«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA COMMEDIA DI CHARLEROI
Pierre Drieu la Rochelle
Traduzione di Attilio Scarpellini
Fazi 2014
Fazi ristampa questa raccolta di sei racconti, dei quali il primo e più lungo dà il titolo al libro, che uscì in Francia nel 1934, alla vigilia o forse quando già era maturata l’adesione pubblica di Drieu la Rochelle al nazismo. Già perché questo è il tratto più noto di Drieu la Rochelle: è stato un collaborazionista, ha aderito e partecipato ufficialmente, nella sua veste di scrittore e intellettuale francese, al nazismo. Per questo fu arrestato dopo la fine della guerra.
– NAZISTA –
Non è facile approcciare un autore con una simile etichetta. Comunque sia vi influenza. Come se leggeste un libro scritto da un omicida, uno stupratore, un pedofilo. Un uomo schifoso. Si può dire che Drieu la Rochelle è stato un uomo schifoso? Sì, si può dire per conto mio, come di chiunque abbia aderito e sostenuto il nazismo.
Volendo ci si può fermare qui.
In generale però non ci si è fermati qui. Drieu la Rochelle è stato oggetto di studi, tesi di laurea, analisi storiche e narratologiche, biografie, opinioni e contro-opinioni. Lo scrittore della tragedia romantica del Novecento che ha portato alla catastrofe del nazismo. Per un certo periodo è stato di gran voga. Quando capitano questi fenomeni, dicono che un autore è stato riscoperto. Il che lascia pensare che prima e presumibilmente anche in un futuro prossimo verrà nuovamente ricoperto.
Coprono e riscoprono, coprono e riscoprono… così vanno le cose e a me di queste cose non frega niente.
Per me Drieu la Rochelle è semplicemente (anche se con Drieu niente è semplice) un grande scrittore. Una delle voci più tragiche e dolorose del Novecento. Leggere Drieu la Rochelle è sempre un’esperienza lancinante, alienante. Turba e ferisce, scava nell’immaginazione iniettandovi turbe cupe e nere, grida di orrore, dolore. È un gemito disperato davanti al male, immerso nel male del mondo, degli uomini. Drieu la Rochelle è uno di quegli scrittori, non l’unico, che sembra scrivere spinto da un’impellenza drammatica, come fosse in bilico su un crinale, da una parte c’è la salvezza, dall’altra la morte, e la scrittura è per lui come l’asta dell’equilibrista, lo strumento che gli salva la vita impedendogli di precipitare dal lato sbagliato.
Eppure vi indugia, non sfugge, sale volontariamente su quel crinale e da lassù ha scritto.
Non si trattava dell’accettazione o del rifiuto della vita in assoluto. Si trattava per me di sapere ancora una volta se avevo o no la fede. Passo supremo e decisivo: avevo ventiquattro anni, stavo per entrare, tempo qualche giorno, nella vita attraverso la porta dell’armistizio. Intuivo confusamente quel che in seguito ho provato davvero, che un deliberato abbandono alla morte sarebbe stato alla base di tutte le mie azioni, che solo la sua sicura possibilità sarebbe stata il fondamento dei miei amori, del mio mestiere, delle mie opinioni. In ogni amore, in ogni lavoro, bisogna sempre spingersi al limite estremo, verso la sanzione della morte.
Così scrive nel finale de La commedia di Charleroi, nell’ultimo racconto, La fine di una guerra. Parole evocative e magnetiche. Possono essere prese per spiegare la sua prossima adesione al nazismo, un preludio al suicidio commesso nel 1945; possono infatuare, parole da eroe tragico romantico, o provocare orrore e terrore.
Non do nessuna spiegazione né interpretazione. Le registro e ne registro il tono drammatico di un uomo che qualunque cosa abbia fatto era percorso dal dolore.
La commedia di Charleroi racconta delle trincee francesi della Prima Guerra Mondiale. Molto è stato scritto della Grande Guerra, dei suoi massacri inimmaginabili, delle carneficine sulla Somme, a Verdun e sugli altri fronti occidentali. Eppure, leggendo Drieu la Rochelle sembra di vedere per la prima volta il vero volto di quell’orrore. È il male insito nelle persone quello di cui parla Drieu, fin dal primo racconto, la cui protagonista è una anziana donna francese, stimata e altolocata, che si reca a Charleroi per commemorare e visitare il luogo dove il figlio morì in guerra. La voce narrante è il segretario o tuttofare della donna, che fu compagno d’armi del figlio morto. La narrazione di Drieu è angosciante e cupa, plumbea, pesante ma non per la tragedia del figlio morto e il dolore dell’anziana madre. Per la disgustosa figura dell’anziana madre e per la squallida aridità dei suoi sentimenti. Capovolge la scena Drieu in questo modo: è il male, in una delle sue molteplici forme, quello che affiora anche nell’atto più tragico.
Il racconto è bellissimo.
Il suo lungo viso emaciato faceva impressione, e anche i suoi occhi che sembravano perduti nel dolore. In realtà, la signora Pragen aveva gli occhi che hanno tutte le vecchie signore solitarie. Occhi affascinati da un punto lontano, che si perde nel vuoto.
Entrammo nella chiesa.
La signora Pragen era cattolica. La nostra società è guidata da quel che a giusto titolo viene chiamato snobismo. C’è uno snobismo cattolico e uno snobismo socialista. Tutto è snobismo. Lo snobismo è l’unica soluzione possibile per chi vive solo di immaginazione. E di un’immaginazione rivolta soltanto al passato. Lo snobismo è sempre la ricaduta in un passato qualunque. La gente di oggi riesce a interessarsi solo al passato ed è sufficiente che una cosa sia passata perché si interessi a essa. Appena esiste un passato qualsiasi, attorno a esso si forma uno snobismo. Che la Russia cambi pelle e si faccia sovietica dopo essere stata zarista, appena questo avviene, ecco comparire uno snobismo sovietico. In questo vecchio Occidente che non cambia pelle, che non crea più niente, si sogna esoticamente su Mosca o su Lenin, oppure su San Tommaso e su Luigi XVI. Facendosi cattolica, la signora Pragen sognava di essere in Francia da quindici secoli: dal momento che vi abitava adesso, le sembrava meglio esserci sempre stata, piuttosto che essere stata altrove per tutto quel tempo. Così si diverte l’immaginazione.
Questo è Drieu la Rochelle.
Spesso viene accostato a Céline, con alcune buone ragioni, certo. Il romanticismo tragico, la dissoluzione dell’Occidente e, soprattutto, l’essere stati entrambi nazisti. Io non lo trovo un accostamento pertinente, a guardar bene.
La scrittura di Céline è sovrumana, sembra un alieno che scrive talmente sublime riesce a essere nello stile, nel ritmo, nella ferocia con la quale distrugge le parole, i sensi, le frasi; Céline è devastante sul testo prima ancora che nel contenuto. È disumana la scrittura di Cèline per quanto è meravigliosa e oscena.
Drieu la Rochelle è l’opposto, o meglio, è umano. È un uomo che soffre e geme, scrive nel dolore di una persona che si sente estranea al mondo che vive e spinta sull’orlo della morte. È un uomo Drieu la Rochelle, con tutti i giudizi che possono essere dati alle azioni e alle parole degli uomini.
Per questo, io, tra gli autori che conosco, non lo associo a Céline bensì a Stig Dagerman, che non fu nazista, ma fu, come Drieu, uno scrittore perennemente in bilico sul crinale tra la vita e la morte, fu cronista della devastazione di una guerra, la Seconda Guerra Mondiale, e fu sempre, in ogni suo scritto, attraversato dal senso del male, spesso parlando dei bambini, vittime di quel male che solca la società. Anche Dagerman lottò per sopravvivere scrivendo e alla fine si lasciò scivolare via.
Entrambi, Drieu la Rochelle e Dagerman, sono tra le voci più tragiche e umane nate dagli orrori del Novecento e dal dolore che attraversa l’Occidente come una vena che pulsa incessante. Fuoco fatuo, per chi volesse leggere Drieu la Rochelle, è un’altro suo libro, forse il più celebre, bellissimo e dilaniante.
Non sono autori facili, questo è chiaro, ma talvolta, almeno per alcune persone, accarezzare il male e il dolore del mondo è necessario, è un richiamo profondo a liberarsi dalle tossine che si sono accumulate e che inquinano i sensi, i pensieri e il respiro.
Note:
– tra i molti documenti sull’opera di Drieu la Rochelle, interessante, ad esempio, il commento apparso su Nazione Indiana.