«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
NOTTE FATALE
Stanley Ellin
Traduzione di Letizia D’Onofrio
Elliot 2014
Il librettino, perché di librettino si tratta, sia in senso tattile di massa e volume che in senso figurato relativamente alla velocità con la quale si divora, è gustoso come riesce a esserlo una bella storia classica americana di poliziotti, delinquenti, bassifondi, pugni, pistole e burbon.
Scritto nel 1948 ha quell’estetica svirgolata alla Robert Mitchum, sempre sul confine tra alcolismo, priapismo e delinquenza, ma con un stile… uno stile! e delle facce! delle facce scalpellate, mica quelle faccette ermafrodite lustrate incremate delicatamente femminee che si vedono oggi… uno stile che se lo sognano pure i capitani d’industria moderni, figuriamoci i tipi borderline.
Ecco, Notte fatale ha proprio quell’ambientazione raffinatissima e pure quella meravigliosa semplicità della consecutio logico-temporale spontanea: succede un fatto, di solito violento come botte, spari, pestaggi di massa, quindi il protagonista produce un ragionamento lineare che spesso si riassume in “tu hai fatto quello? mo’ io ti faccio secco, brutto stronzo”, ne consegue un nuovo fatto, normalmente un po’ più violento del precedente ma non troppo, solo un po’; si tratta di una filosofia naturale basata sull’occhio per occhio, dente per dente che conforta, non lascia spazio a turbamenti ipocriti, tremolii di coscienza, piagnistei da chiesa o inconcludenze populiste, perfetta per una narrazione avvincente o riprese notturne, ottima anche per sottolineare sentimenti delicati come l’amore filiale o l’amore sensuale, lo slancio protettivo verso donne dal fascino incomparabile e definitivamente estinto dopo l’infestazione cacofonica del radical chicchismo.
Invece lei disse: «Lo sai, George, che hai un viso molto interessante? Hai un’aria giovane, ma forte». Lo disse con un tono tale che cominciai a pensare che, se Tanya e il dottor Cooper se ne fossero andati, tra noi due avrebbe potuto succedere qualcosa. Era praticamente svestita e nella mia immaginazione potevo già vedere come mi sarei comportato. Non l’avrei baciata, perché non mi piaceva il suo viso, ma avrei fatto tutto il resto e finalmente avrei saputo com’era.
Succede tutto in una notte, secondo un copione tradizionale: pestaggio violento del padre, volontà di vendetta del figlio, attraversamento della notte, ingresso nell’età adulta, perdita della verginità con una puttana amorevole, alcool, pistola fredda e ingombrante, valico o uscita dall’oscurità, vendetta sacrosanta.
Perfetto! Bellissimo come un film in bianco e nero con duri di cuore e onesti delinquenti.
Ma un libro non è un film. C’è di più, c’è di meno… dipende, ci interessa il di più, quelle scodate improvvise rasoterra che uno scrittore può concedersi e un regista invece no.
E infatti Stanley Ellin scoda nel finale, non vi dico niente, acqua in bocca, silenzio assoluto.
È una scodata notevole, inaspettata davvero.
Bello Notte fatale.
P.S. Il film esiste realmente, si intitola The Big Night, in italiano La grande notte, non c’è Robert Mitchum ma John Barrymore. La locandina è meravigliosa.