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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Convoglio di mezzanotte – S. Yizhar

convoglio di mezzanotteCONVOGLIO DI MEZZANOTTE
S. Yizhar
Traduzione di Elena Lowenthal
Elliot 2013 

Presso la grande strada sterrata e farinosa giravano dei ragazzi con delle strisce bianche legate al braccio che passando qua e là ti chiedevano la parola d’ordine e trasformavano quella steppa in un luogo quasi urbano. Qualcuno era seduto in una vettura con una spia luminosa rossa davanti a sé cui andava ripetendo con voce monotona «Mi senti», alternando alla frase fischi vuoi acuti vuoi sordi, cui l’apparecchio rispondeva con sillabe umane metalliche, come da dentro una latta. Barlumi di sigarette in movimento e nuvolette di polvere, polvere tenace e riottosa che in silenzio aggrediva tutto, formando una specie di calotta bigia onnipresente. Quando un autista accese per sbaglio i fari per un istante il campo con tutto il suo movimento s’infiammò di colpo di una luce dorata, e fu come ritrovarsi dentro una fiaba: su tutto flottava una polvere fitta densa d’oro che avvolgeva e copriva la visuale di un alone biancastro dorato e nebuloso – magico.

S. Yizhar, pseudonimo di Yizhar Smilansky (ha girato nome con cognome e puntato il cognome divenuto nome), scrisse Convoglio di mezzanotte nel 1949 dopo essere stato soldato nella guerra arabo-israeliana del 1948 e lo ambientò nel corso di una notte, nel deserto del Neghev, a ridosso delle postazioni controllate dall’esercito egiziano. Un gruppo di soldati israeliani ha l’incarico di aprire una tracciato percorribile da un convoglio di autocarri e truppe attraverso un tratto impervio del deserto, per consentire al convoglio, che sarebbe sopraggiunto la notte stessa, di raggiungere una strada che lo avrebbe portato verso la linea del fronte e a combattere per rompere l’accerchiamento nel quale era caduta una guarnigione.

Questa la cornice nella quale Yizhar colloca la storia di quella notte e di quel gruppo di soldati. È lo sfondo della storia, per dirla da teatrante. Il proscenio è il deserto, arido, pietroso, scosceso, ma soprattutto polveroso, e l’oscurità di una notte senza luna e priva di luci, che non potevano accendere per non farsi sorprendere dall’esercito nemico. È una scena ostile e priva di confini, priva anche di contorni, di punti di riferimento, priva di certezze e di indicazioni. I protagonisti brancolano nel buio, e nel buio trovano sottili ombre che li guidano o un monologo interiore che assorbe l’intero spazio.
Buio e polvere che ricoprono i soldati spossati, sudati, impauriti e coraggiosi, determinati e riflessivi. Buio e polvere che, come un mantello lugubre, isola ogni uomo da tutti gli altri, lo rende un profugo che vaga cercando una direzione, inseguendo uno scopo, l’apertura del passaggio tra rovi, massi e letti di torrenti.

Il racconto di Yizahr, per quanto riesca a essere avventuroso e quasi inspiegabilmente pieno di azione, è soprattutto un viaggio interiore tra le scelte possibili e l’impossibilità di scegliere, tra la sopravvivenza e l’orgoglio, tra ciò che sarebbe giusto fare e ciò che si deve fare, come meglio si può. Non è un libro di guerra pur parlando di una guerra, non è un libro di sentimenti pur colmando di sentimenti i suoi protagonisti, non è un libro introspettivo pur coi lunghi monologhi di Tzivieleh, il protagonista principale, splendido personaggio.
Convoglio di mezzanotte è un po’ di ognuno di questi libri, è un narrare che come un filo intreccia la guerra, l’azione, i sentimenti, l’introspezione, i dubbi, le aspirazioni, la solitudine e il bisogno di umanità. È un filo che si snoda nel buio e nella polvere che satura l’aria e ricopre ogni cosa, ogni persona, ogni parola, ogni gesto. Un po’ come è una vita, no?

Molto bello, grande prosa quella di Yizhar. Convoglio di mezzanotte ricorda, in qualche modo, due grandi libri italiani, per lo stesso senso di aridità, solitudine e umanità: Tempo di uccidere di Ennio Flaiano e Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Forse ricorda un’epoca e situazioni comuni. Buona la traduzione di Elena Lowenthal soprattutto nelle parti più liriche, meno nei paragrafi lunghi di Yizhar quando talvolta non sa che farsene di un aggettivo e lo fa rotolare un po’ a caso, ma pazienza, Convoglio di mezzanotte è un libro che pulsa e riscalda e difficilmente si dimentica.

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Questa voce è stata pubblicata il 28 settembre 2013 da in Autori, Editori, Elliot, Yizhar, S. con tag , , , , , .

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