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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Il cerchio – Dave Eggers

cerchio - eggers

IL CERCHIO
Dave Eggers
Traduzione di V. Montanari
Mondadori 2014

Il libro è uscito in questi giorni in Italia, io l’ho letto invece qualche settimana fa nell’edizione originale intitolata The circle pubblicata da Alfred A. Knopf – McSweeney’s Books nel 2013, per questo non potrò copiarvi stralci dall’edizione italiana. Consolatevi, non vi perdete nulla di assolutamente memorabile, anche se Il cerchio/The circle, per alcune persone, quelle con un acuto interesse per la tecnologia e i cambiamenti sociali e una certa benevolenza verso i romanzieri futuristi, risulterà di un certo interesse. Io sono tra quelle persone e in effetti non mi è dispiaciuto, pur nella evidente mediocrità artistico-letteraria, paragonabile a un film da botteghino americano di quelli non del tutto ottusi, ma comunque adattabile a quasi tutti i palati. Per dire, io ci vedrei bene una Scarlett Johansson nella parte della protagonista principale Mae Holland, ma in questo mio giudizio sono pesantemente influenzato dalla recente visione di un altro film, Her, in italiano Lei, anch’esso giocato su un futuro tecnologico non troppo apocalittico ma apparentemente distopico (ho ceduto, ho scritto distopico, non volevo farlo, odio questa parola, la odio forsennatamente, come anche detesto olistico, ecosistema mi repelle e anche tendenziale mi provoca pensieri delinquenziali) e tendente (sic) al frustrante nel quale proprio Scarlett Johansson è protagonista ma solo con la voce, quella artificiale di un computer. Il film non è male secondo me e la voce della Johansson è pazzescamente perturbante per il livello di gentile erotismo che si spande da quel lieve arrochimento che le esce quando sorride.

Sto divagando, chiaro no? Mi andava di parlare della voce della Johansson, e io non sono un fan della Johansson, credetemi, e anche volevo piazzare la clippettina qui sotto e dirvi “Se l’avete visto doppiato con la voce di Michaela Ramazzotti avete perso tutto, non c’entra niente, non basta quel tono roco che ha anche la Ramazzotti, ascoltate qui” (non sono il solo a dirlo) e poi da un certo punto di vista c’entra un po’ con Il cerchio, nel senso che tolta la voce erotizzante della Johansson, l’atmosfera è simile.

Qui il trailer con la voce della Ramazzotti e qui quello con la voce della Johansson. E qui sotto la clippettina per chi vuole risentire quella voce pazzesca prima di continuare con Il cerchio/The circle. Mettetevi comodi, mandate a letto i bambini (con mogli e fidanzate sono fatti vostri) perché è la scena hot del film. Non voglio neanche immaginare cosa sia diventata in versione borgatara romanesca.

Bene, rientriamo nell’atmosfera de Il cerchio del quale molto si è detto alla sua uscita negli USA. Qui Rampini di Repubblica e Latronico per Il Sole 24 Ore battono il chiodo fisso dell’”Orwell moderno” e della distopia senza molto aggiungere a questi dischi rotti e consunti dall’uso e abuso. Più articolato e dottrinale Emanuele Atturo su Minima&moralia che ripercorre come la stampa americana ne ha parlato in modo diffuso, ma allora, visto che 2+2 fa ancora 4, tanto vale leggere direttamente la stampa americana e quindi andiamoci puntando sulla New York Review of Books (sempre sia lodata), la quale, unica forse o almeno in scarsa compagnia, taglia corto con il mantra della distopia citata in maniera maniacale o psicotica ogni volta si legge qualcosa che vagamente pare somigliare a quanto scrisse Orwell, il che in pratica significa tutto ciò che abbia una componente futurista tecnodeprimente, e allora… Zac!… scatta il riflesso pavlovano della distopia… è un romanzo dis-to-pi-co… dicono e con quello hanno detto tutto, che io ad esempio, ogni volta mi dico “Cos’è che vuol dire distopico… cazzarola ogni volta me lo dimentico”… e secondo me anche loro se lo dimenticano ma Pavlov entra a gamba tesa. Quindi, dopo tutto ‘sto pistolotto, cos’è che dice la New York Review of Books (sempre sia lodata)?

Some will call The Circle a “dystopia,” but there’s no sadistic slave-whipping tyranny on view in this imaginary America: indeed, much energy is expended on world betterment by its earnest denizens. Plagues are not raging, nor is the planet blowing up or even warming noticeably. Instead we are in the green and pleasant land of a satirical utopia for our times, where recycling and organics abound, people keep saying how much they like each another, and the brave new world of virtual sharing and caring breeds monsters.

E mo’ traducetelo, se siete capaci (Daniele Silvestri dixit).

Qualcuno definirà Il cerchio una “distopia”, ma non si vede alcuna tirannia sadica che frusta i suoi schiavi in questa America immaginaria: certamente molta energia viene spesa per migliorare il mondo da parte dei suoi abitanti migliori. Non ci sono pestilenze e nemmeno il pianeta sta per esplodere o si sta surriscaldando in modo considerevole. Al contrario, siamo nel territorio, verdeggiante e piacevole, di una utopia ironica rispetto ai nostri tempi, dove il riciclo e le coltivazioni biologiche abbondano, le persone continuano a dire quanto si stanno simpatiche una con l’altra, e il brave new world della condivisione e dell’assistenza cresce mostri. (Traduzione mia)

Già, proprio questo è Il cerchio. Un’utopia infantile degenerata se vista dai nostri occhi cinici e storici, non una distopia e nemmeno un mondo orwelliano. Se eliminiamo cinismo e storia, quello che non hanno i protagonisti de Il cerchio, tranne pochi rottami di un passato che si sta chiudendo, rimane un mondo che ha un suo equilibrio e una sua forma quasi perfettamente sferica, da qui il titolo azzeccatissimo. Quasi tutto si autosostiene in un incastro logico frutto di un’intelligenza evidente e inconfutabile: tutto viene fatto per il meglio sociale, il vecchio mondo viene trasformato per eliminare i problemi, i dolori, le sofferenze, le ingiustizie, i crimini e il male. È un’illusione distorta la nostra di voler giudicare il mondo utopico e meraviglioso de Il cerchio dietro la lente sporca della nostra società volgare, delle nostre vite meschine, della nostra ipocrisia quotidiana, violenza latente, ingiustizie che volentieri infliggiamo. Noi ci autoassolviamo nel giudicare distopico il mondo de Il cerchio, mentre loro il mondo lo rendono migliore come noi non abbiamo saputo fare.

Ma è anche un mondo ipersemplificato quello de Il cerchio, dove vale sempre il principio fondamentale dell’idiozia ingegneristica e del fanatismo tecnologico: a una causa segue un effetto, calcolabile, misurabile, gestibile e perfettamente spiegabile. Così funziona Il cerchio e così si rende il mondo giusto, le persone migliori, si elimina violenza, crimine e soprusi. Rendendo tutto semplice, trasparente, continuamente monitorato e gestito. Di nuovo, c’è chi ne ha letto una distopia per la privacy perduta, anzi annullata. È vero, ma è una parte dell’equilibrio di questa società sterilizzata, non l’unica trave portante. È una precondizione e una conseguenza del concetto di bene sociale per via tecnologica.

I personaggi sono caricature. Sono anime semplici e menti semplici. Hanno successi iperbolici da Silicon Valley e crolli tragici da ghetti newyorkesi ma sempre ricalcano lo stereotipo americano da film o romanzo popolare: pronunciano ciò che pensano, agiscono poi pensano, reagiscono e non riflettono, sono soggetti a enormi escursioni emotive, scopano frequentemente e tendono a morire in modi particolarmente scenografici.

I dialoghi sono banali. Tutto è banale ne Il cerchio.
Lo è anche Il cerchio stesso. È un’azienda amebica che racchiude i nostri Google, Facebook, Twitter, servizi segreti, assistenza sociale, welfare pubblico, ipertecnologie, Internet, Web, format televisivi da real tv e grandi fratelli, gossip e online dating. È un ammasso globulare onnicomprensivo i cui confini sono indefiniti, vanno oltre l’orizzonte.

In definitiva è la banalità delle parti di un corpo multiforme, come un romanzo, una storia, un destino, una società o una vita. Prendiamo una vita. La vostra vita, anzi, la tua vita. Tu, la tua. E dividiamola in secondi. La sequenza di quei secondi è la tua vita. Ognuno di quei secondi, preso singolarmente, senza guardare la fila tutta, è inesorabilmente banale, insignificante, semplice come un bit, zero o uno. Mi spiace dirtelo in modo così netto, ma puoi consolarti perché così è per tutti. Ora buttane via un po’, tanto sono tutti uguali, poi rimettili insieme e si riforma una vita intera, che banale non è mai. Sei ancora tu quel cumulo di secondi banali?

Questo è anche Il cerchio: una storia banale, con personaggi banali, dialoghi banali, un’utopia banale, infarcito di banalità pseudotecnologiche pseudopsicologiche pseudosociologiche pseudoeconomiche pseudodistopiche, e che cambia a seconda di come lo vogliate guardare, secondo per secondo o tutta la fila, perché vi racconta, incarnandolo (e questa è la bravura di Eggers), il dramma della banalità tecnologica, i mostri che cresce, per citare la NYRB, l’utopia del benefattore, del creatore di benessere sociale che trova nella tecnologia delle leve potentissime per smembrare l’intrico del reale, la sequenza di una vita sgranata nei suoi miliardi di insignificanti secondi.

Smonta, manipola e rimonta. Questo fa Il cerchio alla società. Il problema è rimontare, mai smontare. Il risultato potrebbe essere una dolce, passionale, gentile mostruosità come Mae Holland, la protagonista, orrido alter ego della voce pazzescamente perturbante di Scarlett Johansson in Her.

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Questa voce è stata pubblicata il 8 novembre 2014 da in Autori, Editori, Eggers, Dave, Mondadori con tag , , , .

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