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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Un arabo buono – Yoram Kaniuk

un arabo buono

UN ARABO BUONO
Yoram Kaniuk
Traduzione di Elena Lowenthal
Giuntina 2012

Ci sono diversi buoni motivi per leggere Un arabo buono di Yoram Kaniuk, il primo è che si tratta di un bel libro che racconta una storia affascinante e sfuggente. Ce ne sono altri, meno scontati, che hanno a che fare con quello che sta accadendo proprio ora. L’attualità entra per forza in queste pagine come una macchia che si spande così come le pagine si depositano sull’attualità come uno strato di foglie bagnate. Ci sono poi ragioni più personali che hanno a che fare con un mio certo modo di ascoltare. Ascoltare opinioni. Le opinioni espresse in 140 caratteri mi irritano per la loro olimpica inutilità, cigolii di coscienze che fanno mostra di sé, vanità impalpabili da bruciare in un misero rogo di stoppie. L’imperativo categorico del prendere posizione. Con un commento stitico, quasi sempre sgrammaticato, esibendo il proprio conformismo indignato, la propria rabbia televisiva, le proprie, vere o finte che siano, lacrime che sgocciolano su un divano damascato.

Io giudico. L’imperativo categorico del prendere posizione senza offrire il proprio culo ad alcuna conseguenza è uno dei peggiori veleni della modernità digitale. Tutti esprimono opinioni, sempre più radicali, intransigenti, arcigne, urlate. Nessuno ci rimette mai nulla per le opinioni espresse. La libertà d’opinione e di parola è garantita come non mai, anestetizzata come non mai, conformata come non mai, resa sterile come non mai. La libertà d’opinione digitale è sempre più libertà di esibire il proprio inconsapevole, come è naturale che sia, conformismo, analfabetismo, stucchevolezza e supponenza. È il diritto umano all’inumanità intellettuale. Detto con una esagerazione grottesca che esteticamente mi procura un certo piacere, ovviamente.

Finalmente posso dire la mia, senza rimetterci un cazzo, che tengo famiglia, sono ben vestito, sono una brava persona, vivo in una casa confortevole, ben pulita dalla colf ucraina, e questa sera ho l’aperitivo con gli amici, quindi niente seccature o discorsi complicati. Dico la mia opinione, 140 caratteri ergo sum.

Dei morti ci si indigna e lo si scrive in 140 caratteri, che per una sgorbiatura bastano e avanzano, ma rimane sempre un’indignazione a metà, tanto per parafrasare uno degli ultimi poeti che abbiamo avuto.

E quindi, io mi oppongo all’imperativo categorico del prendere posizione.
Io prendo posizione contro l’obbligo di prendere posizione.
Non pretendo di capire perché ci si ammazza, né tanto meno di esprimere un’opinione su quale soluzione sarebbe giusto adottare e se mi passa un pensiero che dice “Ho capito” io lo scaccio a calci, se si arrampica sulla lingua un’opinione, me la mordo.
Io non so chi abbia ragione, dove sia la ragione, se esista una ragione, come se ne esca, se mai se ne uscirà e cosa sia giusto e sbagliato. Avverto la sofferenza, più grande di quella abbozzata dai giornali, profonda, potente, diffusa, che scorre in fiumi sotterranei e impregna la terra sulla quale vivono gli uomini.

Un arabo buono è un gran libro se letto in questo modo, proprio perché è impregnato di sofferenza e su questa costruisce una storia d’amore. Poi lo si può leggere dall’angolazione politica, da quella storica, da quella sociale. Ma sono tutte più banali; le notizie, per chi le vuole conoscere, ci sono anche senza ricorrere a uno scrittore di romanzi. La storia d’amore, lo dico al singolare non perché sia solo una tra due persone, in realtà sono molte storie d’amore che si intrecciano e si fondono insieme in un modo che alla fine non si distingue più quale è una e quale è l’altra, sembra anch’essa un fiume sotterraneo che si mescola a quello della sofferenza.

Questo a me è piaciuto di Kaniuk: l’aver mescolato amore e sofferenza senza cercare un modo di ricapitolarle, sfuggendo all’imperativo categorico del prendere posizione, quindi lasciando che si mescolassero a caso, prima un’ondata di una poi dell’altra, come fanno le acque di due fiumi che si incontrano.

La storia è quella di una saga familiare centrata sulla figura di Yosef, israeliano, ebreo per parte di madre, Eva, e arabo per parte di padre, Azury. Yosef è la confluenza di quei due fiumi, amore e sofferenza, e in lui le correnti si scavalcano e affondano. Kaniuk sceglie l’ambiguità, l’irresolutezza e l’antitesi alla presa di posizione fin dal suo personaggio e le mantiene fino in fondo senza mai cedere al vezzo e alla vanità di ricapitolazione. Per questo Un arabo buono risulta sfuggente e inquietante, perché non concede speranza quando si pensa all’attualità, ma anche rende luminosa quella spinta irresistibile di alcune persone a mescolare gli opposti, gli apparenti opposti, gli opposti per convenzione e storia, ma non per i legami che le persone stringono tra loro.
Sono queste le molte storie d’amore de Un arabo buono, tra opposti, tra inconciliabili, tra icone di fronti contrapposti, tra imperativi categorici a prendere posizione che invece quel fiume sotterraneo di amore e sofferenza mescola e plasma nel buio.

Ne risulta un libro che scorre confuso tra sofferenza e amore, a volte dai contorni che si dileguano, acquoso, irrisolto, romantico, aspro. Assomiglia alla vita e alla storia. Non piacerà a chi vuole leggere qualcosa che non gli ricordi la vita e la storia, a me invece, che non posso farne a meno di ricordare vita e storia, è piaciuto molto.

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Questa voce è stata pubblicata il 2 agosto 2014 da in Autori, Editori, Giuntina, Kaniuk, Yoram con tag , , , , .

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