2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Ulisse – James Joyce

Ulisse - Joyce

ULISSE
James Joyce
nella traduzione di Gianni Celati
Einaudi 2013 

Sono seduto sul divano. Davanti ho il riquadro bianco dove sto scrivendo questo commento, di fianco, sul lato sinistro, il tomo blu dell’Ulisse di Joyce tradotto da Gianni Celati. Mi chiedo se sia più impressionante accingersi a leggerlo oppure, una volta letto, a commentarlo. In entrambi i casi l’ombra enorme e spessa di questo libro che fa categoria a sé rispetto tutti gli altri è una coltre nella quale smarrire il senso di orientamento, come una nebbia in montagna quando anche i richiami perdono la direzione e rimbalzano sugli alberi sembrando voci circolari.

L’Ulisse è un libro che incute timore o addirittura terrore per la fama che si porta dietro; fama di libro infinito e illeggibile, lingua stravolta e delirio di una coscienza turbata, libro che inghiotte il lettore e lo rigetta. L’Ulisse è un’icona della letteratura; quasi tutti lo conoscono, molti lo temono, pochi lo hanno letto. Ed è innegabilmente, unanimemente, senza discussione una delle opere più complesse ed estreme mai rotolate nelle mani del pubblico mondiale. Il capolavoro inavvicinabile del Novecento venato e straziato dalla follia.
Qualcosa del genere, calcando un po’ la mano sulla retorica granguignolesca.

Ho preso tempo con questo attacco, non so se l’avevate già capito, perché anche io sono titubante e timoroso dopo essere entrato nel tunnel oscuro dell’Ulisse e ora esserne uscito, un po’ malconcio, ma tutto intero, più o meno. Cosa scrivere a questo punto? Immagino che la domanda alla quale dovrei cercare di rispondere sia abbastanza semplice – Bravo, allora com’è? –  qualcosa del genere, immagino. In effetti penso che la domanda alla quale dovrei cercare di rispondere sia proprio questa.

Non è mica tanto facile, sapete, escludendo per vari motivi alcune ipotesi di risposta, come abbozzare un paragone con la precedente e unica traduzione italiana esistente di Guido De Angelis per Mondadori del 1960. La lessi troppo tempo fa e troppo male per poterlo fare, fu più una prova d’orgoglio adolescenziale che una lettura cosciente. Per questo basta riferire quello che mi ha detto Francesco Cataluccio a proposito della vecchia traduzione: problematica; tanto che Mondadori la fece rivedere a un gruppo di illustri cattedratici. Oggi illeggibile. Cosí Cataluccio, che ha aggiunto una notizia curiosa: non fu l’unica traduzione, ma ne apparve un’altra di Bona Flecchia per Shakespeare & Co., una piccola casa editrice, nel 1995 quando si aprì per poco una finestra nei diritti d’autore, prontamente richiusa poco dopo. Cataluccio dice che non era affatto male quella traduzione.

Comunque sia, tradurre l’Ulisse è un’impresa epica di difficoltà immensa. Pochi sono in grado di farlo e pochissimi possono farlo con successo. E qui sarebbe il caso di definire cosa si intende con “successo” nel tradurre l’Ulisse, ma non credo sia il caso di discuterne adesso.

Per queste ragioni, penso ci siano poche possibilità di errore nel dire che la traduzione di Gianni Celati è l’evento letterario italiano dell’anno; credo che niente che apparirà o succederà – premi, premietti, fanfare – in Italia nel 2013 sul piano letterario potrà anche soltanto avvicinarsi al peso di una nuova traduzione dell’Ulisse e non solo “una nuova traduzione”, la nuova, pirotecnica, funambolica, conturbante traduzione di Gianni Celati.

Eh già perché l’Ulisse non si traduce solo testi e dizionari alla mano e giù di esperienza e di mestiere. Non si traduce accademicamente. Non si traduce col fiato corto o con il passo sghembo o con la mano tremante. Non lo si traduce con le foglie di fico incollate su tette, culi e cazzi e vagine. Non lo si traduce pensando che c’è un mondo là fuori e questa sera io, traduttore, ci devo pur tornare, magari solo per rincasare per cenare in famiglia. Insomma, l’Ulisse non lo si traduce se non si è divorati dal sacro fuoco della letteratura e dell’arte delle parole che si ammucchiano e ribollono. Sto di nuovo spingendo sul pedale della retorica, non fatevi ingannare, ma lo so che non vi fate ingannare.
Però anche questa volta è qualcosa del genere e Gianni Celati credo che abbia compiuto un’impresa memorabile.

Merita di essere descritta, quasi più del libro che, in fondo, conoscete tutti oppure, se non conoscete, trovate note, commentari, riassunti, wikipedie a iosa che vi raccontano di quella giornata qualsiasi a Dublino, il 16 giugno 1904, la cui descrizione ha riscritto l’essenza della letteratura.

Celati ha impiegato 12 anni per portare a termine questa traduzione, di cui 7 per l’effettiva scrittura, con anche alcune peripezie, raccontava sempre Cataluccio, come lo smarrimento del notebook con la versione di lavoro, recuperata, parzialmente, se ho capito bene, da una precedente bozza depositata presso Einaudi.
È utile leggere con attenzione cosa ci dice nella prefazione.

Ma è qui che il libro di Joyce si staccava dal ceppo di tutti gli altri del suo tempo, perché il suo parlare era sempre un gioco, un’acrobazia con generi e pronunce insolite e stravolte.
E ho capito per strada che quella dell’Ulisse non era precisamente una lingua, era una stralingua, che prendeva dentro echi d’ogni genere, con un lessico più espanso di tutti i testi che si conoscono.

«…un lessico più espanso di tutti i testi che si conoscono.» questa è un’osservazione cruciale per leggere l’Ulisse, perché dà la misura della vastità della lingua e della sua solo presunta illeggibilità. Non è illeggibile, è enorme lo spazio che occupa, l’estensione vocale, l’ampiezza dell’oscillazione e il volume lessicale che racchiude, «più espanso di tutti i testi che si conoscano». L’Ulisse è un viaggio ai confini della lingua e delle possibilità linguistiche, è un capolavoro di creatività senza vincoli o barriere convenzionali, è libertà pagata al prezzo della trama inesistente e del vortice che confonde e schiaccia il lettore.
Come tale, la prima cosa da sapere è che l’Ulisse non può essere letto come avete letto tutti i libri che nella vostra vita di lettori lo hanno preceduto. “E come lo dobbiamo leggere, allora?” direte voi, vi sento, lo so che lo dite anche se negate.
Torno da Celati.

Fin dal terzo episodio l’Ulisse abbandona la narrativa del naturalismo e lascia emergere un disordine delle parole, guidato da divagazioni del pensiero che si coagulano nel cosiddetto stream of consciousness o «flusso di coscienza»: un continuo succedersi di pensieri e immagini che passano per la testa dell’io narrante, si disfano o si richiamano l’uno con l’altro, quasi senza sosta.

Leggo un brano.

Che caldo. La mano destra tornò a passargli sulla fronte e sui capelli con gesto ancor più lento. Si rimise il cappello con sollievo, e lesse ancora: miscela speciale, fatta con i migliori té di Ceylon. Estremo Oriente. Bel posto dev’essere, giardino del mondo, grandi foglie pigre su cui galleggiare, cactus, prati in fiore, liane a serpente le chiamano. Chissà se è cosí. Quei Cingalesi che stanno a poltrire nel sole in un dolce far niente, tutto il giorno senza muovere un dito. Sei mesi su dodici dormono. Troppo caldo per litigare. Influsso del clima. Letargo. Fiori d’indolenza. Soprattutto l’aria li nutre. Azoto. Serra nell’Orto botanico. Piante sensitive. Ninfee. Petali troppo stanchi per. Malattia del sonno nell’aria. Cammini su petali di rose. Figurati mangiar trippa e ossibuchi laggiù. Dov’era quello che ho visto in una foto da qualche parte? Ah sí, sul Mar Morto, là che galleggiava sulla schiena, leggendo un libro, col parasole aperto. Non si affonda neanche a volere: cosí denso di sale.

Ecco il famoso stream of consciousness: un magma di parole che si inseguono accavallandosi. Riprendiamo Celati.

Ma nel procedere degli episodi, sempre diversi, spuntano nuovi modi di distrazione del pensiero, strani suggerimenti […] una pesante prosa trecentesca […] la caterva di parole specialistiche e di pagine diffuse in un convegno medico insensato, dove si imitano con gran pompa vari esempi di prose settecentesche. […]
Assieme a questo si diffondono le inserzioni divaganti che superano ogni criterio «da bene», fino alla notte nel quartiere dei bordelli, dove il flusso di coscienza sembra un pensiero invaso da fantasmi.

La lunga scena del quartiere dei bordelli, teatrale, recitata coi personaggi che declamano le battute e lo sfondo e i personaggi stessi che si trasformano è impossibile da riassumere; è teatro dell’assurdo e libidine borghese mescolata con l’irrealtà quasi da fumetto od opera fantastica, parlano i ventagli, declama versi la fine del mondo, la megera tenutaria del bordello si chiama Bella, poi Bello, le troie si dimenano e tutto si aggroviglia nella notte pesante di sudore e ciprie, umori genitali e dissoluzione. Chiude la seconda parte.

Difficili capitoli, sempre più stravolti. Ma credo che tutte le difficoltà si superino, a patto di non avere fretta e di accogliere con simpatia il disordine delle parole. Per questo non è importante capire tutto: è più importante sentire una tonalità musicale o canterina, che diventa più riconoscibile quando ci sembra di piombare in un flusso disordinato di parole. L’Ulisse è un libro in cui la musicalità è l’aspetto decisivo per tutti i rilanci, deviazioni, sorprese, iterazioni, monologhi. È un libro sentito e sostenuto da quella speciale percezione che è la musica, al di là del senso oggettivo delle cose o assertivo delle parole, ma che fa parte di qualsiasi sonorità che si diffonde in qualunque direzione.

Celati coglie nel segno e dà il segno della sua traduzione. L’Ulisse è un libro musicale, lo stream of consciousness è una melodia musicale e le parole sono note, il loro accavallarsi è il ritmo da tenere nella partitura. È una grande, immensa, incredibile opera teatrale in musica, nella quale il senso primo è la musicalità stessa, poi viene il senso dello scritto.

Ecco spiegato cosa intendevo quando ho detto che l’Ulisse va letto in modo diverso da qualsiasi libro abbiate letto prima. Non è un libro di narrativa, non è una storia raccontata, è per lo più musica, sono vocalizzi, sono gorgheggi e sono un’infinità di ritmi e melodie differenti. Occorre ascoltarsi quando lo si legge, leggerlo ascoltandosi e trovare il ritmo della melodia leggendo a tempo. Il mio è stato frenetico per lunghi tratti, le parole scandite con un ritmo serrato, scapicollandomi, quello era il senso per me, quella era la voce da ascoltare. Poi ho anche faticato, inevitabile quando ho smarrito il ritmo, per poi ritrovarlo più avanti, come nella notte nel quartiere dei bordelli, che è una rappresentazione esasperata da Moulin Rouge, balli, cabaret, carne e sesso, musica frenetica e riflessi smeraldini d’assenzio. Immaginate la droga che scende nel corpo inebriando uomini e prostitute, nella notte sfavillante di luci colorate e ombre di lercio; immaginate la rappresentazione ondeggiante di un’immaginazione alterata: è lecito l’illecito, è reale la fantasia, gli oggetti che parlano, le matrone mutanti, le prostitute che si scoprono e arrossiscono, gli uomini qualunque che si perdono nella foia e nel rimorso. Immaginate di vedere immagini baluginanti e di ascoltare una musica incessante. Questo è l’Ulisse nel quartiere dei bordelli. Le parole sono solo strumenti della rappresentazione, non portatrici di senso. Questa è l’immensa estensione, la dilatazione del lessico compiuta da Joyce.

Per darvi un’idea, la cosa che più di ogni altra mi pare avvicinarsi al senso della lettura dell’Ulisse non è un libro bensì una voce, quella magica di Cathy Berberian. Ascoltatela se non l’avete mai sentita.

Ora il finale, celeberrimo, le sessanta e passa pagine del monologo di Molly Bloom prive di punteggiatura. Ha sempre destato grande curiosità, più per gusto di aneddoto che per altro, questa scelta stilistica, tanto da essere uno dei tratti del libro più citati, a conferma, si vorrebbe sottolineare, della sua illeggibilità.
In realtà è solo una variazione di ritmo musicale. La punteggiatura serve a dare l’intonazione alla prosa, oltre a contribuire all’attribuzione di senso. Nell’Ulisse serve molto meno: l’intonazione è data dalla scansione fonetica delle parole stesse e l’attribuzione di senso è disciolta invece che esplicita.

Nel finale cambia la voce, parla Molly Bloom, spesso citata ed evocata, ma mai protagonista, e il tratto del suo monologo è l’erotismo. L’Ulisse è un libro profondamente erotico e sensuale, a volte quasi morboso in certe scene, talvolta indecente, scandaloso, esplicito. Il monologo di Molly Bloom è intriso di sesso, di scopate casuali o ripetute fino allo sfinimento per soddisfare il proprio desiderio naturale e l’impulso all’adulterio che filtra dalla storia di Molly, dalla sua infanzia, dalla sua iniziazione sessuale precoce e dal più adulto rancore nei confronti del maschio. La punteggiatura non serviva, sarebbe forse stata d’intralcio al rigetto bilioso e al sommovimento carnale di Molly che chiude in modo meraviglioso e aspro la commedia inscenata dagli uomini qualunque nel corso della giornata qualunque.

La musica tace, con un finale fatto di echi sordi e corde che stridono dolorosamente sensuali.

[…]sí credo sia stato lui a farmele diventare più sode a forza di succhiarmele lo faceva tanto che mi veniva sete le poppine come le chiama lui mi veniva da ridere sí i due cosi ad ogni modo dritti sul capezzolo non ci riesco a non ridere comunque la punta si drizza come niente non farà a meno di quell’abitudine tenuta su con uova sbattute al Marsala per ingrossarle cosa sono per lui tutte quelle venuzze e cose strane come sono fatte le zinne 2 uguali lo stesso caso di gemelli dicono che rappresentano la bellezza piazzate là come statue in un museo uno dei due finge di nasconderlo con la mano sono cosí belli naturalmente paragonati con quello che l’uomo vede con quei due sacchetti pieni e l’altra sua cosa che pende fuori di lui o s’innesta insú come un attaccapanni non mi stupisce che li nascondano dietro una foglia di cavolo quel ripugnante Cameron Highlander dietro il mercato della carne o l’altro disgraziato con la testa rossigna dietro l’albero dove c’era la statua del pesce e quando passavo faceva finta di pisciare tirandolo fuori per mostrarmi come si drizzava con la sua gonnellina da poppante su un lato […]

 

19 commenti su “Ulisse – James Joyce

  1. Alex
    30 novembre 2017

    “… la precedente e unica traduzione italiana esistente di Guido De Angelis per Mondadori del 1960…”. A dire il vero esiste altra traduzione (2012) di Enrico Terrinoni che a quanto leggo pare interessante. Io non ne ho letta ancora nessuna, devo scegliere. Saluti. Alex

    https://rivistatradurre.it/2012/11/per-un-ulisse-%E2%80%8Bdemocratico/

    http://www.dudemag.it/letteratura/intervista-a-enrico-terrinoni-il-traduttore-dell-ulisse-di-joyce/

  2. Morvan
    19 marzo 2016

    L Ulisse bisogna leggerlo in inglese

  3. Roby
    21 luglio 2013

    …credo di non avere capito il senso della Vostra ultima affermazione.
    Non nascondo una certa ammirazione per Voi che non solo avete portato a termine quella che per me è stata per svariati decenni l’impresa per eccellenza, ma aggiungo meraviglia a meraviglia per averne scritto nei termini di quanto sopra.
    Come nel progresso dello studio della matematica più…alta, ogni tanto arriva qualcuno che per caso o per genio utilizza un metodo interpretativo o applicativo in apparenza lontano dalla base di partenza e ne ottiene risultati non solo sorprendenti ma talora anche rivoluzionari. Nella matematica la simmetria o la geometria non euclidea…e qui mi fermo per manifesta ignoranza…
    Voi avete suggerito o adoperato il …ritmo, la musicalità, il tempo che a seconda dei momenti, temi, orario, Joyce utilizza per il suo …colosso (così lo vedo io).
    Per anni ho classificato le persone piu o meno interessanti a seconda del fatto se avessero letto o meno l’Ulisse. Ovviamente ho dovuto smettere subito per ovvii motivi.
    Immagini dunque la mia “maraviglia” quando ho letto per puro caso, questo ozioso pomeriggio, il suo scritto, pardon…il Vostro scritto.
    R

    • 2000battute
      21 luglio 2013

      Signora mia, leggete il succitato Libro, immergetevi in esso e vi sarà chiara la sua vampiresca natura. Se avete il cuore e la voglia e l’interesse di entrare in un mondo di sole parole, parole che descrivono parole e nessun altro senso indispensabile se non quello delle parole, ne sarete sedotta e porgerete il collo a tal mondo misterioso.
      Se poi vi risulterà gradito, suggerisco umilmente la trilogia di Beckett (Molloy-Malone muore-L’innominabile), Beckett uccide lo spettro di Joyce con un altro, diverso ma non meno vampiresco, gorgo letterario verso l’essenza pura delle sole parole.

      PS: la classificazione secondo la lettura dell’Ulisse mi sembra feroce, anche se mi produce l’ennesimo sorriso.
      PS2: per onestà, la chiave di lettura legata alla musicalità la introduce Celati a commento della sua traduzione (ma non l’avevo scritto? ero sicuro di averlo scritto)

    • Roby
      21 luglio 2013

      Ecco! Ora mi tocca scusarmi e ringraziare ancora.
      Con ordine.
      Mi scuso per avere “fuso” i mittenti di tanto inaspettata chiave di lettura musicale. Obnubilata da cotanta sorpresa non ho mantenuto i “margini” e le competenze delle affermazioni.
      Per le divertenti ma reali classificazioni di interesse sui bipedi a seconda della conoscenza o meno di… ho poi abbassato il tiro con Proust; ma come è facilmente intuibile anche in codesto caso ho dovuto prontamente desistere.
      Ci si diverte con quel che si ha a disposizione….
      Ringrazio invece, commossa, per la trilogia di Beckett (Molloy-Malone muore-L’innominabile). Sarà una scoperta a cui legherò la Vostra …conoscenza.
      Non dubitate, Vi farò sapere se il mio collo è stato offerto e….
      R.

    • 2000battute
      21 luglio 2013

      Mai letto Proust, sempre e solo guardato da una certa distanza, con riverenza ma anche con un poco di freddezza.
      Posso conoscere a quale livello Vi siete quindi rassegnata ad abbassare la soglia classificatoria onde evitare di escludere praticamente l’intera umanità?

      PS: Cornelio Nepote fa sapere di apprezzare i Vostri criteri di classificazione, anche se dice che sono “uno poco da femminelle”. Lui sancisce che il minimo ragionevole consiste ne l’Ulisse + Finnegans Wake + tutto Proust + il Mahābhārata

      PS2: attendo di conoscere il destino del Vostro collo

    • Roby
      21 luglio 2013

      …giovine Signore, riferite pure al presumo vetusto Cornelio Nepote, che offrirei volentieri ai suoi canini il mio immacolato collo solo per il fatto di avere citato codesti tre libri. L’Ulisse, come sapete, mi manca ma ancora per poco; l’incompiuto e pare ancora più “spaventevole” Finnegans Wake lo conosco per averlo sentito citare solo da una persona; non so nemmeno se ne esista una seppure approssimativa oparziale traduzione, ma se la memoria non miinganna dovrebbe esserne stata pubblicata una parte… il Mahābhārata mi manca totalemente. Una volta salutatoVi, provvederò a fare una sommaria ricerca sul comodo Google almeno per capire di che entità deve essere la mia …inadeguatezza nei Suoi confronti.
      Yorick il giullare, personaggio da me motlo amato e spesso utilizzato come pseudonimo, apprezzerebbe molto dialogare con il, mi pare, Maestoso Nepote.

      Saluti ossequiosi ad entrambe
      R.

    • 2000battute
      22 luglio 2013

      Il vetusto ma sempre gagliardamente malmostoso Nepote mi recapita un fax con scritto che l’ultimo vampiro napoletano fu il conte Guidoporro Grifo Sermonte annegatosi al largo di Capri alla fine dell’Ottocento mentre fuggiva dalla furia popolare, pertanto il Vostro latteo collo è salvo dalla presa di canini. La omaggerebbe invece con un babà della pasticceria Giannichello a Fuorigrotta e caffè con schiumetta qualora Voi o il vostro Yorick (del quale dice “mi piace chi si dice giullare, un’onest’uomo, a differenza di molti fagottoni”) transitaste per Napoli.

      Io da nordico ovviamente non posso competere con il calore borbonico del Nepote né con la ricchezza di Napoli e quindi non aggiungo commenti né rilancio con offerte alternative.
      Vi auguro buona fortuna se mai avesse la sventura di capitare a tu per tu con quell’essere neghittoso e sprezzante in scala 1:10.

    • Roby
      22 luglio 2013

      Gentiluomo,
      avete il potere di evocare la mia curiosità.
      Accantonata per un attimo dunque la mia acclarata passione per il Vetusto Partennopeo, principalmente per motivi logistici visto che da piu di un lustro non “bazzico” dalle parti del Maschio, propendo per le nordiche meno calorose abitudini. Privi di babba’ e similari ma prodighi di altro, meno lento ma piu frizzante.
      Avrei ipotizzato un aperitivo, manco a dirlo veloce, in uno di quei miei luoghi Dell anima rappresentato dalla libreria Feltrinelli di p.zza Piemonte a Milano. In seconda battuta un piu veloce caffè certo meno profumato che consumato in piazza plebiscito da Gambrinus ma ancora attorniati dai nostri cari amici libri.
      In entrambe i casi per …festeggiare l acquisto del Nostro “nuovo” Ulisses.
      Ma poi… Piu della pazienza vinse la comodita dell ebook. E con miseri 6,99 euro ho appena acquistato l opera.
      Ora un caffè o un aperitivo languono abbandonati in quel bel luogo milanese ove così spesso ho …passeggiato e patito per le necessarie scelte su cosa non acquistare, su cosa rinunciare.

      Cosa significa in scala 1 a 10? Della Vostra ultima comunicazione?
      R

    • 2000battute
      22 luglio 2013

      Gentil Dama,
      non so darle spiegazione. Le abitudini meneghine? La frenesia dei tempi moderni? Il cigolio ultrasonico delle colonne di best-seller della succitata libreria?
      Ho solo una certezza. anzi due.
      La prima: non mostri mai a Nepote il suo lettore elettronico di libri elettronici. Glielo farebbe immediatamente sbaranara dal suo alano arlecchino Rosko.
      La seconda: se vedesse entrare Nepote in una libreria Feltrinelli, cosa assai improbabile ma non del tutto impossibile, allerti immediatamente la forza pubblica prima che la devastazione turbinante che senza dubbio vorrebbe compiere sia portata a compimento.

  4. Roby
    21 luglio 2013

    Buongiorno, o ciao se preferite.
    Solo un veloce ringraziamento perché grazie a questo blog su cui ho …inciampato…per puro caso, ritenterò l Impresa. Stavolta con la traduzione di Celati. E spero davvero sia la volta buona. Da quando ho 25 anni ci provo regolarmente ogni lustro. E miseramente fallisco. Sigh! Oggi, 43 enne, ben stimolata e incuriosirà da questo articolo – mi auguro di avere adoperato il giusto lemma – mi ci ributto fiduciosa. Altri libri sulle spalle, altre esperienze, altra età, altra traduzione ma forse, un po’ meno aggressività e combattività arrogante con cui affrontare la Geande Avventura. Ulisse, sto per assaporarti.
    Intanto, a voi, un grande grande GRAZIE.

    Roby

    • 2000battute
      21 luglio 2013

      Anche io sono finalmente riuscito a leggerlo tutto e apprezzandolo a 43(+1) anni dopo averlo letto, male e trattenendo poco, se non il ricordo di aver mancato un grande libro e il desiderio di riprovarci, quando ero adolescente.
      A me la traduzione di Celati è piaciuta e molto per la musica e il ritmo del testo. So però che è controversa.
      Un uomo saggio di lettere e letterature come Francesco Cataluccio l’ha giudicata un evento storico per i lettori italiani.
      Un amico, docente di letteratura inglese e grande esperto di letteratura irlandese l’ha invece molto criticata per l’interpretazione troppo personale che ne ha dato Celati.
      Probabilmente hanno ragione entrambi, dipende cosa si cerca nel libro.
      ciao
      m

      PS: tra il “voi” e il “tu” non saprei cosa preferire, certo meglio entrambi del “lei”.
      :)

    • Roby
      21 luglio 2013

      Rido! Adoro l uso di termini desueti e maniere …retro’. Cose d altri tempi. Pero non conoscevo la tua età e non volevo risultare …scortese. Il voi era sul dubbio della gestione di piu persone del sito.
      Comunque grazie per lo stimolante incoraggiamento.

      ..avrei potuto scrivere …cmq tks x info, …ma adoro il nostro splendido idioma e mi rifiuto di imbarbarirmi con queste moderne approssimazioni che a lungo andare non fanno risparmiare tempo ma acellerano il depauperamento di una lingua che anche un giovane puo strenuamente e …con allegria rallentare.
      Spero di avere evocato a mia volta un sorriso…
      Roby

    • 2000battute
      21 luglio 2013

      Ah, “voi” inteso voi che scrivete sul blog? In effetti siamo io e ogni tanto Cornelio Nepote, ma nessuno ha ancora capito chi sia questo Cornelio Nepote e io non posso dirlo, anche ammesso che lo sappia, cosa sulla quale non scommetterei più di due o tre euro.

      Se scrivevi “cmq tks x info” non avrei risposto, ma pensato Ma chi è? Come parla? Cosa dovrei rispondere? Non rispondo niente.

      Mi avete fatto sorridere. Confermo.

    • Roby
      21 luglio 2013

      …O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,
      mirate la dottrina che s’asconde
      sotto ‘l velame de li versi strani…

      …sorrido ancora e per nulla incuriosita dalla identità del suddetto Aiutante-Alter Ego citato, riporto la prima cosa che mi è venuta alla mente dopo aver letto Vostra chiusa…. Se non ho colto male, mi sto già immergendo nel mood della lettura del Libro citato.
      …ora il sorriso è sornione…
      R

    • 2000battute
      21 luglio 2013

      Colpito e affondato.
      Cosa si può replicare a Dante? Niente, ci si toglie il cappello e si fa un inchino.

      Cornelio Nepote si è ammuffito assai per la scuriosità nei suoi confronti e minaccia tuoni e lapilli dalle falde della vulcanica partenope dov’ei si sollazza nell’ozio.

      Il Libro citato è vampiresco, se lo percorrete fino in fondo.

  5. Transit
    29 aprile 2013

    Eravamo in fila. Una lunga fila. Qualcuno ha cercato di fare il furbo. C’erano anche delle donne. Anche loro hanno cercato di arrivare prima. Stranamente c’erano due energumeni che ai due lati della fila controllavano che non ci fosse calca da ressa. Sembrava di stare in una città del nord dove notoriamente funziona tutto così come l’andare avanti e indietro delle formiche. In fondo gli uomini sono come le formiche e anche le api, la differenza è nell’organizzazione; infatti, gli insetti, hanno un motto: Nessuno deve rimanere indietro.

    Quando è arrivato il mio turno mi hanno chiesto: Come ti chiami? Ulisse. Si, Ulisse, ho risposto. Da dietro quelli che selezionavano la manovalanza, c’era uno che mi ha riconosciuto e ha sbottato: Tu non ti chiami Ulisse. Smettila di dire bugie. Il tuo vero nome è Aniello. Al che ho detto: Infatti, non ho detto di chiamarmi Ulisse. In verità ho detto solo Ulisse. Aniello così facendo rischi che non ti prendiamo a lavorare neanche per questa giornata. Quello che sembrava il capo ha detto: Se ci dici perché hai detto Ulisse e ci convinci la giornata di lavoro e i trenta euro sono tuoi. Certo che ve lo dico: I soldi che mi guadagnerò servono per comprarmi un libro che si chiama Ulisse. Quelli risero. E in coro dissero: Ma la droga che ti compri si chiama Ulisse. E risero di nuovo. No, ho detto. Ulisse è un libro, però non parla di Ulisse quello del cavallo di Troia. Ulisse che andrò a comprarmi domani è quello scritto da James Joyce nella traduzione di Gianni Celati. insomma, dissero quelli, ci hai convinto, ti prendiamo a lavorare. E mentre mi davano il materiale da distribuire fuori la metropolitana del Museo Nazionale, mi hanno detto: Ciao furbacchione.

  6. Fiamma
    27 aprile 2013

    Trascinato nelle strade di Dublino, quando avevo vent’anni e l’ambientazione pareva essenziale, ora proprio la vorrei sentire la tua voce che, su una suggestione di Cataluccio, legge Celati che interpreta Joyce, di un millennio diverso…

    • 2000battute
      27 aprile 2013

      Solo il pensiero di leggere una pagina di questo libro in pubblico mi atterrisce per l’evidente mia inadeguatezza.

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Questa voce è stata pubblicata il 27 aprile 2013 da in Autori, Editori, Einaudi, Joyce, James con tag , , , , , , .

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