«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’INDAGINE
Juan José Saer
Traduzione di P. Tomasinelli
Einaudi 2006
(AVVERTIMENTO IMPORTANTISSIMO: Non leggete questo libro se non conoscete già Juan José Saer, NON FATELO PER NESSUNA RAGIONE se non avete almeno letto quel meraviglioso libro che è Cicatrici, neanche se ve lo regala la vostra fidanzata o fidanzato dicendo «Amoretesoro, se non lo leggi subito non ti amo più», NON LEGGETELO LO STESSO, piuttosto cambiate fidanzata o fidanzato con una o uno che dica meno cretinate.
Basta non ho altro da dire, il mio commento finisce qui, sono indignato e scriverei solo insolenze se continuassi. Per queste meglio che lasci il posto al professionista del turpiloquio insolente, che lui si diverte pure, io invece no. È increscioso, molto increscioso. Vi saluto.
… Ehi tu, nanoide ammuffito, vieni fuori! T’ho detto di venire fuori da lì dentro!… Lo so che sei nascosto nel vaso della verzura secca, vieni fuori che una volta tanto serve un miserabile sputaveleno come te per finire questa faccenda incresciosa. Cornelio Nepote, vieni fuori subito e scrivi!)
Commento di Cornelio Nepote
…Eh?… Io? Dice a me quello squinternato di 2000battute?… Ma che vuole?… È diventato matto quello? Ehm… Salve a tutti… scusate l’abbigliamento sfortunato, stavo dormendo… quello s’imbufalisce con un libro e si mette a gridare come un indemoniato… ma io che c’entro? Non c’è mai pace in questa casa con quello là sempre in giro a dar di matto ogni due per tre… mi mette anche in imbarazzo adesso… Santo cielo! In camicia da notte! Davanti a delle fascinose signore e dei distinti signori! Dio mio, che imbarazzo! Che tragedia, la mia onorabilità notarile!
«Vieni qui, scrivi» dice quello, ma è una cosa da persone rispettabili strillare in quel modo?… A un povero notaio stanco da mille contratti, notaio quadrigenerazionale tengo a precisare, un uomo onesto come me che si gode il meritato riposo, è giusto, chiedo a voi rispettabili signore e signori, che subisca queste angherie da un ossesso come quel tanghero?
«Vieni qua e scrivi»… facile così, vero? Lui dà di matto e se ne va; il resto devo farlo tutto io… povero me… non c’è rispetto per gli uomini probi, non c’è nessun rispetto…
(lungo respiro del nanoide)
Va bene, scrivo, visto che ormai io son qua e voi siete là. Allora, da dove iniziamo? Iniziamo da cercare di spiegare com’è che 2000battute ha dato di matto. A parte il fatto di essere uno squinternato, con chi ce l’ha questa volta? Con Juan José Saer, l’autore? Noooooooo… non con lui, anzi, figuriamoci! Lo ama come un piccione ama la picciona. E allora con chi se l’è presa? Se l’è presa con il traduttore, che poi è una traduttrice. Non chiedetemi il nome che io non lo so; domandate a lui, sempre che vi risponda.
E cos’ha fatto di tanto tremendo questa traduttrice?
Lui dice che ha compiuto “uno scempio abominevole” e anche “un atto vandalico”” e ha detto pure “non ha infilato un preservativo sull’opera di un grande scrittore, c’ha versato sopra un bidone di plastica fusa”… il linguaggio è quel che è, degno del personaggio malcresciuto, io mi dissocio, naturalmente; ma ormai lo conosciamo, è un po’ teatrale il ragazzo, soprattutto quando dà di matto.
Della sua sfuriata, che sentivo mentre cercavo di prendere sonno intanto che quello gridava, ho capito che sostiene che Saer è un grande scrittore con uno stile musicale e ossessivo, dice che la sua prosa ha un ritmo ipnotico, piena di evoluzioni sintattiche, «parte da un punto, da un immagine, un dettaglio, un pensiero, e inizia ad accrescerlo con strati di altre immagini, pensieri e dettagli, snoda la prosa in una direzione, la biforca e sono due serpenti di parole che procedono, uno si biforca ancora, l’altro di avvinghia su se stesso, le spire ritornano alla radice e sgusciano ancora tra le pagine» diceva così, sembrava quasi che delirasse, forse è malato, deve avere qualche sindrome, com’è quella di Stendhal? Forse ha proprio quella; diceva che per seguire la meravigliosa prosa di Saer bisogna farsi sommergere da quella corrente di parole, farsi trascinare. «Questo vale per tutti i grandi sudamericani!» ha gridato a un certo punto, «e invece… invece cos’ha fatto quella?»«Sorda! Ha trascritto come una stenografa e si è pure inciampata più di una volta!… Niente, ha spianato tutto, tutto… tabula rasa, un temino farfugliante!»
Diceva proprio così, sorda! sorda! gridava e io nel vaso della verzura pensavo se era il caso di dirgli che io invece non ero sordo e volevo dormire, perbacco!
Che volete che vi dica? Non so… provo a leggervi ad alta voce un pezzo dal libro, così forse ci capiamo qualcosa.
La giovinezza pare essere rimasta in una zona arcaica e favolosa, più lontana e improbabile della dimensione in cui lievitavano, in altri tempi, lascivi e sommari, gli dei, un limbo concluso, brillante, inaccessibile all’esperienza ma anche alla memoria, e ciononostante, e benché ogni minuto che vivono li avvicini, come giocando, al nulla, in cui scomparirà tutto ciò che si è vissuto, pensato e ricordato, dall’idea dell’universo, alla più inconcepibilemente minima particella, passando attraverso tutte le variazoni intermedie che esistono tra le due, e in particolare in questa notte calda di fine marzo, danno l’impressione di esseri massicci, solidi e sicuri, indolenti e sani, concentrati nell’immediato come il chirurgo in un’operazione delicata, come l’atleta sul salto che sta per compiere, o il sibarita di fronte a un sorso di vino fresco.
Ehm… non ho capito niente… dunque… la giovinezza è in una dimensione… Oddio santo! Mi ha sentito! E sta arrivando qui urlando! … ma che dice? Sbraita, farfuglia, sputazza… è incomprensibile… dice… «Lo vedi? Lo vedi?»… cosa vedo? Dio mio che notte questa, peggio di un incubo… sta dicendo che è un unico paragrafo, lunghissimo, ritorto, prende e lascia, poi ritorna, ha una musica, si interpreta ascoltando la musica, il ritmo, dice che bisogna sentirlo il ritmo e ricostruirlo, restituirlo in una lingua diversa… adesso non si capisce più niente di nuovo, si sta strozzando… ecco, si è ripreso, dice che questa roba è stenografia, è uno scempio, non c’è nessun ritmo, non c’è musica, ci sono solo badilate di virgole e incisi messi a caso da una che si è persa dopo le prime cinque parole, dice che per tradurre un grande come Saer bisogna esserne all’altezza, altrimenti si fa della stenografia, non una traduzione.
Ora sta insultando l’Einaudi… non mi sembra il caso che vi ripeta cosa dice, ci sono delle signore e io sono già abbastanza in imbarazzo… dice «Ma cosa credevano? Cosa si sono immaginati?»… non so cosa intenda, cosa credevano? Mah!… adesso dice che quelli dell’Einaudi secondo lui non c’hanno capito niente, hanno creduto che si trattasse di un noir, un poliziesco, un libretto facile facile di un tal Saer-chi-sarà-mai-questo-Saer e l’hanno affidato a una traduttrice inesperta… e invece è sì un noir, ma scritto da un grandissimo scrittore, con il suo stile vorticoso e questo è il bel risultato, «arso dalla calce viva», ha appena detto.
«Vai a pagina 143 e leggi» mi ha detto. Qualcosa si è salvato, secondo lui. Vado subito e leggo, dio mio speriamo che finisca presto questa tortura.
Intere famiglie cariche di bambini e di pacchetti, facevano la coda davanti alle casse o, sistemati intorno a un tavolo su sgabelli inamovibili avvitati al pavimento, mangiavano menú identici in piatti e bicchieri di carta, cercando di riprendere fiato in mezzo alla corsa tra la produzione e il consumo. Previsti in modo rigorosamente anticipato da quattro o conque istituzioni pietrificate che si complementano minutamente – la Banca, la Scuola, la Religione, la Giustizia, la Televisione – come un automa dal perfezionismo ossessivo del suo costruttore, la più insignificante delle sue azioni e il piú recondito dei suoi pensieri, attraverso coloro i quali sono convinti di esprimere il proprio individualismo orgoglioso, si ripetono pure, identici e prevedibili, in ciascuno degli sconosciuti che attraversano la strada e che, come loro, si sono indebitati in una settimana per tutto l’anno che sta per cominciare, a comprare gli stessi regali negli stessi grandi magazzini o nelle stesse catene di marchi registrati, che depositeranno ai piedi degli stessi alberi addobbati con le stesse lampadine, con la neve artificiale e il nastro dorato, per sedersi poi a mangiare su tavoli simili gli stessi alimenti presumibilmente eccezionali che si potrebbero trovare nello stesso momento su tutti i tavoli dell’Occidente, da cui dopo mezzanotte si alzeranno, credendosi riconciliati con il mondo opaco che li forgió, e portando con sé fino alla morte – identica per tutti – le stesse esperienze concesse dall’esterno che loro credono intrasferibili e uniche, dopo aver vissuto le stesse mozioni e aver immagazzinato nella memoria gli stessi ricordi.
Huuuuusssshhhh… tiro un respiro, santo cielo… mi sembrava di stare in apnea in un lago di fuliggine gelata. Però… mica male questo… che dice? Ah ecco, sta dicendo che qui per miracolo qualcosa di Saer si è salvato, il ritmo dice, il ritmo ripete, ossessivo, ancora un unico periodo lunghissimo, sembra non volerlo concludere mai, lo allunga fino quasi all’asfissia per iperconformismo.
Avete capito voi cosa vuol dire 2000battute? Io no… aspettate che rileggo… iperconformismo, sì ora ho capito.
Cosa? Dice di dirvi che comunque L’indagine è un noir, un poliziesco, con un maniaco che sventra delle vecchiette, ventisette o ventotto dice, non si ricorda di preciso e non ha voglia di riguardare.
Ma è un pretesto, dice, un pretesto di Saer per rivoltare ancora una volta la melma che abita una città fangosa… ha detto che è Parigi in questo libro… poi dice che è oscuro, è un poliziesco cupo, torvo, c’è come una specie di malattia che aleggia… ha detto «aleggerebbe, se non l’avessero smangiucchiato e cacato»… ha ripreso a insultare editore e traduttore, aspettiamo che si calmi… dice di leggerlo solo dopo aver letto Cicatrici e aver visto quale grandezza raggiunge Saer, dice che devo ripetervelo due o tre volte… facciamo che ve l’ho ripetuto due o tre volte… è peggio di un bambino certe volte… poi dice che il finale è maestoso, un colpo di genio che rivolta definitivamente la poltiglia fetida della storia… aspettate un po’ che gli do una sbirciatina… Morvan… madame Mouton… la bottiglia…un lampo blu… sta arrivando l’autunno… Fine.
Accidenti! Mi si è scorticata la lingua a forza di rasparla sui denti… eh, un finale da lampo blu, in effetti.
Dice che comunque ne leggerà anche un altro di Saer, che non finisce qui questa faccenda incresciosa.
Devo dire altro?… se ne è andato, manco mi ha risposto quel tanghero.
Va bene, allora io vi porgo rispettosi saluti e mi ritiro e mi scuso ancora per l’abbigliamento indecoroso… povero me, che vita infame, che vergogna.