2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Tetano – Alessio Torino

TetanoTETANO
Alessio Torino
Minimum Fax 2011 

Una zattera sul fiume e dei ragazzini in viaggio sul corso d’acqua, in fuga dal mondo di terra e case scivolando verso il destino.
Sembra Huckleberry Finn, certo, evidente, tutti diciamo “La storia di Huck!”, e anche Alessio Torino lo dice – lo dice? sì lo dice che sembra quella storia -, ma oltre che alla storia di Huck si potrebbe pensare alla storia di altri due ragazzini, Vittorio e Giacomo, come ce la racconta Guido Conti ne Il grande fiume Po:

Vittorio Di Nunno e Giacomo Enrichetti partirono da Casalmaggiore nell’agosto del 1958, con una zattera fatta di bidoni di petrolio e legname alla volta di Venezia. Un’idea da folli. Avevano appena diciassette anni. […]
Al loro ingresso a Venezia, supportati dall’entusiasmo dei gondolieri, i due ragazzi passarono il Canal Grande tra applausi e fischi. Attraccarono con la zattera sotto il ponte dei Sospiri e lì dormirono. […]
Un’impresa unica: pare che avessero letto Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain.

Perché questa storia, di questi due ragazzini di fiume, è una storia vera e nonostante sia vera è ancora più incredibile delle storie immaginarie. Allora, io a leggere Tetano – che ho finito d’un fiato una domenica piovosa, cioè domenica scorsa, non “una domenica” – continuavo a pensare a Vittorio Di Nunno e Giacomo Enrichetti e mi domandavo se Alessio Torino la conoscesse quella storia o se anche lui pensasse ad Huck e all’impossibilità che una cosa del genere potesse capitare veramente, perché, ma questa è solo una mia fantasticheria, niente di più, se avesse saputo della storia di Vittorio Di Nunno e Giacomo Enrichetti, forse, non lo so, forse no, ma forse avrebbe scritto un libro diverso da tanto che quella storia è vera e incredibile, perché nella storia di Tetano c’è una zattera che costruiscono dei ragazzini – Tetano è uno di loro, gli altri sono Giorgio, Achille e Corsi – ma sulla zattera non ci saliranno mai per lasciarsi scivolare sul fiume che non è né il grande Mississippi né il divino Po, ma il Candigliano, fiume che scorre nell’Appennino umbro-marchigiano e soprattutto, se anche lo avessero fatto, non sarebbero mai giunti a Venezia o in altri luoghi del destino, ma alla diga che sorge pochi chilometri a valle a formare il Lago del Furlo.

Quindi, Tetano è una storia di fiume e io adoro le storie di fiume per la loro natura estranea e ombrosa, e di zattere costruite da dei ragazzini ma senza il viaggio sull’acqua, senza fuga, senza rottura del tempo e dello spazio. La storia di Tetano nasce e muore a Pieve Lanterna, minuscolo paesino presso la Gola del Furlo che, a dire il vero, non so se esista veramente o se lo sia inventato Alessio Torino; quello che scorre in questa storia non è il fiume ma sono i ricordi e lo sguardo di Corsi, uno dei protagonisti, vent’anni dopo la storia della zattera. Vista in questo modo, la zattera alla deriva non è il fallimento dell’impresa, che di impresa non si trattava, è che bisogna aspettare, bisogna avere pazienza, anche da una zattera affondata contro una diga può nascere un viaggio, molto lungo e molto incerto.

Tetano è un bel libro e Alessio Torino è molto bravo anche se a volte sbanda, almeno in questo libro.
Qualcosa che non va lo si trova. L’inizio ritmato da frasette brevi, come singhiozzi da corso di scrittura creativa americaneggiante, sembra titubante, timoroso di mollare gli ormeggi. Il finale un poco tortuoso, forse incerto nella direzione da prendere per giungere al doppio epilogo: della zattera solitaria alla deriva sul fiume e di Corsi che riflette sulla propria vita adulta di benestante professionista romano riscoprendo quelle radici selvatiche di vent’anni prima e l’incarnazione di quella selvatichezza disperata e ferita, Tetano, il ragazzino che si caga addosso, l’eroe smerdato della storia.
Nel mezzo, nel corpo del romanzo, quando Alessio Torino libera la storia dal fraseggio compito e non si preoccupa della chiusa, Tetano suona della musica del fiume, quel brontolio cupo, e i personaggi si fanno gente di fiume, selvatici e passionali. Tetano è un gran personaggio, ma anche gli altri, l’umanità varia della locanda, sono belli da leggere, magari tutto d’un fiato.

Un pezzetto della grande entrata in scena di Tetano e poi basta.

Tetano ha raggiunto la Gran Troia, o perlomeno ce l’ha fatta ad aggrapparsi. Due mani sbucano dall’acqua e fanno presa su una tavola. Sguscia una testa di capelli neri e lucenti. Sale in ginocchio. Giorgio gli tende una pertica. Tetano deve passarsi una mano davanti agli occhi, perché i capelli bagnati gli coprono la faccia fino al mento. Appena vede la pertica la afferra, puntandosi con un piede alla Gran Troia, tendendosi in un unico sforzo dalla mano al tallone. Affianco Giorgio sul masso. Riusciamo a trascinare Tetano verso la rada. Entrambi teniamo saldamente la pertica, costretti al contempo a guardare se appoggiamo il piede nel posto giusto. Achille Spada è già in acqua fino alla vita. Appena agguantata la Gran Troia, la tiriamo alla rada insieme a Tetano.

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Questa voce è stata pubblicata il 23 novembre 2013 da in Autori, Editori, Minimum Fax, Torino, Alessio con tag , , , , .

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