«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL RING INVISIBILE
Alban Lefranc
Traduzione di Daniele Petruccioli
66THAND2ND 2013
Nuova pesca dal catalogo di 66THAND2ND che, come dicevo per I mastini di Dallas, mi incuriosisce. Il merito principale di questo libro è di parlare di Cassius Clay, Muhammad Ali, The Greatest of All Time, l’inimitabile Ali, il pugile che ha trasformato la boxe e forse l’America. Non solo il più grande pugile di tutti i tempi, ma una delle figure più carismatiche, istrioniche e belle della storia recente americana.
Ali è un gigante sulle cui spalle si sono issati in molti, Alban Lefranc con Il ring invisibile è uno degli ultimi.
Ma questo non è solo il principale merito di questo libro, è anche il suo principale limite. Parla solo di Ali, senza voler essere una biografia né un romanzo storico, ma un po’ biografia, un po’ romanzo storico e molto racconto di fantasia. Per far questo Lefranc si sovrappone ad Ali, necessariamente, lo copre di una carta traslucida fatta delle sue parole, delle sue iperboli, dei suoi dialoghi immaginari e dei pensieri immaginari di un immaginario Cassius Clay. Difficile fare un’operazione del genere e facile, molto facile, diventare stucchevoli, eccedere sbilanciando l’equilibrio instabile, arzigogolare, romanticheggiare o tinteggiare con colori sanguinolenti. Teatralizzare, in definitiva. E questo, purtroppo, Lefranc in parte lo fa. Teatralizza forse in modo eccessivo la figura di Clay interponendo la sua prosa densa, appassionata, fin troppo partecipe.
La grandezza e il magnetismo di Clay non hanno bisogno di steroidi o di lustrini. Per chi non l’ha mai visto, When We Were Kings, il film-documentario del 1996 di Leon Gast sull’incontro per il titolo di campione dei pesi massimi tra Muhammad Ali e George Foreman, che si svolse a Kinshasha (Zaire) il 30 ottobre del 1974, è stupendo, Ali all’apice del successo era un personaggio epico.
Insomma, il risultato de Il ring invisibile non è male, si legge con piacere, è breve e semplice, a tratti appassiona quando Lefranc trova l’accordo giusto, ma in altre parti si perde, soprattutto quando deve procedere fornendo elementi storici che risultano frammentari e disarticolati, come per la strana figura del wrestler Gorgeous George che sembra un povero scemo, ma si dice abbia avuto un’influenza benefica su Clay senza però sapere quale sia stata (o per lo meno, io non l’ho capita); oppure quando salta dalla prima faticosa vittoria professionistica all’attesa negli spogliatoi per il combattimento per il titolo mondiale dei pesi massimi contro Sonny Liston e nulla si sa di cosa avvenne nel mezzo.
Infine anche della conversione di Cassius Clay in Muhammad Ali sappiamo solo che fu ispirata da Malcom X e poco più e soprattutto, troppo letterariamente Lefranc sorvola sugli anni di Muhammad Ali grande istrione, insistendo molto sulla silenziosità e riservatezza di Cassius Clay negli anni giovanili, ossessionato da un episodio drammatico di razzismo nel quale venne ucciso un suo quasi coetaneo, Emmett Till. Poi, con l’affermarsi della sua grandezza e a partire dall’incontro per il titolo contro Sonny Liston, Clay inizia a parlare, in modo aggressivo, offensivo, provocatorio, debordante, trascinante, profetico, come in un interminabile show, un comizio, una voce che rompe le regole e sovverte la gretta normalità, una voce piena di rabbia, di orgoglio e di intelligenza. Non sappiamo però nulla dei suoi famosi proclami e discorsi che lo resero una figura leggendaria, emblematica e rivoluzionaria rispetto quella dal bravo negro che combatte per il piacere dei bianchi, cosa che dopo di lui è in gran parte rientrata, fino al più recente culmine di notorietà di Mike Tyson, di nuovo, solo in quanto negro dalla forza e brutalità bestiali e suprema stupidità; caratteristiche che lo accomunano molto alla descrizione di Sonny Liston abbattuto fisicamente, moralmente e simbolicamente da Clay quando diede avvio alla sua favolosa ascesa. Oggi la boxe è finita nell’ombra, non ha più alcun significato sociale evidente al grande pubblico, se lo mantiene è nascosto nelle periferie, ed è pure criticata per essere, dicono, solo brutale e antiquata.
Cassius Clay compì una parabola tra le più luminose, ma non molto gli è sopravvissuto, mi pare.
Questo il libro di Lefranc lo lascia solo trasparire con la decadenza fisica di Cassius Clay dovuta al morbo di Parkinson.
Leggerlo come un tributo alla figura di Cassius Clay dà un senso compiuto a questo libro, diversamente ne ha molto meno. Vive di luce riflessa, insomma.
L’inizio del libro, bello:
Ho visto i più grandi pugili neri sfigurati dalla vergogna, dolci giganti stravolti ostaggi di lentezza senile, le braccia bucherellate dalle pere, messi in mostra in talk show prime time a vendere detersivi e mutande. Gli ho visto la pelle esposta in primo piano sui televisori, i muscoli disfatti, l’odio impotente in fondo agli occhi. Ho visto la loro condanna a morte minuziosa, gli alti e bassi del loro nome nell’opinione pubblica. Tutti, dai sottomessi ai sediziosi, che sul podio avessero alzato il pugno o la bandiera a stelle e strisce, sono finiti triturati dalle dicerie, inesorabilmente.
Ho visto i più grandi pugili neri affrontarsi per le scommesse dei padroni bianchi, riportati all’antica condizione di schiavi, presi in giro nei loro diritti fondamentali. Campioni come Floyd Patterson, Sonny Liston e perfino come me, dopo trionfi incontestabili, vere orge di gloria, correvano sempre il rischio di vedersi negare un bicchiere o un piatto caldo da un barista di quarta categoria. Dall’alto della sua pelle bianca, qualsiasi barista di quarta categoria poteva pulirsi le scarpe su un titolo di campione del mondo, sulle voci che lo innalzano al cielo e i milioni di dollari fruscianti intorno a un nome.
Che succede a un sogno quando è appeso?
Si dissecca
come un acino al sole?
Note:
– un buon commento è apparso su Europa.