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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

LTI – La lingua del Terzo Reich – Victor Klemperer

LTI - Klemperer

LTI – La lingua del Terzo Reich – Taccuino di un filologo
Victor Klemperer
Traduzione di Paola Buscaglione Candela
Giuntina 2011 

Questo è il libro di cui parlavo in un commento precedente dicendo che avevo ricevuto un suggerimento prezioso da un editore. LTI me l’ha suggerito Giuntina (cioè qualcuno di Giuntina, intendo) e così ho scoperto un libro imprescindibile, indispensabile, uno di quei libri che tracciano una riga in terra. Una riga, solo quella, il punto dal quale ho aperto gli occhi su un panorama che prima al massimo avevo intravisto, sospettato e farfugliato confusamente quando cercavo di descriverlo.

LTI è un acronimo. Sta per Lingua Tertii Imperii, lingua del Terzo Reich.

Il libro parla della lingua in uso durante i dodici anni di potere nazista in Germania, o per meglio dire, non solo in uso, ma quella lingua, tedesca, ovviamente, anzi il comune tedesco che altro non era, ma quella particolare scelta di termini ed espressioni e, per contro, la particolare cancellatura di altri termini ed espressioni e il particolare stravolgimento di senso o degenerazione di quel termine e quell’altro, che ha definito il modo di comunicare ed esprimersi del regime, della propaganda, dei politici, dei militanti, dei sostenitori fanatici del nazismo (ricordatevi del termine “fanatico” che ho appena infilato dentro), ma anche della gente comune, quella che in situazioni di crisi cerca  di ripararsi o di rimanere faticosamente in equilibrio, delle persone che non si appassionavano troppo alla retorica nazista, e perfino degli oppositori politici, fino ad arrivare – e qui sta la grandezza insuperabile di LTI e di Victor Klemperer e il motivo che rende la lettura di questo libro imprescindibile, assolutamente necessaria e urgentissima – fino ad arrivare agli stessi ebrei, perseguitati, umiliati, deportati, trucidati e sterminati barbaramente.

Tutti, con gradi diversi, certo, con enfasi differente, ovviamente, e con fini addirittura opposti, ma tutti accomunati dalla Lingua Tertii Imperii, l’idioma che ha definito una tragica linea di continuità e di contiguità tra massacrati e massacratori, ariani ed ebrei, nazisti e comunisti, democratici e imperialisti, grandi borghesi e proletari, imprenditori e operai, uomini, donne, giornalisti, gente della strada e professori universitari, ignoranti e istruiti, ha accomunato ogni classe sociale, culturale, politica, indistintamente, la società tutta, longitudinalmente e latitudinalmente, ne è stata intrisa, se ne è imbevuta e ha parlato usando lo stesso idioma nazista.

È sconvolgente quello che testimonia Klemperer in un modo quasi freddo, distaccato, da dissezionatore o da cronista neutrale. Non testimonia orrori fisici, cita anche quelli, certo, ne era circondato e minacciato quotidianamente, ma restano sullo sfondo di LTI; al centro c’è la lingua, il parlato, lo strumento utilizzato per comunicare in Germania. È sconvolgente per l’inevitabilità che dimostra sussistere e per la forza di penetrazione inarrestabile, come un fluido colato dall’alto che percola nel terreno sabbioso, aprendosi i primi rivoli inizialmente, bagnando solo alcune sacche superficiali, poi lentamente scendendo e improvvisamente iniziando a correre negli strati profondi come una reazione a catena, inondando e contaminando l’intero terreno. È sconvolgente perché in LTI appare con tutta la sua forza incontenibile la potenza della lingua parlata quotidianamente, il suo potere rivoluzionario e tossico, la capacità di insidiare i pensieri e l’anima delle persone. Klemperer mostra, senza dirlo, che l’idea dell’anima o della coscienza chiusa nello scrigno privato di ogni uomo è un’illusione. Non esiste alcuno scrigno privato, tutto è permeabile e raggiungibile dalla lingua. La lingua che si parla è il mezzo e il senso del nostro comunicare al mondo e del comunicare del mondo a noi. È ciò che ci entra dentro, inevitabilmente ci permea, ci plasma e ci orienta, impercettibilmente, senza posa, senza che si possa opporre alcuna difesa che non sia ascoltarsi, riconoscere il particolare idioma che si sta usando e avvertire lo sconvolgimento che deriva dal vedersi un pupazzo che ruota a seconda di dove tira il vento delle parole.
Bisogna farsi filologi di se stessi, in breve. Filologi dilettanti, va bene, l’importante è ascoltare e ascoltarsi, come cronisti imparziali.

Questo è il senso del sottotitolo Taccuino di un filologo; descrive che tipo di libro è LTI.
Non è un romanzo e non è un saggio. Non è un’opera scientifica né un trattato di filologia. Non è un testo storico. Non è nemmeno un diario o un’autobiografia. Non è inscrivibile in alcun genere, ma è un po’ di tutti questi generi, o di molti per lo meno. È un testo biografico nel senso che Klemperer parla di sé e riporta le proprie esperienze. È un po’ diario perché le osservazioni sono riportate in presa diretta, via via che le ricava. È un po’ un testo storico perché traccia una parabola di un periodo seguendo la linea particolare dell’idioma e delle parole utilizzate. È anche un po’ un racconto, perché… non lo so bene il perché, ma ne sono convinto, forse per il senso di intraprendere un cammino stupefacente e terribile che io ho provato. Infine è anche l’opera di un filologo professionista, Professore Ordinario di Filologia Romanza e inevitabilmente la sensibilità dello studioso si riverbera nel testo.

Ma più di ogni altra cosa è esattamente quello che Klemperer ha dichiarato essere: un taccuino nel quale le osservazioni, le particolari osservazioni di un filologo, tedesco ed ebreo – e Klemperer in tutto il libro rivendica più il suo essere tedesco, culturalmente, sentimentalmente e biologicamente, che il suo essere ebreo, non essendo mai stato religioso praticante né simpatizzante sionista -, si sono raccolte durante i dodici anni più terribili che la storia umana recente ricordi, raccolte da Klemperer come unico e totalizzante sforzo di dignità quando ogni altra dignità gli veniva tolta e la sua propria vita era incerta, bastava un nulla e sarebbe terminata.

Klemperer ha vissuto un’esperienza rarissima, unica forse. Ebreo tedesco, non venne deportato perché sposato a una donna tedesca –  rimasta sempre al suo fianco, condizione indispensabile che gli salvò la vita – e questo fino all’ultimo lo protesse da Auschwitz. Ma non solo, visse tutto il periodo nazista a Dresda, e quindi ne fu testimone senza interruzioni, fino al 13 febbraio 1945. Quella mattina venne emesso l’ordine di evacuare anche gli ultimi ebrei rimasti, ovvero quelli sposati a donne tedesche. Erano poche decine ed “evacuare” significava deportare ad Auschwitz. Non fu deportato perché avvenne l’inimmaginabile. La stessa sera la RAF britannica e l’aviazione statunitense rasero al suolo il centro storico di Dresda in uno dei bombardamenti a tappeto più devastanti della seconda guerra mondiale, passato alla storia come una delle stragi di civili più brutali mai avvenute. Klemperer e la moglie si salvarono e fuggirono verso il sud della Germania facendosi passare per tedeschi. Ce la fecero e nel 1947 Klemperer, tornato a Dresda, ottenuta nuovamente la cattedra di Filologia Romanza all’università e sostenitore del Patto di Varsavia diede alle stampe LTI.

Per questo LTI è un libro unico e non paragonabile ad alcun altro.

Ho detto più volte che è sconvolgente e vorrei spiegare bene in cosa consiste questa reazione sia emotiva che intellettuale. Molti libri scritti sulle vicende occorse durante la dominazione nazista sono sconvolgenti. Il Diario di Anne Frank è toccante, i libri di Primo Levi sono capolavori e sconvolgono per le atrocità che descrive, Autunno Tedesco, il resoconto giornalistico di Stig Dagerman tra le macerie e i superstiti del bombardamento di Amburgo è forse il più grande reportage di guerra mai scritto e sconvolge per l’orrore senza confini che Dagerman prova e ribalta sulle pagine. Molti altri testi, storici, giornalistici o narrativi sul nazismo sono sconvolgenti.
Lo sono perché descrivono il male e l’abisso di crudeltà e raccontano la guerra e l’odio razziale e ideologico. Ci sconvolgono con quelle immagini del passato e con il monito per il futuro affinché la Storia non si ripeta e si stia in guardia e ci si rivolti contro ogni insorgenza di quell’odio e di quell’orrore e di quel cancro. Sono testimonianze e sono moniti. Sono fatti accaduti e la possibilità che possano accadere di nuovo. Per questo ci sconvolgono.

LTI è diverso. LTI racconta cosa avvenne alla lingua parlata durante il Terzo Reich. Questa è la testimonianza. Sconvolgente? No, se la paragoniamo ai racconti delle stragi e dell’odio e delle violenze. Ma non basta. Ora c’è la differenza.  LTI non è un monito affinché non si produca una nuova Lingua Tertii Imperii. No. LTI continua a essere una testimonianza. Trasla. Si muove, si adatta, si rigenera, rinasce, si colora, si ibrida, si sdoppia, si ammoderna, si riproduce.
La Lingua Tertii Imperii si riproduce.
Continuamente.
Senza sosta.
Non è mai terminata, non è mai morta, non è mai stata sconfitta, non è mai stata messa al bando.
Mai.
LTI, il libro, continua anche oggi a essere una testimonianza, non un monito.
Non si tratta della possibilità che una Lingua Tertii Imperii possa essere nuovamente adottata.
La Lingua Tertii Imperii già la parliamo, tutti, ne parliamo diverse, le abbiamo sempre parlate, abbiamo continuato sempre a parlarle, noi italiani, i tedeschi, gli inglesi, gli americani, i giapponesi, i russi, i ricchi, i poveri, i tecnologici, i cafoni, quelli del nord e quelli del sud, i politici, i pubblicitari, i giornalisti e gli scrittori, gli sportivi, gli stilisti di moda e i professori universitari. Tutti.
Tutti.
Tutti siamo come quei nazisti o quegli ebrei o quegli indifferenti che parlavano la LTI che Klemperer ascoltava e annotava.
Lo siamo ora, ieri lo eravamo e lo saremo domani e lo sono i nostri genitori e i nostri amici e i nostri figli.
Abbiamo la LTI manageriale, quella tecnologica, quella di moda, quella delle donne, quella degli uomini, la LTI giornalistica, la LTI religiosa, la LTI accademica, la LTI neoliberista e la LTI progressista, la LTI sportiva e quante altre ancora.
Si è riprodotta in decine, centinaia di LTI per le quali si potrebbe scrivere un Taccuino di un filologo e fare le stesse osservazioni che Klemperer fece.

Per questo LTI è sconvolgente, emotivamente e intellettualmente.
Perché siamo indifesi. Perché Klemperer col suo taccuino ha redatto la storia della indifendibile fragilità dell’uomo davanti alla potenza insinuante della lingua.

LTI ha un’epigrafe che recita:

La lingua è più del sangue
Franz Rosenzweig

Klemperer spiega come e perché ha scelto proprio quella frase. Perché si è reso conto che LTI metteva in luce una verità inconfessabile, antistorica e repellente, che non distingue più tra buoni e cattivi, persecutori e perseguitati, ariani ed ebrei, ma appiattisce tutti sotto al vento della lingua, manipolata, falsificata, distorta, abusata, intossicata da un’ideologia folle, ma lo stesso capace di penetrare nell’anima di chiunque.

Vorrei andare avanti pagine e pagine a parlare di LTI e commentare quasi riga per riga il testo; che non è di facile lettura per la presenza, ovvia, di molte parole in tedesco e molti riferimenti, quindi richiede pazienza, un po’ di sforzo, e di non fermarsi se qualcosa sfugge. Non sono i dettagli a essere importanti. Non è lo stravolgimento particolare che il fascismo prima (da notare la differenza che Klemperer traccia tra fascismo e nazismo, da lui mai accomunati per via della centralità ideologia che ebbe la questione razziale nel nazismo ma che fu assente nel fascismo, un’affermazione che se fatta oggi attira spesso polemiche sterili e strumentali) e il nazismo poi fecero di una o l’altra parola.

Mi fermo e chiudo con un brano dal primo capitolo:

Qual era il mezzo di propaganda più efficace del sistema hitleriano? Erano i monologhi di Hitler e di Goebbels, le loro esternazioni su questo o quell’oggetto, le loro istigazioni contro l’ebraismo e il bolscevismo? Certamente no, perché molto non veniva compreso dalle masse, annoiate d’altra parte dalle eterne ripetizioni. Quante volte, finché potevo frequentare le trattorie (non portavo ancora la stella) e più tardi in fabbrica durante la sorveglianza antiaerea, quando gli ariani e gli ebrei stavano in locali separati e in quello ariano c’era la radio (oltre al riscaldamento e al cibo), quante volte ho sentito sbattere sul tavolo le carte da gioco e chiacchierare ad alta voce sul razionamento del tabacco o della carne oppure su qualche film durante i prolissi discorsi del Führer o di uno dei suoi paladini; però il giorno dopo i giornali affermavano che il popolo intero aveva prestato ascolto.
No, l’effetto maggiore non era provocato dai discorsi e neppure da articoli, volantini, manifesti e bandiere, da nulla che potesse essere percepito da un pensiero o da un sentimento consapevoli. Invece il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente e inconsciamente. Di solito si attribuisce un significato puramente estetico e per così dire “innocuo” al distico di Schiller: “La lingua colta che crea e pensa per te”. Un verso riuscito in una “lingua colta” non è una prova sufficiente della capacità poetica del suo autore; non è poi tanto difficile, usando una lingua estremamente colta, atteggiarsi a poeta e pensatore.
Ma la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico. Se per un tempo sufficientemente lungo al posto di eroico e virtuoso si dice “fanatico”, alla fine si crederà veramente che un fanatico sia un eroe pieno di virtù e che non possa esserci eroe senza fanatismo.
I termini fanatico e fanatismo non sono un’invenzione del Terzo Reich, che ne ha solo modificato il valore e li ha usati in un solo giorno con più frequenza di quanto non abbiano fatto altre epoche nel corso degli anni. Il Terzo Reich ha coniato pochissimi termini nuovi, forse verosimilmente addirittura nessuno. La lingua nazista in molti casi si rifà a una lingua straniera, per il resto quasi sempre al tedesco prehitleriano; però muta il valore delle parole e la loro frequenza, trasforma in patrimonio comune ciò che prima apparteneva a un singolo o a un gruppuscolo, requisisce per il partito ciò che era patrimonio comune e in complesso impregna del suo veleno parole, gruppi di parole e struttura delle frasi, asservisce la lingua al suo spaventoso sistema, strappa alla lingua il suo mezzo di propaganda più efficace, più pubblico e più segreto.

Quanti tragici e infiniti echi che queste parole producono pensando alle molte LTI che usiamo, che ci definiscono e che modellano la nostra società, la nostra Storia e il nostro tempo. La grandezza di LTI è ancora tutta da scoprire.

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Questa voce è stata pubblicata il 22 febbraio 2014 da in Autori, Editori, Giuntina, Klemperer, Victor con tag , , , , , , .

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