2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

La bionda e il bunker – Jakuta Alikavazovic

la bionda e il bunker

LA BIONDA E IL BUNKER
Jakuta Alikavazovic
Traduzione di Elena Sacchini

66THAND2ND  2013 

Commento di Cornelio Nepote

Buongiorno. O sera o notte. Voi sapete cosa vuol dire quando m’accingo su questo modesto palco. Sapete che se volete fiori di campo e strimpellate avete da cercare altrove. Oppure aspettate che torni il mio servo 2000battute che ora ho sloggiato da chisto inframmezzo che è come un’isola e io sono il signore Robinson Crusoe e lui il negro Venerdì. E quando mi sdegno io di prendere la stilografica bordata di alamari borbonici e trinacrie greche lo faccio per offrire saggezza, chiarezza, intemperanza e scorticatezza. Che altrimenti me ne sto a mangiare babbà e succhiare cannolicchi guardando il golfo più bello del mondo, conversando con don Sasà mentre mi fa barba e baffi sulla terrazza di San Propocopio, prima di recarmi, lemme lemme e pensieroso delle umani sorti, in studio a contemplare affreschi e rogiti, ombreggiature e quietanze, ninfee e affarucci.

Oggi voglio esprimere un pensiero a proposito di questo libro del quale fui lettore e che intitolarono La bella e il bunker, scritto da una onorabile signorina annomata Jakuta Alikava…ve…vo…cic Ali-ka-va-zno-zo-vo-vovic Ali-ka-va-zo-vic…ALIKAVAZOVIC! Ué guaglio’, ve sto a prendé pe’ i fondelli, miei cari, Jakuta Alikavazovic, mica sarà difficile da dire, che vi impicciate vi scontorcete va-vi-vo-vic… risvegliate la banda di neuroni bosniaci che avete affagiolato in testa e viene subito, Alikavazovic!, è facilissimo, come dire Brambilla per i brianzi, Caputo per i flegrei o don Michele sempre nei miei pensieri e pene d’affari. Non ci riuscite? Ch’aggio a fa’?, non siamo uguali, io sono io e voi siete voi, il che si traduce in una semplice regoletta: che se voi provate a essere me non ci riuscite.

Ma vediamo, vediamo questo librottino qui. C’ha una bella copertina, di una certa eleganza distinta, senza sconcezze o sgrifagni. Pulita e abbordata di un buon disegnuzzo.

Poi apriamo e leggiamo. Leggiamo. C’è una cosa che bisogna sapere e mo’ vi chiedo se la sapete. Che differenza passa tra una macchina da scrivere e uno scrittore? Tutti e due scrivono, scrivono lunghe frasi, pagine, pubblicazioni, ingiunzioni, romanzi e suppliche; scrivono, scrivono, scrivono. Ma che differenza passa tra i due? O’ scrittore sa cosa scrive e la macchina da scrivere non lo sa? Ma faciteme il piacere! Per trovare uno scrittore che sappia cosa sta scrivendo dovete cercarlo col lanternino in una notte di nebbia. No, state fuori strada. O’ scrittore è chillo che usa la macchina da scrivere? E allora? Che importa? Che vuol dire? Quindi dovremmo dire che un libro lo scrive la macchina da scrivere, non lo scrittore? Ma che state a sbiancicare, no, no, svirgolate.

Mo’ ve lo dico io: la macchina da scrivere scrive, lo scrittore dipinge, compone e scolpisce.
O’ scrittore è come un pittore, disegna ma senza pennelli, solo con le parole, poi è come un compositore ma senza strumenti musicali, usa sempre e solo le parole, e infine è anche come uno scultore che scolpisce senza il marmo, ma, di nuovo, con le sole parole e così, uno scrittore produce quadri, melodie e statue fatte solo di parole. La macchina da scrivere invece scrive delle frasi e basta.

La signorina Alikavazovic, come tanti che scrivono, è una macchina da scrivere non uno scrittore. Non c’è niente di male, capitemi. Non dico una sillaba di disonorevole nei confronti della signorina. Anzi, chilla è pure una buona macchina da scrivere… una Olivetti Lettera 21, per intenderci, una signora macchina da scrivere, una che io conosco bene visto che le mie dieci segretarie tutte hanno una Olivetti Lettera 21 e a loro dico sempre Signorinelle mie, voi con l’Olivetti ci dovete fare all’amore quando la usate, perché l’Olivetti è meglio di Alain Delon, è un principe, un sultano, un amante come voi non incontrerete mai in carne e ossa neanche se viveste tre vite. Però rimane una macchina da scrivere, non uno scrittore, questa è la faccenda spinosa e spiritosa, da un certo punto d vista, mi si conceda.

E da cosa lo riconoscete, Eccellentissimo Notaio Nepote?, mi domanderete. Cari miei, si capisce dalle leggi della meccanica e dell’arte, che non sono le stesse, ma sono come il dolce e il salato. A leggere La bionda e il bunker si sentono i tasti che vengono premuti, i martelletti che colpiscono il nastro e la carta che scrocchia e poi il carrello che ritorna. Mi capite? Si sentono gli ingranaggi, di tecnica ben congegnata, ma pur sempre leve, viti, molle, non pittura, melodia e forma plastica.

La signorina Alikavazovic s’è impegnata assai, s’è ingegnata, impicciata, infragolata per benino per stringere una vite di qua, fissare una leva di là, alzare un ponticello, far scorrere un nastro e così via. Ha costruito una storia in due parti, le ha incastrate una nell’altra e poi ha infiorato, imbellettato e stuccato con riccioli e putti. Alla fine, la storia sta pure in piedi, un poco anchilosata (santiddio quanto insiste con chilla benedetta foto! aggio capito che i due sono turbati e turbinati, ma chista insiste peggio dell’esattore delle tasse!), e procede anche, sferragliando un poco di qua e di là (‘stu signor Grigio, che sarebbe Gray ma l’ho tradotto per chi non sa l’inglese, co’ ‘sti guanti, ma che c’avrà da portare sempre ‘sti guanti lo sa solo domineddio!), puntella di sotto (la bionda che biondeggia, lo scrittore che non scrive, il professore che s’imbesuanisce, l’assistente che assiste), spingi di sopra (un colpo di scena a ogni pagina mi indigerisce l’impepata a me), a casa ci arriva, forse. Insomma, anche con il minestrone lesso di euridici e omeri, il mestiere della macchina da scrivere lo fa.

Ma o’scrittore e o’romanzo sono altre cose. Il primo è un artista e il secondo è arte. Vi faccio un esempio facile facile come fare la mozzarella.

Era immediatamente accanto alla sua giovane ausiliaria, la quale decapitò, non senza abilità, alcune uova, che poi sistemò nei portauova d’argento.

Che c’è che non va? Perché questa frase l’ha scritta una macchina da scrivere e non uno scrittore, dico io?
La nobiltà dei gesti è chiarissima… decapitò, non senza abilità, alcune uova… la giovane ausiliaria è donna di mistero e di movenze raffinate. Donna pericolosa e irresistibile. Mi seguite?
Poi, dopo la decapitazione delle uova, che ci dice? Che vengono sistemate nel portauova d’argento.
È qui, metaforicamente parlando, che la signorina Alikavazovic scivola sulla bava di lumaca da ella stessa prodotta in quantità scrosciante. Che poi sistemò nei portauova d’argento… le uova decapitate, nei portauova d’argento, perché lo dice? Perché aggiunge il dettaglio dei portauova ulteriormente dettagliato dalla fattura preziosa? La scena si svolge in un hotel veneziano a conduzione familiare e prezzi modici, non in un salone sfarzoso, e quindi perché questa doppia farcitura sopra una già precedente farcitura costituita dalla decapitazione della uova? Per rafforzare l’ambigua presenza femminile? Per tendere un filo di ragno che solo la rugiada mattutina rivelerà? Per intorbidire le acque? No, o forse sì nell’intento della cordiale signorina, ma nella pratica… ah la pratica è un altro paio di maniche.

Non c’è alcun motivo assennato, cari miei, ma solo ridondanza e inerzia dei tasti della macchina da scrivere, che quando prende la ruzzola fatica a frenare ipnotizzata com’è dallo sbatacchiare dei martelletti sulla carta. Tac tac tic tac tac tic… il suono dei martelletti, se lo si ascolta troppo e troppo a lungo fa girare la testa e si finisce che uno scrive seguendo il ritmo di quel suono, ma quello è solo il ritmo delle dita che scrivono ciò che si vuole scrivere, non il suono della scrittura, è un inghippo, un evidente cortocircuito che non può produrre niente di particolarmente buono. E infatti produce spesso cacofonie, sgorbiature e zappate. Proprio quello che succede alla signorina Alikavazovic.

Insomma, che vi posso dire? Accussì si scrive un libro sferragliante e scassettato, anche se ci si impegna assai e con buon cuore come ha fatto la signorina Alikavazovic. Se volete apprezzatelo lo stesso e non ascoltate a me, signorine e accompagnatori, che io aggio pure spernacchiato sul famoso Carrère che s’atteggia a scrittore ma pure lui è ‘na macchina da scrivere, però di quelle elettrificate.
Oppure date retta a me e leggetelo lo stesso per curiosità o per dispetto che tanto, a me ‘un me ne importa un fico e mo’ vado a Margellina a mangiare ricci e cozze da O’Totaro e vi saluto coi miei infinitesimi rispetti.

Nepote, Eccellentissimo Notaio, Cornelio

6 commenti su “La bionda e il bunker – Jakuta Alikavazovic

  1. Lavinio Trevi
    24 dicembre 2015

    Che accademia virtuale interessante! E’ stata una vera fortuna imbattermi in questo sito così stimolante e succulento di giudizi, gusti e pensieri. E che nostalgia di Napoli mi fa venire questo impasto di dialetto e lingua colta, da ex partenopeo in esilio da 40 anni a Firenze.

  2. Transit
    16 settembre 2013

    Ciò che ho scritto altrove(sul blog de la Soldanella)a proposito di Quattro chiacchiere sulla poesia

    Comunque, come tutti, ho nome, anzi due, e cognome, infatti mi chiamo Guaglione Lelloccio, Guaglione Lelloccio Ebbasta. Ebbasta è il mio cognome. E di Transit, perché quando commento, ormai storicamente e per abitudine, mi firmo Transit, ma di costui me ne sbatto persino a cuor leggero. Però, spesso, lo ascolto perché quando il mare è agitato, sotto si smuove la sabbia e salta sempre fuori qualcosa, per esempio un nuovo ordine di piccole dune marine pettinate dai bufali delle correnti. Si, ci frequentiamo, ci allontaniamo e ci si saluta, e poi, ognuno di noi ha le proprie amicizie e frequentazioni, letture, critiche e giudizi e persino personali pensieri e scritture. E’ come vivere in condominio e allora, volente o nolente, qualche pizzico sulla pancia te le devi dare. E così ho la pancia piene di ecchimosi(qui da noi diciamo: panza ammulignanata, cioè pancia piena del colore delle melanzane o sottopelle sangue aggrumito nel momento che stringi la pelle della pancia qua e là pizzicandola con l’indice e il pollice, per cui, appunto, ecchimosi.

    Devo dirti anche che firmandomi anonimo, perché ero indeciso, la cosa è iniziata a piacermi e ha ancora il fascino del canto conturbante e possessivo delle sirene che incontrò Ulisse. Anonimo, anonimia e poesia, secondo me, sono un terreno di coltura fondativo della poesia stessa e di tutti coloro che vivono sul crinale di essere e non essere e quando si è, lo è per non essere. Infondo la poesia sono un mucchio di parole e per rappresentare tutte queste parole dell’infinito(non vuol dire niente che è già stato scritto e detto tutto e per tutto s’intende il meglio del meglio del meglio, nonostante i 110 e lode per svariati filosofi, tanto per citare qualcuno)per usarle, maneggiarle e predisporle ci sarà sempre qualcuno perché in fondo è ai morti che si rivolge la corazzata frantumata della poesia.

    Mi fermo qui. Mi stanno chiamando. Giù dal palazzo arrivano voci concitante: paiono voci con venature di adolescenti; giovani infervorati dall’amicizia e dai racconti pi+ taciuti che narrati; e, uomini neo sposati e qualcuno già con figli che fanno i conti giornalieri con la vita, ma anche le voci dei vecchi che tornano al pianto senza ragione o la ragione che si spegne lentamente nel letto del cuore. O chi si spegne per ragioni esterne che dipendono da altri. C’è chi si toglie la vita e a chi la vita viene tolta. E Giovanna, l’amica di Jole, collega di Ipazia, prima di morire per un male incurabile, ha lasciato un libriccino di pensieri fugaci e piccole ingenue poesie che parlavano di amore e sentimenti come un prato peno di fiori. Mentre la morte, vicina e lontana, inesorabile e diligente, compie l’esercizio quotidiano.

  3. Transit
    16 settembre 2013

    Possiamo aggiungere che la poesia non è devozione, almeno per me, tutt’al più una modalità, una forma come può essere un aereo,(da trasporto o da bombardamento o trasportatore di bombe atomiche) il che è di certo secondario. Certo, e aggiungo per fortuna, la poesia diffonde e allarga ben altro.E non lo è in nessun senso, persino il più puro e nobile e allo stesso tempo materialista(la poesia è un bisogno primario per dialogare con parti di sé), e anche quando essa ci piace da morire cioè da rimanerne estasiati dallo scritto, ma piuttosto rapimento e, intendo il rapimento che che avviene in chi molto prima sottopelle s’accinge a essere trascinato per i capelli a scrivere di quello che chiamiamo poesia.

  4. Transit
    16 settembre 2013

    Un extra(dalle radici del corpo) trattandosi di scrittura

    La poesia è il morto in mezzo alla casa. E il morto nessuno lo vuole. Eppure è là, matematicamente in mezzo alla stanza più grande o comunque alla stanza più accogliente o anche nell’unica stanza possibile. Ma anche l’amore allo stato nascente e allo stesso tempo l’amore che sta morendo e muore d’inedia e nonostante ciò non muore perché non vuole porre la parola fine. Le cose e i corpi sono come calendari a cui togliere i fogli dei mesi che passano. La poesia è sia vita e sia morte, perciò ride e piange e quindi vive nelle cose e al di fuori delle cose. la poesia è fine e confine e illimitatamente vicinanza e lontananza. La poesia sono le parole che si scrivono per dare ordine al caos dei sentimenti. la poesia è un ingegnere senza laurea ufficiale. La poesia non è altro che un bambino che impara a fare i primi passi e che deve comunque buttarsi nel mondo esterno a partire dal mondo interno. La poesia è parola chiusa che la bocca non pronuncia mai. Poesia è scrittura.

  5. Transit
    15 settembre 2013

    Nepò, Cornelio, pure si tu non esisti e sei frutto di dialoghi e articoli fantasma o inesistenti di una cerevella ca tene genio di sbarià, io penso ca io e tte, anche se tu non esisti nemmeno se ti vedo in carne e ossa, c’avessema vedè da donna Filomena a Montesanto, vicino a Cumana e a spaccanapoli pe’ ce assettà a ‘nu tavolo e fa quatte chiacchiere annanzo a ‘nu piatto ‘e pasta e fasule ‘nzapurite e conditi cu nu cucchiarino di ‘nduja forte assaje e ‘ncoppe tagliare e affettare ‘na mezza cipolla di Tropea e annaffiare il tutto cu ‘nu bicchiere ‘e vino bianco freddo e frizzantino dint’a ‘na giarretella piena di pacchetelle di percoche. Chesto pe’ te guardà dint’a ll’uocchie, pure si nun esiste, e facenno accussì, quatte chiacchiere a proposito di macchina da scrivere e scrittori; questa razzimma, gli scrittori, o che stanno troppo annascunnute o per vendere il prodotto, stanno spaparanzati sempe dint’a televisione per se fa pubblicità. Forse a te, Cornelio Nepote, pure si nun esiste, o esisti pe’ scrivere aricoli-recensioni, te piace di togliere la polvere da sopra quei libri buoni ca tu Nepote vai a scanagliare e che nisciuno cunosce e legge cchiù. Ma tu Nepote, figlio ‘e mammà, cioè furbaccione come sei, chesti ccose l’avissa sapè. Pe’ ‘na vota tanto miette ‘e piere ‘nterra e siente ‘a materia di cui è fatto ‘o munno: ‘o libbro, ‘e libbre pe’ quanto schifiltosi, nobili e austeri e pieni di serietà, pure loro subiscono la legge di mercato. Cosa voglio dicere? Che non solo vendono di più copie, ma costano pure assai. Cchiù songo pubblicizzati e cchiù costano assai. E ‘a qualità? ‘A qualità si capisce col tempo quando si va in giro nella vita e si cade e si tocca e ci sbatte la faccia contro il muro e a terra, nel fango. Cornelio Nepote e Guaglione Ebbasta, vi immaginate un libro che viene dal fango? Riuscirà ad alzarsi e riuscirà a mostrare le pagine bianche su cui sono impresse le lettere che uno scrittore ha formulato e che come una volta ha battuto direttamente su dei fogli che lui stesso ha rilegato dicendo in giro che ciò che ha tra le mani è un libro; un libro(forse)dei vecchi tempi.

    Comunque tengo nome e cognome, mi chiamo Guaglione, Guaglione Ebbasta. E di Transit me ne sbatto. Mica ci frequentiamo, ognuno di noi ha le proprie amicizie e frequentazioni, letture, critiche e giudizi. A ritrovarci in quattro sopra la Speranzella ai Quartieri Spagnoli seduti dint’a cantina di don Mimì ‘o Zezzuso credo che faremmo troppa ammuina con le nostre discussioni col rischio di essere presi a maleparole e buttati mmiezz’o vico. Forse p’o mumento è meglio stare uno a nord cu milanese e piemontesi e ‘n’ato ‘o sudd d’e borboni e d’e briganti.

    Cornè cerca ‘e nun rompere ll’ova dint’a tianella tu, ‘a macchina Lettere21 e stà mappata di scrittori bbuoni, mezze pugnette e malamenti.

    • 2000battute
      16 settembre 2013

      Guaglione Ebbasta, ti si ‘na grande persona.

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Questa voce è stata pubblicata il 14 settembre 2013 da in 66THAND2ND, Alikavazovic, Jakuta, Autori, Editori con tag , , , .

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