascondeva che, tornando trionfante dal rapimento, quest’uomo sarebbe stato più inarrestabile e pericoloso di prima: portato da un’onda di piena che ormai attraversava tutta la società, un movimento psichico contro cui era vano cercare di resistere; sicché, o si trovava un appiglio a cui tenersi intanto che la grande corrente passava, o si nuotava con essa.
Il libro ha pochi personaggi: Berlusconi, mai citato per nome, ma reso riconoscibile in modo esplicito, i tre terroristi, Luca, Mario e Cecilia, e il poliziotto Leandri. Quest’ultimo rappresenta la coscienza pulita del cittadino medio, che si interroga, senza rivoltarsi con violenza, attende che la corrente passi per sperare in una società migliore. È la coscienza della parte onesta e rassegnata del paese, questo è il ruolo che De Marchi assegna al poliziotto.
Poi c’è il presidente e ci sono i brigatisti. De Marchi li sagoma in modo bicefalo, entrambi l’uno e gli altri: umani nella loro solitudine di vita, disumani nell’azione sulla società e su questo costruisce sia la psicologia dei singoli che il confronto serrato che si svolge durante gli interrogatori del processo politico.
Il presidente deve rispondere di capi d’accusa e lo fa con l’abilità oratoria e affabulatoria per la quale è celebre, senza cadere in caricature o macchiette. È un confronto teso quello che De Marchi immagina.
C’è tuttavia una stranezza, apparente, di tono, quasi fosse una musica che non ci si aspetta di sentire. È la voce dei brigatisti, le accuse che muovono, come le argomentano, il senso che emerge. Non è una voce da brigatisti. Non è la voce di fanatici sanguinari o di persone rese cieche dall’indottrinamento. Mancano i tic, le chiusure lessicali, le costruzioni simboliche, le barriere ideologiche, le parole d’ordine e le bandiere verbali. Questi brigatisti e questo processo politico a Berlusconi parlano con la voce dell’opposizione civile, parlano con la voce delle cronache giudiziarie, con la voce mia, di molti di voi, di giornalisti e di libri, la voce di chi si è sempre opposto a quanto accadeva, in fondo parlano anche con la voce di Leandri il poliziotto che dà loro la caccia. Parlano con una voce che ha continuato a ripetersi in vent’anni di storia. Quella non è una voce da terroristi, è una voce da italiani.
Questo è strano e voluto. De Marchi lo sa perfettamente e con la trama e qualche dialogo e il personaggio femminile cerca di contenere quasta stranezza necessaria, fin dove riesce, ma non del tutto. Non poteva però fare molto diversamente per un motivo preciso: questo libro, L’uomo con il sole in tasca, non è un romanzo, non è una storia inquadrata in una cornice politica ma pur sempre una storia. Questo libro è una dichiarazione e un’analisi politica presentata col supporto di una narrazione, questo libro serve a De Marchi per elencare i capi d’accusa al governo, ai partiti, a quella larga parte di società e all’uomo responsabili dello sfacelo degli ultimi vent’anni, gli serve per puntare il dito contro i partiti d’opposizione che si sono macchiati di opportunismo e di incapacità.
De Marchi lo fa bene, è un ottimo scrittore, si schiera, cerca di raccontare un pezzo di storia invece che una storia, ricorda perfino, un poco goffamente se considerato rispetto al flusso narrativo, la vecchia vicenda di Sindona e i paralleli con Berlusconi. De Marchi scrive un libro politico, un pamphlet, da intellettuale schierato e scoperto.
Puô piacere o no, a me piace, se vi interessa la mia opinione, mi piace lo scrittore che sacrifica un’opera letteraria per una causa civile, di parte, che risulterà odiosa a molti lettori, però lo fa lo stesso. Come opera politicamente impegnata si legge velocemente per la tensione che riesce a creare.
Certo, De Marchi non è Pasolini, non ha il furore né la maestria di alcuni articoli di Scritti Corsari o delle Lettere Luterane; De Marchi resta un narratore che getta uno sguardo vigile sulla società, fin da Il talento lo è stato. Qui in L’uomo con il sole in tasca lancia un grido, non dice cose nuove, non ha notizie inedite o analisi impreviste; ripete, ordina e dà armonia narrativa alla voce che protesta contro l’abominio che questo nostro paese ha subito e continua a subire da parte di chi lo sta depredando, con il consenso imbecille di tanti, ignavi, piccoli disonesti, piccoli codardi, infarciti di piccole avidità e piccoli terrori. Fa quello che dovrebbe fare chi ha una coscienza civile, una voce da far sentire e una dignità personale da conservare, anche a costo di mettere in scena un fallimento letterario.
Come fece anche Giorgio Gaber, che qui mi viene proprio molta voglia di ricordare. Lui lo censurarono, ma sarebbe stato meglio se non l’avessero fatto.
È stato un caso, però mi sembra che il tempo scelto dal Fato per leggere e commentare questo libro sia perfetto, la saggezza del Fato, invece che della folla.
L’opera migliore di De Marchi è La furia del mondo. Che è probabilmente il miglior romanzo italiano del nuovo millennio. Questo invece è uno dei suoi meno riusciti. Molto Interessanti sono La vocazione è Il talento. A suo modo, démodé, è da leggere anche Una crociera.
Complimenti per il blog, libri di valore e recensioni attente e utili.
Grazie per il suggerimento. Leggerò sicuramente La furia del mondo.
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