«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
CORRERE
Jean Echenoz
Traduzione di Giorgio Pinotti
Adelphi 2009
Divertente. Librino corto, stampato a caratteri grandi per rimpolpare il numero di pagine, perfetto per una lettura svagata e perfetto pure come regalo o come prestito dalla biblioteca. Insomma, niente di che srotolarsi le meningi o palpitarsi le interiora, ma una piacevole godevolezza sorridente.
È la storia, romanzata a mani basse da Echenoz, in buon stile Carrére, di un personaggio non solo fenomenale ma anche strampalato: Emil Zatopek, il celebre fondista cecoslovacco che tra gli anni ’40 e ’50 abbattè record su record nelle lunghe distanze fino ad averne nove dai cinquemila in su, tra distanze olimpiche e distanze esoteriche come i 20 e i 30 km, le 10 e 20 miglia e la gara di un’ora.
In brevissimo, la storia è quella di un ragazzone modesto della provincia ceca (morava, a voler essere precisi) che vive l’adolescenza al tempo dell’occupazione nazista e la giovinezza nel Patto di Varsavia e, pur nella sua svagatezza e semplicità, scopre una indomabile passione e talento per la corsa. Quindi inizia a correre, si allena a ritmi forsennati, corre sempre più veloce e di lì a poco sbaraglia tutti infliggendo distacchi umilianti. Ma proprio tutti, fino a vincere la medaglia d’oro sui 10.000 e quella d’argento sui 5.000 alle Olimpiadi di Londra del 1948, seguite da vittorie ai campionati europei e la fantascientifica tripletta alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 quando trionfò sui 5.000, 10.000 e maratona, quest’ultima corsa per la prima volta. Erano altri tempi, certo, ma le imprese sportive di Zatopeck hanno comunque il sigillo del sovrumano e non per nulla Wikipedia ci informa che ancora nel 2013 il Runners’ World Magazine lo ha eletto il più grande corridore di tutti i tempi.
Quindi, fenomenale come personaggio storico lo è di sicuro.
Zatopek alla maratona delle Olimpiadi di Helsinki del 1952. Questa foto ha ispirato una gag a Echenoz.
Ma pure strampalato lo era di sicuro, ed è su questo tratto che Echenoz si sbizzarrisce calcando la mano. Intanto disponeva suo malgrado della strampaleria indotta dall’essere cecoslovacco al tempo della Cortina di Ferro, ovvero un poveraccio proveniente da un malandato paese satellite dell’URSS che si presenta a competizioni internazionali alle quali primeggiano soprattutto atleti di nazioni occidentali e scandinave. Insomma, la strampaleria della miseria a casa dei benestanti. Poi ci metteva del suo nell’essere strampalato per il modo rudimentale e sgraziato col quale correva, sempre al cospetto di atleti dall’estetica lucidata.
Eppure li stracciava tutti senza pietà.
Il suo ritmo-gara in corsa si modifica costantemente, è fatto tutto di tempi spezzati, sottili cambiamenti di velocità di cui si dolgono amaramente quelli che lo inseguono. Non soltanto, infatti, per loro è quasi impossibile tener dietro senza scoppiare alla falcata breve, scomposta, irregolare e a scatti che Emil inanella, non soltanto quelle incessanti variazioni di ritmo complicano loro spaventosamente la vita, non soltanto quell’andatura strana e sofferente, combinata con rigidi gesti da automa, li scoraggia perché li inganna, ma oltretutto quell’eterno ciondolare il capo e quel perenne mulinare le braccia dà loro il capogiro.
Gli elementi per la storia divertente ci sono tutti, belli squadernati sulla pagina bianca, come prosegua l’avventurosa vita di Emil Zatopek però non ve lo dico.
Scopo di Echenoz non è fare il biografo e neppure lo storico, ma di intrattenere piacevolmente per quelle poche ore che servono alla lettura. Non cerca quindi né l’accuratezza e neppure la veridicità a tutti i costi, quanto invece il tono e lo stile ironicamente leggero, il ritmo serrato e le incursioni goliardiche per dare al racconto una veste picaresca. Lo Zatopek di Correre è una specie di buon soldato Sc’vèik dotato di superpoteri, fa sorridere, fa un po’ pena e suscita ammirazione, il mix di opposti perfetto per l’ironia.
E la prossima volta che fate jogging, provate a gesticolare e fare smorfie come faceva Zatopek, magari il segreto era proprio lì.
Nota: si trovano diverse recensioni di questo libro. Ne ho leggiucchiate alcune poi l’attenzione mi si è soffermata su due.
Questa, di un blog, Gruppo di Lettura, del 14/11/2009 e questa, del 23/11/2009, pubblicata da Panorama.
Non se anche voi pensate quello che penso io della seconda rispetto alla prima.
Prima frase del primo capitolo: I tedeschi sono entrati in Moravia. Prima frase dell’ultimo capitolo: I sovietici sono entrati in Cecoslovacchia. In mezzo 40 anni di storia (l’ultimo capitolo arriva fino al 1976 se non ho fatto male i calcoli, anche perché Echenoz non mette mai date!) e un unico grande protagonista, Emil. Per buona parte del libro, Emil rimane senza cognome. È un uomo qualunque, piuttosto pigro, un operaio del calzaturificio Bata, che si scopre essere una forza della natura e un bel giorno inizia a correre, correre e a non fermarsi più. Emil Zatopek, la locomotiva ceca, vince tutto, medaglie d’oro, d’argento, infrange record, e tutto con una semplicità disarmante, come per caso, come se fosse la cosa più naturale del mondo. A Praga, il suo cuore viene anche esaminato da una Commissione medica che si limita a decretare che Emil è un uomo normale, è solo un buon comunista! E così, a ogni vittoria, passa di grado nella carriera militare che ha intrapreso, lasciando il posto di operaio. Un buon comunista però è sempre meglio tenerlo d’occhio, prima che gli salti in mente, durante una qualche gara in Occidente, di non tornare più in patria. Che figura ci farebbe il partito nei confronti della Grande Sorella che vigila e controlla? Emil continua a correre e a vincere, corre sgraziato, ha una tecnica tutta sua, è bizzarro, fa smorfie, soffre, ha una volontà di ferro, ma è anche un filosofo, perché alla sua forza fisica corrisponde una grande forza mentale, e non fa tragedie quando, con gli anni, capisce che inizia a perdere. Non fa neppure tragedie quando viene spedito a lavorare nelle miniere di uranio per aver appoggiato e creduto in Dubcek, il quale a sua volta finisce a fare il giardiniere. Così è la storia, ma la storia fanno gli uomini, nel bene e nel male, e quando dopo 6 anni di miniera ritorna a fare lo spazzino, è lo spazzino più osannato al mondo, perché per la gente Emil è sempre un eroe e non gli si può certo permettere che butti la loro spazzatura. Allora lui corre dietro al camion della spazzatura, la sua popolarità è irritante e viene spedito in campagna. Lo costringono infine a firmare un documento di autocritica, gli tolgono la pensione di colonnello di complemento, lui dichiara che è contento e soddisfatto della situazione politica, viene perdonato e finisce la sua carriera a Praga nei sotterranei del Centro di documentazione sullo sport. “Bene, dice il mite Emil. Archivista, probabilmente non meritavo di meglio.”Dalle stelle alle stalle, con grande dignità, perché quando una persona sta bene con se stessa, come sembra star bene Emil, trova sempre il suo equilibrio, sia su un podio, sia in un sotterraneo.
Non conoscevo né Zatopek né Echenoz. In due ore ho imparato ad amarli entrambi. Mi è sembrato di correre anch’io, di seguire il ritmo dei passi pesanti di Emil, mentre leggevo con passione la vita raccontata con estrema leggerezza, eleganza e senza fronzoli, in modo sottilmente ironico, con una scrittura semplice e piana, quasi parlata, la vita di un grande atleta e soprattutto di un uomo intimamente libero. Piacevolissimo. Avercene di atleti e romanzieri così!
yammeyaaaa