«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
I SETTE PAZZI
Roberto Arlt
Traduzione di L. Pellisari
SUR 2012
I sette pazzi, di Roberto Arlt, libro del 1929, è uno dei capostipiti del romanzo argentino moderno. Il seme che ha gettato le radici in quella terra fradicia e malsana del Rio della Plata, ma nonostante questo, o forse proprio grazie a questo, dalle radici è nata quella pianta maestosa che è la letteratura argentina.
Questo è già un ottimo motivo per leggerlo, anche se credo che alcuni di voi vorranno saperne qualcosa di più.
Allora cerco di dire qualcosa di più.
Qui viene il difficile, perché non è mai semplice parlare di pazzia.
Sfugge alle descrizioni, a meno di non impazzire almeno un po’, in quel caso, si afferra la pazzia ma rischia di sfuggire la descrizione.
Come vedete è una faccenda circonvoluta.
Sto prendendo tempo, è evidente, non mi sono preparato l’attacco e ancor meno il canovaccio, quindi tentenno, plano sulla corrente ascensionale come un gheppio in attesa e intanto cerco di atteggiarmi, mi sistemo, tossisco con enfasi televisiva, ruoto leggermente I sette pazzi per studiare un appiglio, la pazzia è sdrucciola, è anche femmina? Chi lo sa, non lo pensa Roberto Arlt, direi, i suoi personaggi sono quasi tutti maschili e sono tutti pazzi; pazzi nel senso più diffuso del termine, sono pazzi a 360 gradi, non sono quei personaggi pazzi che educatamente porgono il profilo e si lasciano descrivere con agio, questi sono interamente pazzi, tutti, in ogni istante, ogni frase o dialogo o situazione o descrizione o porta o finestra o moglie o amante o trama o idea o frase, di nuovo, ripetuta, tutto e tutti sono pazzi, anche le pagine e la carta e i caratteri a stampa sono pazzi, questo I sette pazzi è un libro interamente dominato dalla pazzia, senza sosta né scampo né freno né osservatore esterno né flusso di coscienza né autore che fa capolino tra le righe né metafore né immanenze né messaggi; è un libro pazzo insanabile, un discorso da pazzi tra personaggi pazzi che ragionano in modo pazzo e pronunciano frasi pazze.
Girava la luna sopra la cresta violacea di una nuvola, i sentieri, a intervalli, sotto la luce lunare, si sarebbero detti coperti di lastre di zinco, le pozze scintillavano di profondità di argento morto e, con rumore di turbine, scorreva l’acqua, lambendo le modanature di granito.
La strada era così bagnata che le pietre del lastricato parevano appena saldate con stagno fuso.
Erdosain entrava e usciva dalle ombre celesti che tagliavano oblique le facciate. L’odore di bagnato comunicava alla solitudine mattutina una certa desolazione marittima.
Indubbiamente aveva perso il senno. Lo preoccupavano ancora le quattro ragazzine dalla faccia equina e il mare sinistro con le sue onde di ferro. Il pesante odoraccio d’olio bruciato che veniva vomitato dalla porta gialla di una latteria gli provocò nausea, e allora, cambiata idea, si diresse verso un postribolo che, come rammentò, era in Calle Paso, ma quando arrivò la porta era già chiusa e, sconcertato, battendo i denti per il freddo, la bocca col sapore di solfato di rame, entrò in un caffè nel quale stavano appena finendo di sollevare le saracinesche. Dopo che ebbe atteso a lungo gli servirono il tè che aveva chiesto.
I sette pazzi del romanzo sono dei disperati, anime vagabonde immerse nella melma fino all’ombelico, la melma della città notturna, piovigginosa, invernale, di un inverno e una notte e una pioggia senza mai fine, un’inverno, una pioggia e una notte della vita di personaggi che si aggirano per le pagine come pipistrelli o blatte o scolopendre. I pazzi ragionano pontificando e progettando, costruendo stamberghe mentali che si reggono su di uno spillo, l’equilibrio dei forsennati, la lucidità degli ossessi. Costituiscono una società segreta, ai comandi dell’Astrologo. Un progetto grandioso, di conquista e dominio. Del mondo. Del mondo intero.
«Ah! L’oro… l’oro… Sa come gli antichi germani chiamavano l’oro? il “rosso”… L’oro… Ma capisce? Non apra la bocca, Satana. cerchi di capire: mai e poi mai una società segreta ha cercato di effettuare un’amalgama simile. Il denaro sarà la saldatura e la zavorra per dare alle idee il peso e la vilenza necessari per trascinare gli uomini. Ci rivolgeremo soprattutto ai giovani perché sono i piû stupidi e i piû entusiasti. Gli prometteremo il dominio del mondo e dell’amore… Gli prometteremo tutto… si rende conto?… e gli daremo uniformi vistose, tuniche splendenti… elmi con piume variopinte… gemme… gradi di iniziazione che avranno bei nomi e gerarchie… E lassù sulla montagna innalzeremo il tempio di cartone… Questo servirà a girare un film… No. Quando avremo trionfato innalzeremo il tempio dalle sette porte d’oro… Avrà colonne di marmo rosa e le strade che condurranno a esso saranno cosparse di granelli di rame. Attorno costruiremo giardini… e là l’umanità andrà a adorare il dio vivo che avremo inventato.
Arlt e i pazzi, Arlt e la pazzia, Arlt e la città, malata, chiazzata da macchie di luna, azzurrognole, come ematomi, visioni che appaiono ai suoi personaggi, il Messia, le ragazzine dalla faccia equina, la Zoppa, il capo dell’azienda con la testa di cinghiale. I personaggi di Arlt sono miserabili e pazzi, immaginano di conquistare il mondo, ma si sgomitano solo tra pazzi, riecheggiano il comunismo, il nazismo, il capitalismo, l’anarchia, il fascismo, Mussolini e Lenin, tutto nella stessa frase, nella stessa visione depravata dalla luce notturna che scioglie i cervelli.
Libro da leggere per chi ama molto la letteratura argentina e la vena di follia corrosiva che l’attraversa, da est a ovest, lungo tutto il Novecento e anche oltre.
Nota: Altre recensioni a I sette pazzi sono uscite sul sito delle Edizion SUR.