«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL WEB E L’ARTE DELLA MANUTENZIONE DELLA NOTIZIA
Alessandro Gazoia (jumpinshark)
Minimum Fax 2013
Commento immediato, fuori dalla tradizionale scaletta di 2000battute, a un saggio, uscito da pochi giorni, di Alessandro Gazoia, forse meglio noto come jumpinshark dall’omonimo blog o dai suoi pezzi su fu Orwell.
Infilo subito la mia conclusione: è uno scritto interessante e agile, si legge in poche ore come fosse un ampio approfondimento giornalistico, costa due euro (meno un centesimo) e merita quindi di essere letto.
Bene, iniziamo per prima cosa da quello che galleggia in superfice come i sacchetti di plastica sul mare.
Lo stile. Gazoia scrive con uno stile curioso che a me, sicuramente per deformazione professionale, ricorda molto da vicino il modo nel quale gli studenti universitari di informatica, quelli bravi, scrivono le loro tesi di laurea: molto ordinato, estremamente didascalico, mette in fila gli argomenti e dice come li mette in fila – l’introduzione a ogni capitolo nella quale specificare sempre “In questo capitolo…” è un must delle tesi di laurea -, il tono oscilla tra il colloquiale e il rigoroso senza assestarsi definitivamente, ritmo giornalistico serrato senza perifrasi, pochi incisi, niente metafore o altre figure retoriche, va al sodo senza temporeggiare in ricami stilistici, chiara influenza anglofona e da media digitali. Va bene, niente da eccepire, per il tipo di pubblicazione i preziosismi narrativi possono essere trascurati a favore di un contenuto trasmesso nel modo più diretto possibile; tra Alessandro Gazoia e il suo lettore passano infiniti percorsi, più o meno tortuosi, ma una e una sola linea retta: è su quella che il contenuto passa per renderlo comprensibile a tutti, scrivere “in modo che tutti capiscano”, anche i clienti più recalcitranti come i giornalisti, i comunicatori digitali e le commissioni di laurea.
Però… mi tocca fare l’antipatico che solleva questioni… va bene essere diretti, va bene scrivere e produrre un saggio velocemente, va bene scrivere che tutti capiscono, va bene tenere il ritmo e lo stile da anglo-web-blog-social-comunicazione, però premettere sistematicamente l’aggettivo al complemento è sbagliato (ma fa lo stesso), è cacofonico, è come strusciare un chiodo sulla lavagna, parlare per ore al cellulare in una carrozza ferroviaria, mollare una puzza in ascensore, insomma non si fa, non sta bene, fa venire un po’ il nervoso leggere “la parallela questione”, “il trionfalistico annuncio” e “i fittizi conti”, sembra un singhiozzo, un colpo di tosse e uno starnuto.
Anche se è un saggio e conta il contenuto, non lo stile. Io suggerirei a Gazoia di obbligarsi a posporre sempre qualunque aggettivo, poi vede quale spostare indietro. Lo dico spesso anche ai miei tesisti con lavori ben fatti e di sicuro interesse, ma preda anche loro di questi tic da neolingua giornalistica. Fine del pistolotto da maestrino.
(Diverso è il caso della letteraria opera, dove l’accurato stile è parte della romanzesca arte; quando leggo un romanzo se l’improvvido traduttore (per non dire l’incauto autore) anticipa gli aggettivi, inizio a schiumare come un rabbioso cane davanti a una rilucente acquosa pozza.)
… senza offesa, jumpinshark…
Ho finito con le critiche. Ora il buono, che è parecchio.
Io non sono un giornalista né un esperto di giornalismo, tuttavia ho letto parecchi documenti sull’evoluzione del giornalismo, l’irruzione sulla scena del digitale, la crisi delle testate tradizionali, i cambiamenti in corso nel settore della stampa, fenomeni come Pro Pubblica e l’Huffington Post etc., quindi i temi non mi erano nuovi. A chi lo fossero, tanto meglio, i pregi di questo saggio aumentano ancora di più.
Senza grande sorpresa, poco, pochissimo è stato scritto a riguardo del contesto italiano, a parte le critiche frequenti e spesso condivisibili alla categoria dei giornalisti e alle testate. Le analisi migliori riguardano gli Stati Uniti, al più la Gran Bretagna e prendono in considerazione le superstar del giornalismo internazionale: il New York Times, il Washington Post, il Financial Time, la BBC, il Guardian, l’impero di Murdoch e così via. Purtroppo questo sguardo astigmatico è frequente in moltissimi ambiti tecnologici e socioeconomici: in generale se ne sa poco, chi ne sa ha avuto per lo più accesso a fonti e dati riguardanti paesi anglosassoni e sull’Italia ognuno viaggia seguendo l’aneddotica, le baruffe, le sparate di questo o di quello, il commento da cinque righe e il passaparola.
Quindi, grande merito ad Alessandro Gazoia per aver proposto un’analisi ampia, approfondita e convincente sulla situazione italiana in merito al rapporto, più conflittuale che cooperativo, tra giornalismo svolto nelle redazioni tradizionali e quello delle redazioni online, tra testate tradizionali che hanno allungato propaggini digitali e testate nate come digitali, tra scenari di crisi della stampa tradizionale e scenari di diffusa incertezza per quella digitale. Gazoia analizza un mondo in trasformazione, suo malgrado par di capire, scosso dall’ineluttabilità dell’avvento sulla scena mondiale di nuove forme e nuovi attori e, nel caso italiano, frastornato dall’atavica incapacità di comprendere e gestire le trasformazioni in atto, mascherata con un alto tasso di litigiosità, ipersemplificazioni di stampo machista e la tendenza, da parte dei protagonisti, a emettere proclami fumosamente articolati quasi sempre smentiti dai fatti. Le cose, come spesso accade, sono ben più intricate e non lineari di quanto si sarebbe sperato.
Per chi non è un addetto al settore sarà certamente interessante scoprire i meccanismi che regolano il funzionamento delle redazioni giornalistiche e le condizioni tra loro molto diverse tra redazioni di testate tradizionali e redazioni di testate digitali.
Gazoia analizza poi come le testate tradizionali, Repubblica e Corriere della Sera in primo luogo, spartendosi questi due la gran parte del pubblico italiano, sia su carta che via web, hanno e stanno ancora faticosamente e con molti tentennamenti adattandosi alla pubblicazione delle notizie e dei contenuti editoriali sulle proprie edizioni online. Il caso italiano sconta un ritardo sostanziale rispetto contesti più avanzati nella capacità di adottare le opportunità e di plasmarsi secondo le caratteristiche di un’informazione online. Di nuovo, nessuna sopresa, basta avere gli occhi per guardare per essersene accorti già da un pezzo, però il saggio inquadra e mette in ordine i tasselli altrimenti sparsi nella testa di molti (me compreso).
Altro tema toccato dal saggio, fondamentale, riguarda la sostenibilità economica e le fonti di approvvigionamento di risorse finanziarie delle edizioni online. Questo è un punto critico, forse il più critico, visto che tale sostenibilità finanziaria è precaria, incerta, quasi sempre non raggiunta e senza che esista un’idea precisa di come fare per ottenerla. A questo tema si intersecano molte altre linee di analisi che toccano la natura profondamente diversa del contesto giornalistico ed editoriale nello scenario attuale rispetto a quello che era stato per molti decenni. Non esistono soluzioni evidenti: la raccolta pubblicitaria non è quasi mai sufficiente e molto polarizzata sul web da maelstrom pubblicitari spaventosi come Google e Facebook che risucchiano la gran parte dell’acqua dallo stagno sofferente degli investimenti pubblicitari; soluzioni a pagamento dei contenuti si sono rivelate in molti casi azzardate e ad alto rischio di flop, anche se per necessità verranno riproposte; alcuni gruppi godono di “sponsorizzazioni” più o meno torbide che però non offrono garanzie e non rappresentano evidentemente una soluzione generale. Insomma, è un mondo difficile e precario quello che emerge dal saggio e, di nuovo, gettando uno sguardo sull Italia, le deficienze che ci portiamo dietro come paese si riverberano in tutta la loro luce malata.
Gli ultimi due temi toccati dal saggio riguardano casi per certi versi eccezionali: l’Huffington Post e la diffusione del giornalismo locale online. Entrambi per chi non li conosce sono illuminanti.
Il primo per l’ibrido di innovazione e di ricorso a pratiche predatorie, tanto da disegnarne una sagoma assai ambigua che fa sorgere il sospetto che il successo di un modello di giornalismo innovativo come l’Huffington Post si sostenga solo fintanto che la predazione di contenuti altrui e lo sfruttamento di contenuti prodotti gratuitamente prosegua sostenuta. Condizione questa che inevitabilmente diventerà sempre più incerta via via che passa il tempo e il modello acquista imitatori e si diffonde. Il punto di rottura è evidente, mi pare.
Il secondo è interessante per come le barriere di ingresso ridotte offerte dalla stampa online sta permettendo ad alcuni editori di riempire nicchie trascurate. La stampa locale, spinta fino a livello di quartiere cittadino con un piccolo presidio giornalistico dedicato si sta aprendo spazi di interesse significativi e raccoglie un bacino di lettori prima ignorati.
La lunga conclusione di Alessandro Gazoia si sofferma più sulle ombre che sulle luci, come credo sia onesto fare in questo momento, volendo presentare uno sguardo che vuol dirsi obiettivo.
Molte cose nel giornalismo italiano sono destinate a cambiare o dovrebbero farlo per chiudere quel crepaccio che ci separa dalle nazioni con le quali vogliamo confrontarci.
Cattive abitudini di un tempo, come il non rettificare notizie sbagliate od opinioni infondate, che si giustificavano col fatto che il quotidiano cartaceo vive un giorno solo non sono più tollerabili sul web, così come il farle, le correzioni, cercando di non farsi vedere, immaginando che tutti siano distratti e non se ne accorgono. Sul web c’è sempre qualcuno che se ne accorge e lo dice in giro.
Non esiste “acqua in bocca” sul web.
Ritorna poi sul problema della sostenibilità finanziaria di una testata online, problema come già detto grave e incombente, che purtroppo, oltre alla precarietà, induce anche escamotage discutibili come gli articoli publiredazionali, orribili bestie ibride tra pubblicità e informazione.
Infine, una stoccata, necessaria, jumpinshark la tira anche alla nostra maleamata classe politica che non si smentisce mai. Il data journalism, ovvero il giornalismo costruito sull’accesso a grandi quantità di dati pubblici, dati garantiti da leggi che supportano la trasparenza degli atti e delle procedure, un tipo di giornalismo innovativo e che molto successo sta ottenendo negli Stati Uniti e che, in un qual modo, potrebbe rianimare lo spirito indagatorio e di controllo degli atti dei politici che tradizionalmente dovrebbe avere la stampa, in Italia viene a parole garantito da altisonanti proclami sulla trasparenza e nei fatti reso impraticabile dal nulla che segue tali proclami.
C’è molto da fare, quindi.
Anche molti altri temi che Gazoia non tocca, come ad esempio un’analisi dei contenuti, dello stile e dell’obiettività delle notizie pubblicate dalle testate, tradizionali e online, meritano un saggio e un’indagine approfondita.
Aspetto il prossimo. Nel frattempo ben venga questo Il web e l’arte della manutenzione della notizia ad aiutare a inquadrare meglio lo scenario confuso e gastritico della stampa italiana.
Ho comprato anche Il web e l’arte della manutenzione della notizia. Però in e book. A suo tempo invece lessi Lo zen o l’arte della manutenzione della bicicletta.
Intanto mi sono ridotto sul lastrico. In effetti mi trascino in giro per i vicoli della città come un barbone. Ho una carrozzella in cui ho riposto tutti i miei averi: un mucchio di libri. Questi libri si chiamano imperdibili e dispersi. Roba buona, s’intende.
La mia famiglia è in preda al caos economico – finanziario.
Mia moglie e mia figlia dicono che il fatto di comprare libri è come il vizio del gioco, almeno per me. Mi accusano a destra e a manca e anche al centro.
Dicono, piangendo e strappandosi i capelli, in verità già pochini, che non si vive di soli libri e cultura ma anche di pane e companatico. E qualche volta di una pizza.
Mi accusano di dilapidare il nostro patrimonio che si basa sulle nostre braccia. Al che subito ho pensato: Date braccia all’agricoltura. Mia moglie e mia figlia vanno in giro dicendo: Oltre alla crisi dei banchieri e della finanza speculativa, sappiamo anche chi è colui che ti ha rovinato e sta rovinando la nostra stupenda famiglia con le sue recensioni i e suoi consigli di libri imperdibili e anche i libri dispersi. Il principale colpevole dei nostri guai economici è il Signor 2000battute.wordpress. Al che ho detto: – Ammetto che conosco a livello virtuale da cinque sei mesi o più 2000battute, ma il signor Word Press non so chi sia. E loro due in coro: – A noi di Word press non ci importa – Ecco cosa succede a un povero padre di famiglia quando si mette in testa di leggere recensioni e comprare i libri consigliati. Vogliono mandarmi in una clinica per disintossicarmi dalla lettura dei libri. Che strane idee circolano in giro nei libri. E ancor più strane quelli che dicono: – Leggete, leggete, leggete –