«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
TRISTE COME LEI
Juan Carlos Onetti
Traduzione di A. Morino
Einaudi 1981
[Libro disperso]
Libro di racconti scritti tra il 1936 e il 1981, diligentemente ordinati da Einaudi rispetto all’edizione originale di Tan triste como ella y otros cuentos che è del 1976 e tradotti in maniera abominevole da Angelo Morino.
Ripeto: tradotti in maniera abominevole, ovvero a dire da far schifo, da Angelo Morino, uno incapace di tenere il passo di una prosa sublime come quella di Onetti.
Aggiungo: editati in modo cencioso da Einaudi. Frasi sbagliate in italiano, refusi, errori logici nel riportare la narrazione. Uno scempio.
Perle ai porci.
Eppure, nonostante tutta la pochezza dell’edizione italiana, la maestosità di Juan Carlos Onetti riesce a risplendere ugualmente della sua luce torva, sporca, lurida e amara.
I primi racconti, quelli della giovinezza sono ermetici, oscuri, difficile entrarvi dentro, Onetti è chiuso a riccio e la scrittura è nervosa, coriacea, vaga tra sogni orrorifici e oscuri angoli di città, con personaggi che strisciano come lumache, lasciando solo una bava argentea sul selciato nerastro come segno del loro passaggio.
Si aprono, si chiudono, in realtà non si sono mai aperti, ostili al lettore, alle pagine, alle parole, senza spiegazioni né ammiccamenti.
Più tardi, dopo i primi, sorge il sole vago di Santa María, l’ossessione onettiana, la sua ragion d’essere scrittore, l’opera della vita, l’unica grande interminabile storia pietosa dell’immaginaria Santa María partorita da Brausen, Dio Brausen il Creatore in La vita breve.
E come aveva già fatto in Lasciamo che parli il vento e in Per una tomba senza nome, Onetti lascia il tronco del suo capolavoro bicefalo, Raccattacadaveri e Il cantiere, per saltare sui rami, grandi e piccoli, riprendendo storie, personaggi, reinventando punti di vista, svelando retroscena, magnificando con la lente d’ingrandimento quelli che erano dettagli del tronco. Si fa Brausen, insomma, Dio Brausen il Creatore, Onetti-Brausen-Onetti, padre-figlio-padre, creatore-creato-creatore, tutto si mescola nell’ossessione lucida, nell’allucinazione reale di Santa María.
Per questo Onetti è scomparso dai cataloghi, per questo prima Feltrinelli poi Einaudi hanno dichiarato che ne avrebbero pubblicato l’opera omnia e non l’hanno fatto, ora Edizioni SUR l’ha nuovamente dichiarato e io credo che non lo farà anch’essa. Perché l’opera di Onetti è un’ossessione ininterrotta e non interrompibile, non valgono i piani logici né temporali, non servono la divisione in volumi e le date di pubblicazione per farsi risucchiare dal gorgo di Santa María. Serve condividere la stessa ossessione, leggere inebriandosi, maledicendosi, grattandosi il luridume dalla pelle e cantando le parole. Serve sentire il tedio di Santa María echeggiare nella pancia e col tedio il racconto dell’ineluttabilità del disfacimento che precede la fine.
Per questo Onetti non può piacere a molti, per questo non potrà mai resistere nei cataloghi, perché se viene a mancare un pezzo allora tutto crolla, rimane solo insensata insensatezza, per questo Onetti è e resterà sempre un autore misconosciuto che solo pochi esseri striscianti, roditori, blatte, bisce, andranno a a ritrovare e rileggere e amare. Amare o non amare Onetti non significa nulla. Solo aver strisciato come un ratto almeno una volta oppure forse non averlo mai fatto.
Allora non ha neppure senso leggere Triste come lei se non si sta già strisciando per le storie di Santa María, e neppure ha molto senso raccontarle queste storie, trattare questo libro come una qualsiasi raccolta di racconti. Questo è un libro per adepti o squilibrati o maniaci o innamorati.
Tutto questo, cosí lungo, nell’impossibilità di narrare la storia dell’inammissibile vestito da sposa, corroso, sghembo e vecchio, in una sola frase di tre righe. Ma fu cosí, vestito, negligé, camicia da notte e sudario. Per tutti, quelli che avevano preferito con prudenza rifugiarsi nell’ignoranza, per quelli che avevano scelto di formare una dislocata guardia del corpo, riconoscere la sua esistenza e proclamare che proteggessimo, per quanto ci era possibile, il vestito da sposa che invecchiava ogni giorno, che si avvicinava senza scampo a una condizione di cencio, proteggere quel vestito e quel che di sconosciuto, d’imprevedibile, si portava dentro.
Cosí muore Moncha Insaurralde, la basca di Santa María, pazza, tragicamente ridicola eppur compresa, perché di tutti, tutti figli della stessa follia o amore.
Il decesso che qui si certifica è occorso il giorno del mese dell’anno all’ora e tanti minuti. Stato o malattia causa diretta della morte: Brausen, Santa María, tutti voi, io stesso.
Questo è l’ultimo libro che leggo di Juan Carlos Onetti, non ce ne sono altri, almeno tradotti, ma anche in generale è quasi cosí. Eppure ce ne è un altro, forse qualcuno aveva già increspato la fronte, manca l’ultimo, Quando nulla più importa, del 1993, alla vigilia della morte dell’autore.
Manca ma non manca.
L’ho già letto, mesi fa e ne ho già scritto, ma voi non lo vedete ancora, come se fosse stato l’ultimo, perché in effetti lo è, anche se non lo era. La fine era già scritta da mesi e ora ne scrivo una seconda. Per sfalsare i piani, per rendere onore a uno dei più grandi e più apatici e atipici, per indurvi il tedio per me e per Onetti, per annoiare, per prolungare insensatamente, rimandare un appuntamento inutile, per dichiarare il mio amore per Santa María, un luogo orribile, popolato da persone oscene, vive eppur già morte, illuse di parole e di concetti, polvere che respira, eppur narrate come solo Dio Brausen il Creatore poteva essere capace di fare.
That’s the end, folks.
La prossima settimana ci sarà l’ultimo, Quando nulla più importa.
Poi il mio omaggio, personale, egoista, solitario al grande tra i grandi, Juan Carlos Onetti.