«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
STORIA DI UN UOMO INUTILE
Maksim Gor’kij
Traduzione di Francesca Biagini
UTET 2009
Romanzo dei primi del Novecento, che prende le mosse con il tono e lo stile tipico di molti racconti russi: la sterminata campagna stepposa, le infanzie selvatiche e poi l’avvicinamento alla grande città, la vita grama, da sottoscala e avanzi di cibo. Sembra l’ambientazione classica di tanti romanzi russi, la lavagna sulla quale molti autori hanno poi disegnato una loro storia.
In realtà Gor’kij inganna il lettore, bluffando, perché la sua storia a un certo punto vira bruscamente e assume contorni imprevisti. Diventa la storia delle spie della polizia sguinzagliate nella società a caccia di rivoluzionari e, qui la sorpresa, è una storia squallida, sordida, ma anche impiegatizia, la storia di una contabilità della delazione e del tradimento.
Quello che interessa a Gor’kij non è tanto raccontare le vicende spionistiche o tracciare un quadro della società russa del 1908, quanto raccontare di quella caratteristica essenziale dell’animo umano che emerge sempre, affiora come occhi di unto in un brodo grasso: l’accettazione di tutto, la capacità di ricondurre tutto a un senso di normalità appagante o almeno non tormentosa, insensibile, routinaria, sia essa riguardi il bene, il male, la vita, la morte, i grandi valori e le grandi infatuazioni vengono diluiti nella quotidianità putrida e inumana.
In breve e in altre parole, quello che Gor’kij ci dice è che l’umanità dell’uomo è utopica e al più temporanea; la quotidianità è inumana, ed è quasi consolante che sia così, forse.
I personaggi di Gor’kij, e sopra tutti Evsej, l’uomo inutile del titolo, sono banalmente dei vermi, mostrano banale crudeltà, normale indifferenza, comune insensibilità. Sono le banali persone comuni che compiono atti banalmente mostruosi. Lo fanno addirittura per mestiere, è routine.
Erano pochi quelli che adempivano alla loro funzione con l’entusiasmo del cacciatore, che si vantavano della loro abilità e che si dipingevano come degli eroi; la maggior parte svolgeva il proprio lavoro in modo meccanico e annoiato.
Qui sta la grandezza di Storia di un uomo inutile: aver rappresentato il volto più bieco del potere di uno stato oppressivo, che non è solo il dispiegamento di polizie e di mezzi di coercizione, ma anche e soprattutto il diffondere di un sentimento di normalità dell’oppressione nella società. Sono le persone comuni i peggiori delatori, sono onesti impiegati statali le spie più infami: è questa la normalità dell’oppressione. Qualcosa di molto simile alla Lingua Tertii Imperi di Klemperer. Profetico Gor’kij, per tutto quanto quello che poi fu il Novecento.
«Le persone che ci interessano – diceva sdolcinato e compiaciuto – hanno tutti le stesse abitudini: non credono in Dio, non vanno in chiesa, si vestono male, ma hanno modi educati. Leggono molti libri, fanno tardi la notte, invitano spesso degli ospiti, ma bevono poco vino e non giocano a carte. Parlano degli stati e dei governi stranieri, del socialismo rivoluzionario e della libertà dei popoli. Parlano anche della povertà del popolo e della necessità di farlo rivoltare contro il nostro imperatore, di abbattere il governo, di occupare le più alte cariche e di ristabilire la schiavitù per mezzo del socialismo, ottenendo così per se stessi la più assoluta libertà.»
Nella Russia pre-rivoluzionaria del romanzo la rivolta cova e talvolta scoppia, ma noi non ne vediamo che un’immagine distorta dal punto di osservazione, surreale a tratti, delle spie della polizia le quali non comprendono nulla dei motivi che scuotono la società, non dispongono di alcuno strumento culturale per riconoscere le spinte sociali, ma animalescamente replicano la routine, sempre più agitati però dall’incalzare della situazione che turba il normale avvicendamento di nuove delazioni, nuovi tradimenti, nuovi rivoluzionari da far incarcerare.
Gli uomini inutili si sgomentano come topi in una scatola scossa sempre più violentemente, poi una luce, un treno, il preannuncio, forse, della follia che incombe.