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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

La sinagoga degli iconoclasti – J. Rodolfo Wilcock

sinagoga degli iconoclasti

LA SINAGOGA DEGLI ICONOCLASTI
J. Rodolfo Wilcock
Adelphi 2014

Che J. Rodolfo Wilcock sia stato un geniaccio dei più pirotecnici non c’è il minimo dubbio e leggerlo fa tirare un sospiro di sollievo, seguito da un sospiro di nostalgia, visto lo stato anemico grave della letteratura italiana, ma non solo, quando si tratta di leggerezza, ironia, divertimento e burla.
Adelphi, ristampando La sinagoga degli iconoclasti, fa un’ulteriore opera di bene dopo la ristampa del favoloso I due allegri indiani.

Però anche i geniacci alla Wilcock devono faticare per tenere un ritmo galoppante per un intero libro, soprattutto quando il libro è composto da brevi schede di personaggi immaginari e strampalati, campioni di assurdità e deficienza. In tutte le gallerie di celebrità o nullafacenti, reali o fasulli importa poco, c’è sempre chi spicca e chi finisce in ombra, chi rivolta dal ridere e chi smuove un sopracciglio o poco più. Così è per La sinagoga degli iconoclasti: alcuni dei personaggi di Wilcock sono campioni universali di imbecillità, altri sono mediamente strampalati, qualcuno un poco insipido e altri ancora fenomeni di insensatezza. C’è un po’ di tutto, si va a pesca insomma, io ne ho pescati alcuni, voi ne pescherete altri, qualcuno li pesca tutti e qualcun’altro torna a casa a mani vuote. Succede sempre così tra pescatori, è una regola non scritta ma inviolabile.

La sinagoga degli iconoclasti, che è del 1972, ha molto in comune con un libro parecchio più recente, pubblicato da Quodlibet che, allineando in catalogo una discreta banda di burloni di talento, è l’editore più wilcockiano. Si tratta de I mattoidi italiani di Paolo Albani, un’altra galleria di personaggi, reali questa volta, strampalati, stralunati, invasati, fulminati quando non del tutto rincretiniti. E anche con quel libro si va a pesca, uno, l’altro, questo, quello.
Sono libri-schedari, senza una forma circolare unica, ma fatti di frammenti. Sono fatti così, è la loro natura.

Un brano, dalla scheda del forsennato delirante criminale dott. Alfred Attendu.

A Haut-les-Aigues, in un angolo del Giura vicino alla frontiera svizzera, il dottor Alfred Attendu dirigeva il suo panoramico Sanatorio di Rieducazione ossia ospizio di cretini.
[…]
Isolato, dimenticato, autosufficiente, abbondantemente rifornito di rieducandi, misteriosamente risparmiato da qualsiasi invadenza teutonica, grazie anche allo stato disastrato dell’unica strada di accesso, ridotta in brandelli da un disguido bombardamentale (i tedeschi avevano creduto che la strada conducesse in Svizzera, per via di una freccia con la scritta «Rifugio di Deficienti»); insomma, re del suo piccolo regno di scemi, Attendu si permise per tutti quegli anni di ignorare ciò che i giornali pomposamente chiamavano il crollo di un mondo, ma che in realtà, visto dall’alto della Storia, o in ogni caso dall’alto del Giura, non fu che un doppio cambio di polizie con qualche incidente di assestamento.
Già dal titolo del libro di Attendu trapela la sua tesi, e cioé che in ogni sua funzione e attività non necessaria alla vita vegetativa, il cervello è una fonte di fastidi. Per secoli, l’opinione corrente ha ritenuto che l’idiozia sia nell’uomo un sintomo di degenerazione; Attendu ribalta il secolare pregiudizio e afferma che l’idiota altro non è che il prototipo umano primitivo, di cui siamo soltanto la versione corrotta, e perciò soggetta a disturbi, a passioni e a smanie contro natura, che al vero cretino, al puro, sono felicemente risparmiati.

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Questa voce è stata pubblicata il 12 luglio 2014 da in Adelphi, Autori, Editori, Wilcock, J. Rodolfo con tag , , , , .

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