2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Internet è il nemico – Julian Assange et al.

Internet è il nemico - Assange

INTERNET È IL NEMICO
Julian Assange 
(conversazione con Jacob Appelbaum, Andy Müller-Magnum e Jérémie Zimmermann)
Traduzione di G. Carlotti
Feltrinelli 2013 

Assange_Cypherpunks_CVFPrima la forma, poi la sostanza. Riporto qui a fianco la copertina originale del libro pubblicato da OR Books, che è l’edizione che io ho letto, e anche se so che siete capaci di leggere per conto vostro dall’immagine di una copertina, trascrivo lo stesso i due titoli per fare scena.

Cypherpunks – Freedom and the future of the internet
==(tradotto)==> Internet è il nemico

Dite quello che volete di questa come potremmo definirla… ‘traduzione creativa’?… vi piace, non vi piace, vi piaciucchia, vi schifuzza… io nascondo alla vostra vista una smorfia mista di disprezzo e irrisione e affermo semplicemente l’ovvio: in casa Feltrinelli sono fantasiosi, nel senso che abbondano di fantasia, cioè praticamente si inventano dei titoli sfruttando generosamente, diciamo cosí, la cosiddetta licenza poetica.

No, perchè, ora mi incaponisco, che certe frivolezze… non so eh… ma cos’è che non andava bene in ‘Cypherpunks’ secondo loro? E cos’è che non andava bene in un sottotitolo che poteva suonare come ‘Libertà e futuro di Internet’, eventualmente con gli articoli, se si preferiva?
Allora, ragioniamo. ‘Cypherpunks’ non si traduce, è un nome proprio e fa riferimento a un movimento di attivisti, molto noto, nato nei primi anni ’90 che viene pure brevemente introdotto e spesso citato. Dice così:

I cypherpunks sostengono l’uso della crittografia e di metodi simili come strumenti per ottenere cambiamenti sociali e politici. Fondato nei primi anni Novanta, il movimento è stato attivo soprattutto durante quel decennio nelle cosiddette ‘cryptowars’*** e poi in seguito alle nuove manifestazioni di attivismo digitale del 2011. Il termine cypherpunk deriva da cipher (cryptografic) e da punk, ed è stato aggiunto all’Oxford English Dictionary nel 2006.

*** si riferisce alle lunghe e numerose polemiche e azioni di protesta di quegli anni a causa delle restrizioni all’uso dei metodi crittografici classificati fino ad allora come materiale militare, restrizioni decadute, per i paesi occidentali alla fine degli anni Novanta.

Ok? Non è complicato ed è pure un bel nome ‘Cypherpunks”. E quindi, perché no?

Ipotesi A: secondo Feltrinelli il pubblico italiano è troppo scemo per capire ‘Cypherpunks’ e a vederlo scritto direbbe “Ecchè ‘sta robba ‘cipperpunc?” poi, proseguendo, avrebbe letto ‘Libertà e il futuro di Internet’ e si sa che ormai una larga fetta della popolazione italiana quando sente pronunciare ‘libertà’ e ‘futuro’ tira una bestemmia se non uno scaracchio. Mmmmhh… non s’ha dda fà, avrà detto il marketing di Feltrinelli.

Ipotesi B: secondo Feltrinelli il pubblico italiano è ormai talmente invornito e invaso da torpore mentale di fronte a tutto ciò che ha la forma di libro che per avere qualche speranza di scuoterlo occorre usare un punzone elettrico, sia esso in forma di pornacceria, scandalo, denuncia tremenda, o altre immagini shock. Ecco che in questo caso, il titolo originale era lesso, inutile a smuovere quelle carpe dormienti sul fondo fangoso del letto della vita che sono i lettori italiani. Mmmmhhh… tiriamogli ‘na bbotta a questi, ‘Internet è il nemico’… vacca che titolo… orco che bbotta! Vedrai che salti che fanno con ‘sto titolazzo, avrà detto il marketing di Feltrinelli.

Ipotesi C: in Feltrinelli non hanno affatto pensato ai lettori, ma alla promozione del libro e ai giornalisti degli inserti culturali dei quotidiani e siccome conoscono i loro polli, il marketing avrà detto ‘Cypherpunks’ ma che siete impazziti? Neanche sanno pronunciarlo, figuratevi se ne scrivono… con l’h senza l’h con la y con la i con la s senza la s… no no, si spaventano e finisce che non ne scrivono. Facciamo ‘Internet è il nemico’ che è perfetto per copiaincollarlo e farci il titolo della loro recensione o articolo, intervista, commento dell’esperto o che altro, tutto fa brodo purché se ne parli.

Sicuramente nessuna di queste ipotesi è quella giusta e il motivo della scelta sarà seriosissimo e supportato da giustificazioni a prova di bomba, ma a me veniva da ridere. Proseguo con il libro dicendo subito quella che è la mia perplessità fondamentale, quella che ha iniziato a grattare dopo due pagine, è diventata un eritema a metà libro e un’orticaria alla fine e cioè: ma perché diavolo hanno pubblicato ‘sta chiacchierata tra amici in forma di libro? Per soldi? Mah, boh… sarà per quello, autofinanziamento, non lo so, fatto sta che per me, e ripeto in maiuscolo PER ME, non c’è una ragione al mondo per averlo fatto uscire come libro.

Intanto non è niente di letterariamente noto; non è un saggio, non è un’analisi, non è una testimonianza, non è un’indagine, non è un tubo. È una chiacchierata tra quattro amici su temi vari, probabilmente seduti in un salotto o uno scantinato, coi piedi tirati sul tavolino e un certo numero di birre a portata di mano.

Poi, visto che si parla di informazione libera, libertà di espressione, no a ogni forma di filtro o censura, e proprio loro per vicissitudini varie, quelle di Assange con Wikileaks molto note, quelle degli altri meno, ne hanno subito le conseguenze, allora dico io, visto che si tratta del resoconto delle loro chiacchiere, perché non uscire con un bel libretto elettronico gratuito? Perché non una serie di post su qualche blog amico poi prontamente rimbalzati, ri-tweettati, ri-postati dal fantomatico ‘popolo del web’? Non ne ho idea, ma la scelta non mi è piaciuta per niente.

I quattro interpreti, che definirli ‘autori’ mi sembra improprio, sono attivisti impegnati sulla scena della controcultura digitale, per usare una dicitura trita e vuota: Julian Assange, membro del movimento cypherpunks negli anni Novanta e celebre per Wikileaks; Jacob Appelbaum, americano, collaboratore di Assange nell’attività di Wikileaks e soprattutto membro del progetto che ha portato allo sviluppo di Tor, l’infrastruttura per l’anonimato in rete; Andy Müller-Maguhn membro del celebre Chaos Computer Club, organizzazione tedesca di hacker (nel senso tradizionale, non nel senso che danno i quotidiani italiani) molto politicizzata e impegnata per il free software, free e open hardware; Jérémie Zimmerman, attivista digitale francese co-fondatore del gruppo La Quadrature du Net, organizzazione impegnata per difendere l’anonimità e la libertà di informazione online.
Il testo riporta i loro commenti con lo scambio di batture.

I quattro discutono temi vari legati a internet, dall’uso dei metodi crittografici per sfuggire al monitoraggio pervasivo alla deriva totalitaria degli stati nazionali in tema di libertà di informazione, dai metodi polizieschi applicati agli attivisti digitali al caso di Wikileaks, dall’anonimità delle transazioni finanziarie con una moneta digitale alla manipolazione dell’opinione pubblica.

Il discorso è frammentato e a tratti confuso, il che non potrebbe essere diversamente vista la forma di chiacchierata, pena un’evidente artificiosità, ma d’altra parte ciò non aiuta a farsi un’idea consistente. Il tono è quello degli attivisti, quindi molto orientato all’azione di protesta o resistenza e spesso carico di semplificazioni e venature utopiche. Ad esempio, quando affrontano gli aspetti economici e sociali delle molte forme di censura operate attraverso internet, cadono inevitabilmente in stereotipi da tecnologi che ipotizzano una rivoluzione dei mercati finanziari, ma pure delle piccole transazioni quotidiane, trainata da Bitcoin, l’ultima delle monete digitali proposte. Oppure, quando generalizzano la loro critica radicale, e per altro molto condivisa da me nei suoi tratti essenziali, immaginando una società nella quale sono tutti attivisti, tutti ben informati, tutti che riflettono sulle delicate connessioni tra tecnologie, diritti umani, informazione e politica, tutti cittadini del mondo di prima classe. Tutto molto astorico e decontestualizzato, come purtroppo accade spesso e ha ben argomentato Evgeny Morozov in To save everything, click here.

Un esempio del tono quasi messianico.

The world is not sliding, but galloping into a new transnational dystopia. This development has not been properly recognized outside of national security circles. It has been hidden by secrecy, complexity and scale. The internet, our greatest tool of emancipation, has been transformed into the most dangerous facilitator of totalitarianism we have ever seen. The internet is a threat to human civilization.
These transformations have come about silently, because those who know what is going on work in the global surveillance industry and have no incentives to speak out. Left to its own trajectory, within a few years, global civilization will be a postmodern surveillance dystopia, from which escape for all but the most skilled individuals will be impossible. In fact, we may already be there.
While many writers have considered what the internet means for global civilization, they are wrong. They are wrong because they do not have the sense of perspective that direct experience brings. They are wrong because they have never met the enemy.
No description of the world survives first contact with the enemy.
We met the enemy.

Il mondo non sta scivolando, ma galoppando verso una nuova distopia transnazionale. Questo sviluppo non sono stati correttamente riconosciuti al di fuori dei circoli degli addetti alla sicurezza nazionale. È stato nascosto dalla segretezza, complessità e scala del fenomeno. Internel, il nostro più grande strumento di emancipazione, è stato trasformato nel più pericoloso facilitatore del totalitarismo che si sia mai visto. Internet è un pericolo per la civiltà umana.
Queste trasformazioni sono arrivate silenziosamente, poiché coloro che sanno cosa sta accadendo lavorano nell’industria della sorveglianza globale e non hanno alcun incentivo di dichiararlo. Lasciata alla propria traiettoria, la civiltà globale diventerà una distopia postmoderna della sorveglianza, dalla quale fuggire, per tutti tranne i maggiormente esperti [tecnologicamente] sarà impossibile. In realtà potremmo già esserci in quella realtà.
Molti commentatori hanno discusso cosa significa internet per la civiltà globale, e si sono sbagliati. Si sono sbagliati perché mancano della prospettiva che solo l’esperienza diretta regala. Si sono sbagliati perché non hanno mai incontrato il nemico.
Nessuna descrizione del mondo sopravvive al primo contatto con il nemico.
Noi abbiamo incontrato il nemico.
(Traduzione mia)

Tuttavia, nonostante le mie molte perplessità su questo libro, ultima delle quali il fatto che per essere decodificato e interpretato richiede una conoscenza piuttosto ampia e dettagliata delle questioni che si discutono, ovvero averne letto a lungo, cosa questa che invece non viene chiarita, secondo lo stile proprio del pamphlet scritto da attivisti, pena l’incomprensibilità oppure il facile infervoramento, nonostante questo contiene alcuni passaggi che meritano la lettura e sono di estremo interesse.
Due, secondo me, tra tutti.

Il primo è la ricostruzione del contesto che probabilmente motiva la scelta di Feltrinelli di titolare l’edizione italiana con ‘Internet è il nemico’, ossia una presentazione cupa e fetida di ciò che internet è diventato, in assoluto e drammatico contrasto con quanto vanno cinguettando i fringuelli canterini del mondo meraviglioso che ci aspetta non appena internet sarà immanente.
Quello che i quattro dicono, in sintesi, è che è stata una grande ingenuità aver immaginato che internet, per qualche ragione inesistente, imponesse al mondo, alla storia, alla politica e agli stati la propria supposta natura pura, giusta e trasparente. Quello che è successo è l’esatto contrario. Sono gli stati, finita l’epoca di incapacità di comprendere cosa rappresentasse internet, che hanno invaso internet con le loro pratiche inconfessabili, la segretezza, le polizie e l’intelligence, la retorica che nasconde strategie antidemocratiche, manipolazione dell’opinione pubblica, censura a molti livelli, dei quali l’auto-censura è il più potente ed efficace, identificazione dei contestatori, loro neutralizzazione, e cosí via. Chi ha letto analisi che contestano lo status quo economico e politico, la globalizzazione, il capitalismo, il dominio degli Stati Uniti attraverso il cosiddetto Washington Consensus, le strategie neocolonialiste, chi ha letto Noam Chomsky o commentatori del genere ha un’idea abbastanza chiara del tipo di discorso. Discorsi che io trovo largamente condivisibili, lo ripeto.

L’aspetto interessante è proprio questa, purtroppo isolata nel libro, prospettiva storico-politica che rimuove la falsa e illusoria unicità di internet e apre l’analisi a un’osservazione più ampia. E ampliandola, uno non può non vedere il marcio, il solito vecchio marcio, che potente com’è scavalca gli argini e invade la rete. Non è internet che ha reso il mondo simile a se stesso, come vorrebbero gli illusi covando un’ideale tecnocentrico fallimentare, ma è il mondo, quello che conosciamo da almeno due secoli, che ha inghiottito internet, come sempre è accaduto con i suoi predecessori nel ruolo di tecnologia rivoluzionaria che salverà le sorti umane.

Questo mi sembra oltre che interessante anche utile, utile a ragionare e a informarsi, molto più utile delle fanfare dell’ottimismo tecno-utopico. Di certo anche molto più utile di libri che incredibilmente, assurdamente, spudoratamente, nel 2013 riescono ancora ad avere il coraggio di affermare che il denaro è intelligente e il mercato ha ragione anche quando ha torto (lascio a voi, se volete, il compito di trovare il libro a cui mi riferisco, vi confesso solo che l’ho visto per caso oggi in una vetrina e mi ha talmente disgustato che non potevo trattenermi dal deprecarlo).

Certamente le notizie di questi giorni sul progetto PRISM statunitense e la massiccia, perdurante, non molto segreta, se non agli occhi dell’opinione pubblica distratta e confusa, attività indiscriminata di registrazione delle comunicazioni telefoniche e digitali a danno dei cittadini è uno scacco matto, o quasi, a favore delle tesi di Assange e compagni. Per chi non avesse seguito bene le vicende, riporto in nota alcuni articoli sull’argomento.

Il secondo aspetto che voglio sottolineare si riassume in un breve esempio: i benefici portati dai social network e dai mezzi di comunicazione digitali nelle recenti rivolte arabe non possono essere negati, anche se spesso sono stati sopravvalutati. Qualcuno come Zeynep Tufekci sulle sommosse turche, per altro ottima analista, ha perfino dichiarato che sarebbero immancabilmente fallite, come è stato in passato, per l’impossibilità di movimentare una massa critica.

Tuttavia, e qui sta l’osservazione chiave, i benefici si sono concretizzati perché le rivolte alle quali ci si riferisce hanno avuto successo. Almeno nell’ottenere il loro primo obiettivo.
Ci si dimentica, visto che sono molti anche i casi di insuccesso, e si trascura di considerare il caso opposto. Nel caso opposto, di rivolta fallimentare contro un regime oppressivo, ma anche durante le fasi di scontro, gli stessi social network e mezzi di comunicazione digitale diventano strumenti altrettanto efficaci e micidiali per identificare e colpire in modo mirato gli oppositori. Ci si dimentica che sono tanto efficaci nelle mani degli insorti quanto nelle mani dei dittatori. Chi ne trarrà i maggiori benefici dipende dagli scontri sul terreno, non da internet o i social media. Questo l’aveva già bene inquadrato sempre Evgeny Morozov nel suo saggio del 2010 L’ingenuità della rete, ma ancora sembra non essere chiaro a molti.

Maggiori strumenti di comunicazione non diffondono automaticamente libertà e giustizia, ma spesso, e probabilmente sempre più spesso considerati i rapporti di forza, sono strumenti micidiali nelle mani di chi detiene il potere militare, le risorse statali, le agenzie governative, le polizie e il predominio economico e finanziario. Ecco perché la lotta per mantenere l’anonimato e rafforzarlo sempre di più diventa cruciale. Perché da lì passa la resistenza allo strapotere degli stati e delle megacorporation e non importa se dallo stesso canale passano anche mafie, terroristi e pedofili. È inevitabile. Esistono altri mezzi e strategie alternative per condurre la lotta contro mafie, terroristi e pedofili, se quello è il reale obiettivo. Minare l’anonimità e consentire il controllo generalizzato è un attacco e uno stravolgimento devastante all’intera nostra società.
In questo io concordo assolutamente.

Insomma, che vi devo dire… è un libro che secondo me non doveva essere un libro, è la trascrizione di una chiacchierata un po’ confusa, ma dice anche alcune cose importanti, non nuove, dette con toni esaltati, ma comunque importanti da ripetere perché trascurate, poco meditate in questo mondo di superficialità digitale omogeneizzata e crisi sociale dirompente.

Nota: sul progetto PRISM (hashtag #PRISM su twitter) e le notizie relative all’intercettazione delle comunicazioni operata ai danni dei comuni cittadini.

The Banality of Don’t Be Evil – Julian Assange – New York Times

What We Don’t Know About Spying on Citizens: Scarier Than What We Know – Bruce Schneier – The Atlantic

PRISM’s Legal Basis: How We Got Here, and What We Can Do to Get Back – Margot Kaminski – The Atlantic

Meandering Thoughts on the NSA Scandal – danah boyd

– Timeline of NSA Domestic Spying – Electronic Frontier Foundation

#PRISM: GLI AMERICANI INTERCETTANO LE COMUNICAZIONI DEGLI INTERNAUTI. MA L’ITALIA, DA MARZO DI QUEST’ANNO FA ANCHE PEGGIO. – Fulvio Sarzana

Quello scambio fra libertà e sicurezza – Juan Carlos de Martin – La Stampa

NSA e Prism, l’ipocrisia di Obama – Fabio Chiusi – Messaggero Veneto

4 commenti su “Internet è il nemico – Julian Assange et al.

  1. Rick Deckard
    17 giugno 2020

    Sono soltanto un lettore famelico e onnivoro sin da quando ho memoria, e la scoperta di questo blog è un benefico approdo nel melmoso oceano di conformismo e politicamente corretto in cui ci tocca navigare.
    Grazie, davvero.

  2. giuliamellini
    19 agosto 2014

    questa si chiama critica

  3. Gigetto
    29 agosto 2013

    Ricordo che l’intera chiaccherata é visibile e udibile in video gratuitamente in lingua inglese su youtube o sul canale di assange in rt (russia today)

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Questa voce è stata pubblicata il 9 giugno 2013 da in Assange, Julian, Autori, Editori, Feltrinelli con tag , , , , , .

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