«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL PASSATO
Alan Pauls
Traduzione di Tiziana Gibilisco
Feltrinelli 2007
Facciamo (mo’ parlo al plurale, voce impostata e sguardo cisposo) una premessa metodologica per tracciare la cornice e capirci meglio. Alan Pauls è uno scrittore contemporaneo argentino. Io adoro gli scrittori argentini, lo sapete, però bisogna sapere che è argentino non francese, come bisogna sapere che Bernhard è austriaco non spagnolo, che Erofeev è russo non inglese e così via. La nazionalità non è un dettaglio trascurabile o al più una bizzarra curiosità quando questa sia malgascia, groenlandese o kazaka. Cioè la nazionalità conta, é una cultura, una familiarità, uno stile, è tante cose, magari sottotraccia, magari nascoste dalla personalità e dalla vita dell’autore, ma conta comunque, eccome se conta.
Io questa cosa la dico perché ho l’impressione, a leggere certi commenti, non qui, in giro intendo, che molti non ce l’abbiano chiara e quindi commentano come se non volesse dir nulla che la Divina Commedia è del 1300, o che Angkor Wat l’hanno costruito i Khmer cambogiani oppure la cerimonia del té senza il Giappone intorno. Poi certo, ognuno è libero di commentare a suo sbuzzo, però, insomma, vien poi anche da ridere certe volte e mica per caso.
Bene. Alan Pauls è argentino e questo libro, Il passato, è un libro d’amore, parla dell’amore, non fa altro che parlare di quello lungo tutte le 467 pagine stampate fitte. È un’interminabile, per me bella, molto bella, storia di amore. Argentina, però. Il che vuol dire qualcosa.
Intanto vuol dire che se qualcuno sente che si parla di amore e cerca il romanticismo ha sbagliato completamente libro. Gli argentini, inclusi anche gli uruguaiani che io chiamo ugualmente argentini perché in realtà è la foce del Rio della Plata quello che conta, non sono romantici in senso europeo, sono malinconicamente e cinicamente romantici. E poi sono dei bastardi. Sì, gli argentini sono dei bastardi, è un loro tratto culturale, dei veri bastardi. E quindi anche gli scrittori argentini sono dei gran bastardi, culturalmente e stilisticamente dei bastardi fetenti.
Per dire, gli austriaci non sono dei bastardi. Bernhard (cito lui perché lo sto leggendo, come periodicamente sento la necessità di fare), il più grande, non è un bastardo, è il poeta del male che colma la specie umana, è gelido come un vento antartico, ma mai un bastardo. Leggete tre pagine di Bernhard e avete capito il genere, se lo amate rimanete, se no meglio che ve ne andiate subito.
Così per molti altri. Per gli argentini no, non è così. Perché sono bastardi; uno scrittore argentino confonde sempre le idee al suo lettore, lo fa apposta, è un’arte e loro sono i migliori. Parla in un modo e la musica delle parole suona una melodia di tutt’altro genere, racconta dell’amore e descrive l’orrore, si fa suadente e descrive la perversione degli uomini, appassionato per le peggiori puttane, adorante per quella fogna di Buenos Aires e così via.
Lo fanno quasi tutti. Lo fa Roberto Arlt, il capostipite, lo fa Bioy Casares, Borges forse meno, ma lui è un tipo particolare, anche Cortázar lo fa meno, é più europeo e tende all’esoterico, per quello piace a molti, anche a me piace enormemente, lo fa Onetti, grande tra i grandissimi, lo fa Saer e lo fa Pauls. Gli argentini non scrivono pensando ai lettori, sono egoisti e bastardi, scrivono pensando a sé, i lettori se vogliono si adattano, e se lo fanno bene ma chi se ne frega, se non lo fanno bene ma chi se ne frega. Uguale identico a prima, nessuna differenza. Siete voi lettori, anche io, a dover strisciare carponi verso di loro, non il contrario. Bisogna saperlo. È la loro grandezza inimitabile. Se non piace o disgusta un po’ questo umiliarsi allora meglio leggere altro, che so un Paulo Coelho o un Carrère, che quelli sì che invece vi strisciano ai piedi pur di farsi piacere, vi lustrano le scarpe se glielo chiedete e in cambio date loro il vostro apprezzamento. Gli argentini invece vi guardano cinici come foste dei ratti o dei gorilla e sogghignano in preda al bieco fatalismo. Sono spregevoli ma la loro prosa è arte. C’è sempre un prezzo da pagare per il piacere profondo.
Un po’ come il tango, il più bastardo tra tutti i balli, amore e sopruso, passione e violenza, candore e sporcizia. I ballerini di tango sono cinici, lerci e carichi di passione come nessun altro, gli uomini sembrano sempre dei magnaccia e le donne delle gran puttane, ma il fascino del tango è insuperabile. E così sono gli scrittori argentini, che fanno caso a sè rispetto tutti gli altri sudamericani.
È questione di aspettative. Se qualcuno si aspetta che io balli il valzer rimarrà deluso, ma io dico che è colpa sua, mica mia.
E allora, se volete leggere una lunga storia d’amore argentina, eccessiva, sporca, fetida, cruenta, che si trascina in mille rivoli, parole, incisi, paragrafi eternamente lunghi nei quali si perde il capo prima di intravederne la coda, se volete la storia dei due protagonisti Sofía e Rìmini che si dilaniano, si fanno a pezzi, brandelli, coriandoli, si sputano addosso, si fanno schifo per amore, allora Il passato, che Feltrinelli, come d’abitudine, correda o arreda o decora o imbandiera di una copertina obbrobriosa e insensata, è un bel libro, difficile, lunghissimo, sconfortante, bastardo, prolisso, ozioso, cinico, degradante, umiliante, da lasciare e riprendere, lasciare e riprendere fino alla fine, perché si sa fin da subito che Sofía e Rìmini si uniranno ancora; un libro che racconta dell’amore, solo dell’amore, dell’amore e basta, di niente altro che dell’amore, nel modo più argentino possibile.
Potete scegliere, ma non pretendere, perché agli occhi di uno scrittore argentino quello che voi preferite non conta un tubo.
Alan Pauls è un talento naturale nello scrivere che suppongo non sia stato letto molto qui da noi, lo avevo già intuito e forse anche detto quando lessi Storia dei capelli, più corto, più semplice, meno eccessivo, altrettanto bello, e qui si conferma. È un talento torrenziale, la facilità di scrittura è impressionante, è fluviale, alluvionale, scarica sulla pagina frasi che si inseriscono una nell’altra a non finire, incisi di incisi di incisi, paragrafi interminabili, che non terminano perché sembra che non abbia senso terminarli, si arrotolano su se stessi come serpi e come serpi formano un nodo che incredibilmente si scioglie in un attimo scivolando una sulle altre. Di nuovo torna il gusto argentino per il suono delle parole, le ripetizioni e le riproposizioni interminabili, il gusto della sovrapposizione invece che della scabra linearità. Piani su piani, paragrafi su paragrafi, vizi su vizi, disgusto su disgusto, amore su amore, passione su passione, strati sedimentari che nascondono ventri carsici nei quali rimbomba l’eco delle passioni inestinguibili. Sacche di follia costrette sotto metri di detriti. Questo è l’amore di Alan Pauls, sotterraneo ed esplosivo, represso e magmatico, cinico e violento, sporco e purissimo.
Non piacerà a tutti, forse non piacerà a molti, ma a me sì, per la storia e per l’anima letteraria argentina che è ancora viva e grazie al cielo che è così. Brava la traduttrice, molto.
Finale.
Vide i suoi piedi nudi che calpestavano un prato sintetico attorno a una piscina all’ultimo piano di un edificio arroventato dal sole. Quando si svegliò, una luce debole entrava dalla persiana. Era tutto come prima. Lui e Sofía continuavano a dissanguarsi.