«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
L’ARCANO
Juan José Saer
Traduzione di L. Pranzetti
Giunti 1994
[Libro disperso]
Leggere Saer è come giocare a una variante della mosca cieca, loro, i libri, fuggono, perché non è facile trovarli quelli di Saer, poi quando ne acchiappi uno devi riconoscerne la mano, ed è questo che crea le sorprese.
Dopo Cicatrici, claustrofobico, circolare, un capolavoro a mio parere, L’indagine, un giallo anomalo, massacrato impietosamente dalla traduzione di Einaudi e Luogo, una raccolta di racconti, malinconica e crepuscolare, mancava solo questo L’arcano a completare l’esiguo numero di opere di Saer tradotte in italiano, anche se, purtroppo non sembra più disponibile e quindi i già pochi titoli s riducono. Da qui in poi mi affido al buon cuore degli editori e, nel caso di nuove uscite, mi affretterò in libreria.
L’arcano è ancora diverso dagli altri. È un racconto fantastico, antropologico e intimo nel quale il protagonista, un giovane marinaio che si imbarca come mozzo preso dalla noia del vivere, un inizio che richiama l’immenso Call me Ishmael melvilliano, finisce su un’isola tropicale sbarcato in perlustrazione con il capitano, ieratico e austero, e un gruppo di altri marinai, sodomiti amichevoli.
(“sodomiti amichevoli” non ve la spiego, non chiedete.)
Lo sbarco finisce con il giovane mozzo rapito da una tribù indigena che pratica l’antropofagia. Dei cannibali, insomma.
Lí inizia realmente il romanzo, l’antefatto conta poco e per questo anche se ve l’ho raccontato non vi ho svelato nulla.
Inizia il viaggio intimo e sorprendente del giovane mozzo, raccontato dallo stesso in vecchiaia nelle memorie, che sovvertirà ogni apparenza, credenza, sentenza e riferimento.
Saer lascia parlare i ricordi del protagonista di quello che iniziò come un rapimento e divenne invece una visione della vita, della spiritualità, della natura, del sesso, dei valori e di tutto il resto, una visione completamente differente da quella della modernità, della ragionevolezza e dei principi.
Il prigioniero della tribù di cannibali, nella lunga permanenza vi scoprì un mondo chiuso che aveva trovato equilibri propri e anche contraddizioni, ipocrisie e valori diversi da quelli che il mozzo conosceva. Aveva trovato, inconsapevolmente, un altro mondo.
Nel racconto, il giovane mozzo s’immerge in quel mondo diverso fino farne propria l’essenza pur rimanendo un osservatore. Osservatore anche di sé e della propria trasformazione, fino a non poterne più prescindere.
Io mi mantenevo a distanza, osservandoli, e riuscivo appena a vedere la cerchia più esterna della moltitudine. Erano cosí stretti fra loro che il minimo gesto di uno scuoteva i più vicini e il fremito si propagava a tutta la tribù, come le increspature che produce una pietra nell’acqua. Perciò, quando quelli della cerchia più vicini agli arrostitori cominciarono a muoversi, si scosse bruscamente l’intera moltitudine, secondo un impulso che sembrava comune a ognuno di loro: collocarsi il più vicino possibile alle graticole.
Saer, con L’arcano, crea una storia fantastica ma tradizionale (lo sradicamento dell’uomo occidentale inquieto e la sua ricollocazione tra i selvaggi), descrive il sovvertimento degli equilibri e dei disequilibri dovuti a un ribaltamento dei riferimenti, narra la spiritualità e i tormenti della carne umana, ingerita, divorata, penetrata, fatta oggetto di incesto, sodomia e timide carezze e pur sempre e soltanto carne umana, la materia che compone chiunque. Saer cerca di allargare i confini del tutto e dell’immaginabile, sempre troppo miseri e autoassolutori. Scrive un bel libro, non un grande libro, io credo. A volte manierista ma forse volutamente tale, zeppo di citazioni e assonanze con tutta una letteratura di viaggi e di uomini moderni tra i selvaggi, strappati alla consuetudine civile e precipitati a contatto con il male assoluto che però, a poco a poco, si rivela più ricco e contrastato ed equivocabile di quel che si credeva (alcuni rimandi evidenti sono a Moby Dick: l’essenza del male demònico, la bestia bianca come la morte, ma anche l’alter ego, la coscienza sporca, la linfa vitale di Achab e al colonnello Kurtz di Cuore di tenebra, altra incarnazione del male selvaggio partorito dal mondo moderno che si svela nella sua ambigua fascinazione fino alla fusione di spiriti finale).
Ancora una volta Saer cambia registro, stile, trama, ritmo, immaginario e spiazza il lettore che, a questo punto, non può non chiedersi che scrittore sia Juan José Saer e per questo vorrebbe continuare a leggerlo.
Ok grazie. A me personalmente il libro non è piaciuto, anzi direi che è uno dei peggiori letti ultimamente.
mi sapete dire chi ha fatto la nuova traduzione?
credo Gina Maneri, traduttrice anche di Cicatrici e della nuova edizione de L’indagine
ERRATA CORRIGE
La traduzione de L’arcano de la nuova frontiera è quella precedente della Pranzetti per l’edizione di Giunta
La traduzione è ancora quella di Luisa Pranzetti, La nuova frontiera ha ottenuto i diritti da Giunti.
io l’ho letto cinque volte. è un capolavoro
so che uscirà in nuova traduzione per la Nuova frontiera
un libro che ho letto due volte e continuerò, mi sembra misterioso