«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL TACCUINO DI BENTO
John Berger
Traduzione di Maria Nadotti
Neri Pozza 2014
Aspettavo da tempo questo libro. Non è un romanzo, non sono racconti, non è un saggio, Il taccuino di Bento è John Berger al suo meglio, ovvero: John Berger che parla e disegna.
È un piccolo libro bellissimo, per molti aspetti. Per il testo, ma non solo. Per i disegni di John Berger, semplici, scabri e delicati, e per la stampa del volume, elegante e preziosa. È un libro bello, oltre che un bellissimo libro.
Chi è Bento? È Baruch Spinoza, filosofo olandese del XVIII secolo col quale Berger dialoga, un po’ insegue sulle tracce di un blocco da disegno di cui si narra l’esistenza ma che non fu mai ritrovato e allora, Berger lo ricrea quel blocco di disegni immaginario ritraendo persone, fiori, oggetti che lo circondano nel suo ritiro sulle alpi francesi.
Il taccuino di Bento è un dialogo tra Berger e Spinoza, tra Berger e noi tutti, come sa fare lui, e forse solo lui, toccando le corde della sensibilità più delicata e più fragile, parlando con le immagini, descrivendo con lo sguardo e ragionando con la propria testa, caparbio, onesto, saggio e sincero.
Dice Spinoza:
E certo la maggior parte degli errori consiste soltanto nel fatto che non applichiamo rettamente i nomi alle cose. Se infatti uno dice che le linee condotte dal centro del cerchio alla sua circonferenza sono diseguali, di sicuro egli, almeno allora, intende per cerchio qualcosa di diverso dai matematici. Parimenti, quando gli uomini sbagliano nei calcoli, hanno in mente numeri diversi da quelli che sono sulla carta. Per cui, se si guarda alla loro mente, non errano certo; ma sembra che errino, perché noi crediamo che abbiano in mente gli stessi numeri che sono sulla carta. Se ciò non fosse, non crederemmo affatto che essi sbaglino; come non ho creduto che un tale sbagliasse quando, poco fa, l’ho sentito gridare che la sua aia era volata nella gallina del vicino, poiché abbastanza chiara cioé mi appariva la sua mente.
(Etica, Parte II, Proposizione 47, Scolio)
Dice Berger:
Adesso, un disegno che ho cominciato due settimane fa. Da allora ci ho lavorato ogni giorno, l’ho avvicinato in punta di piedi per coglierlo di sorpresa, l’ho corretto, cancellato – si tratta di un grande disegno a carboncino su carta spessa – nascosto, esposto, rielaborato, guardato in uno specchio, ridisegnato, e oggi penso che sia finito.
È un disegno di Maria Muñoz, la danzatrice spagnola.
È un bellissimo libro, lo ripeto ancora, completamente diverso dalla normale produzione editoriale, è qualcosa di irregolare, di anomalo, fuori dai canoni, completamente personale. Tutte caratteristiche che si riflettono nella lettura, anch’essa irregolare, anomala, fuori dai canoni, mescolando la voce di Berger, i brani di Spinoza, le immagini disegnate e le immagini evocate o descritte. È delicato e coinvolgente allo stesso tempo, come è Berger d’altro canto, è un dialogo sottovoce che risuona chiarissimo, è un flusso che abbraccia sensi diversi e apre una finestra di solito chiusa se non addirittura sconosciuta.
Dice Spinoza:
Dico espressamente che di sé, del suo corpo e dei corpi esterni la mente non ha conoscenza adeguata, ma solo confusa, tutte le volte che percepisce le cose secondo il comune ordine della natura, cioé tutte le volte che è determinata a contemplare questo o quello esternamente, dal fortuito incontro con le cose, r non quelle volte che è determinata internamente – per il fatto cioé che contempla più cose nello stesso tempo – a intendere le loro somiglianze, diversità e contrasti.
(Etica, Parte II, Proposizione 29, Scolio)
Dice Berger:
Studiate i volti dei nuovi tiranni. Esito a chiamarli plutocrati, perché è un termine troppo storico e questi uomini sono parte di un fenomeno che non ha precedenti. Vada per profittatori. Le loro facce da profittatori hanno molti tratti in comune.Tale conformità dipende in parte dalle circostanze – possiedono talenti analoghi e vivono secondo routine simili – e in parte è una scelta di stile. […]
Se si esaminano i loro lineamenti, si ha l’impressione che non abbiano appetiti fisici pronunciati, e tanto meno eccessivi a parte un’insaziabile brama di controllo. tutt’altro che mostruosi, i loro volti, benché un po’ tesi, paiono quasi insipidi.
Già l’ho detto molte volte, io amo John Berger e quindi per me c’è sempre entusiasmo e fascinazione quando lo leggo e ne parlo. Berger dice cose semplici, o forse le fa sembrare semplici, con quel suo tono dolce e fanciullesco, descrive con uno stile elementare ma con una capacità di osservazione strabiliante, quella che ne ha fatto un grande conoscitore dell’arte e meraviglioso nel commentare i quadri o l’atto del guardare, del percepire la realtà attraverso i sensi, lasciarla filtrare dalla coscienza e depositare dentro noi stessi.
La bicicletta di Luca
Il taccuino di Bento è una stupenda anomalia, un libro quasi esotico eppure che si percepisce vicinissimo, familiare, la voce di un amico saggio, la voce di un maestro, una piccola frattura di luce nella monotonia del vetro sporco che un po’ riflette, un po’ lascia trasparire e tutto distorce e annebbia.
La mano destra disegnata con la sinistra