«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
REQUIEM
Antonio Tabucchi
Feltrinelli 1992
Rileggere Tabucchi.
Una buona regola da seguire quando non si trova ispirazione per la lettura di un autore italiano.
Rileggere Tabucchi.
Per non lasciare che quell’aroma di esotismo lento e fatalista che sprigiona dalle pagine portoghesi svanisca nello smog del tempo.
Rileggere Tabucchi.
Quando si ha voglia di una coperta soffice e protettiva dentro la quale rilassare i muscoli tesi della mandibola e riprendere a respirare profondamente.
Rileggere Tabucchi.
Nei giorni in cui ci si vuole bene, si sente il desiderio di coccolarsi e il bisogno di pensare col sorriso.
Rileggere Tabucchi.
Per ascoltare una voce italiana che parlava da lontano, da fuori, pronunciando parole arrotondate dalla cadenza lusitana, con lo sguardo che sapeva di oceano e di indolenza.
Rileggere Tabucchi.
Per il piacere di riascoltare una voce che ti ha parlato molto tempo fa e un giorno, ormai lontano, ti ha accompagnato tra le braccia di Fernando Pessoa e tu, a tua volta, vi hai accompagnato un’altra persona e in quel giorno, ormai lontano, hai capito che sarebbe cambiato tutto.
Rileggere Tabucchi.
Per il gusto di assaporare la nostalgia dolce e profumata.
Rileggere Tabucchi.
Per Antonio Tabucchi, perché non accada mai che anche lui, come tanti prima di lui, scivoli nell’oblio.
Requiem.
Latino: Missa pro defunctis.
I morti. L’atto di congedare.
Il congedo dai propri morti.
Congedarsi necessita incontrarsi.
L’ultimo incontro con i propri morti.
Un viaggio, un percorso tra luoghi deputati agli incontri.
E ai congedi.
Requiem.
Sonata.
Una cantilena musicata di domande e riposte. A volte solo domande.
Sogno reale, rivissuto mille volte, da tutti, o quasi.
Quella domanda che non ha avuto risposta. Che non è mai stata posta.
Ora è tardi, non c’è più tempo.
Definizione di morte.
Il tempo non è più.
Requiem.
Porre quella domanda. Per avere risposta. O anche solo per darsi pace.
Per placare il tormento del tempo che è volato via, come un refolo di vento che si perde.
Congedarsi per incontrarsi.
Questo è Requiem di Antonio Tabucchi; un viaggio forse reale, forse immaginario, probabilmente entrambe le cose, attraverso luoghi della città, del presente o del passato, il tempo non è più, per incontrare un’ultima volta i propri morti e congedarsi da loro, parlando, guardandosi, domandando, come amici o amanti che si salutino, per riprendersi ciò che il tempo soffiato via aveva sottratto a entramb, a chi era partito e a chi era rimasto, l’insostituibilità del congedo.
Un libro di grande dolcezza, onirico e cadenzato sui ritmi rallentati di una Lisbona arsa dal calore estivo. Tabucchi narra in prima persona e scrive Requiem in portoghese.
[…] ho capito che non potevo scrivere un Requiem nella mia lingua, e che avevo bisogno di una lingua differente: una lingua che fosse un luogo di affetto e di riflessione.
Questo Requiem, oltre che una “sonata”, è anche un sogno, nel corso del quale il mio personaggio si trova a incontrare vivi e morti sullo stesso piano” persone, cose e luoghi che avevano bisogno forse di un’orazione, un’orazione che il mio personaggio ha saputo fare solo a modo suo: attraverso un romanzo. Ma prima di tutto questo libro è un omaggio a un paese che io ho adottato e che mi ha adottato a sua volta, ad una gente cui sono piaciuto e che, a sua volta, è piaciuta a me.
“Io”, il narratore, la voce delle pagine, lo sguardo che percorre Lisbona, i’invocazione ai morti e ai vivi attraversa strade, piazze, entra in locande, bar e case incrociati sul suo cammino liturgico le cui tappe sono gli incontri con i suoi morti. Lungo la strada intreccia un discorso senza tempo tra vivi e morti e se stesso. È un sogno perché cade ogni differenza tra vivi e morti, pur ognuno rimanendo nella propria ineludibile condizione.
È una scrittura lieve e colorata quella di Tabucchi, piena di corpo ma dai contorni sfumati. È un piacere leggerla, infonde calore e richiama memorie, rimpianti, tempi fuggiti, accoglie in un abbraccio, con l’umanità di cui si sente spesso il bisogno. Fa anche salire un sorriso malinconico, magari si inumidiscono gli occhi, ma fa bene; «Io sono», è il pensiero che traspare dal ricordo evocato dalle parole.
Pensai: quel tizio non arriva più. E poi pensai: mica posso chiamarlo “tizio”, è un grande poeta, forse il più grande poeta del ventesimo secolo, è morto ormai da tanti anni, devo trattarlo con rispetto, meglio, con tutto il rispetto. Ma intanto cominciavo a sentire fastidio, il sole dardeggiava, il sole di fine luglio, e pensai ancora: sono in ferie, stavo tanto bene là ad Azeitão, nella casa di campagna dei miei amici, chi me l’ha fatto fare di accettare questo incontro qui sul molo? E adocchiai ai miei piedi la mia ombra, e anche lei mi parve assurda e incongrua, non aveva senso, era un’ombra corta, appiattita dal sole di mezzogiorno, e fu allora che mi ricordai: lui aveva fissato per le dodici, ma forse aveva voluto dire le dodici di notte, visto che i fantasmi appaiono a mezzanotte. Mi alzai e percorsi il molo. Sul viale il traffico sembrava morto, passavano poche macchine, alcune con degli ombrelloni sul portabagagli, era tutta gente che se ne andava alle spiagge della Caparica, era una giornata caldissima, pensai: che ci faccio qui, io, l’ultima domenica di luglio? e accelerai il passo per vedere di arrivare il più in fretta possibile a Santos, chissà mai che nel giardino non facesse un po’ più fresco.
Cosí inizia Requiem, un bellissimo libro di Antonio Tabucchi.