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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Il paradosso del controllore – Gonzalo Hidalgo Bayal

paradosso del controllore

IL PARADOSSO DEL CONTROLLORE
Gonzalo Hidalgo Bayal
Traduzione di Daniela Simula e Simonetta Nove
Edizioni Socrates 2014

Autore sconosciuto, questo è l’unico titolo di Bayal tradotto in italiano, e micro casa editrice, Edizioni Socrates, mai sentita prima; incontro fortuito quindi, di quelli che 999 su 1000 passano senza lasciare nemmeno uno strascico d’ombra, e 1 volta su 1000 invece ti fermi, guardi, pieghi la testa di lato come un piccione, ti sporgi in avanti, leggi a fil di labbra “il-pa-ra-dos-so-del-con-trol-lo-re” e poi ti domandi “Che diavolo è questo libro?” come se avessi appena incontrato un aborigeno poiché la grafica editoriale non ti risulta familiare, quindi allunghi una zampa unghiata e lo afferri, delicatamente e non per riguardo verso di lui ma verso di te, caso mai sia impregnato di liquido urticante, sai mai questi aborigeni che abitudini possono avere, guardi meglio la copertina e non ti comunica nulla di rilevante, segnale piatto, immagine banale, lo volti a pancia in giù e leggi che Bayal è spagnolo, poeta, filologo, laureato in filologia romanza e poi non leggi più niente perché quelli della biblioteca hanno appiccicato la loro etichetta con codice a barre sul resto della biografia e quindi sempre a fil di labbra pronunci “Ma che cazzo!”, allora risali, trovi la solita citazione falsa che tutti gli editori riportano, questa volta da El Pais e la salti, risali ancora e finisci in un brano, leggi ma non ti colpisce; infine lo sfogli un po’ (fatelo con un ebook, miei cari, dai che voglio vedere e intanto rido) per provare a prendere confidenza, ne leggi qualche frase come quando parli per la prima volta con una persona e ne ascolti più l’intonazione della voce che non il senso delle parole; alla fine decidi.

“Voglio leggerlo”, ho sentenziato senza un motivo plausibile oltre al puro affidarsi al caso, del genere “tenta la fortuna” (lasciate perdere discorsi come “la curiosità intellettuale”, “il fascino dello sconosciuto”… tutte balle da radical chic).

E ho fatto bene. Anzi stra-bene! Grande libro Il paradosso del controllore e gran scrittore Gonzalo Hidalgo Bayal, di quelli che piacciono a me perché ostico, antipatico, scorbutico, egoista e rintanato in un angolo, “il posto dei misantropi”, per citarlo.

Insomma, se lo leggete tentate la sorte: avete il 50% di probabilità che vi risulti indigesto (e troverete motivi vari per l’acidità di stomaco) e il 50% di probabilità che vi piaccia parecchio.

Il controllore arrivò nella città una notte di novembre, in treno. In quel momento non era ancora, in alcun modo, il controllore, né aveva acquisito i diritti o la prerogativa del titolo. Si trattava solo di un anonimo viaggiatore che le circostanze del caso avrebbero poco a poco privato della condizione di viaggiatore e forestiero fino a convertirlo nel controllore, depositario esclusivo del titolo.

Così inizia Il paradosso del controllore, presentandoci il protagonista anonimo che rimarrà tale: il controllore. Ci presenta anche il luogo, anche se ancora non ce ne rendiamo conto: notturno, novembrino, una città plumbea e oscura sulla quale non sorge mai un sole che riscaldi e conforti, un panorama a tinte grigie, lordo e in via di dissoluzione, un clima umido, portatore di malattie. L’incipit ci anticipa anche lo svolgimento della storia: un viaggiatore anonimo scende da un treno giunto in stazione e viene rapito dall’impeto del caso, trascinato da circostanze imprevedibili ma incontrastabili e quindi oggetto di privazioni, questo ci viene detto immediatamente, l’uomo verrà via via privato della propria condizione, ovvero della propria definizione o descrizione, ciò che lo identifica e quindi né restituisce senso per ridursi all’insensatezza se non la dissennatezza di una conversione in una condizione a-temporale, incomprensibile e paradossale: quella del controllore privo di di ogni possibilità di controllo.

La storia si legge facilmente come metafora, è evidente: la vita dell’uomo comune che va in pezzi per circostanze casuali avverse, le certezze si dissolvono, l’illusione di stabilità svanisce e ciò che resta è solo solitudine, fragilità, disperazione e rassegnazione. Questo se vi piacciono le metafore.

Oppure la storia si etichetta facilmente come kafkiana, ovvio: da che Kafka è Kafka, ogni storia di ricerca paradossale di spiegazione che si infrange contro l’incomprensibilità del linguaggio sociale o dell’autorità costituita e quindi la progressiva distruzione psicofisica del protagonista incredulo e consapevole viene etichettata come “kafkiana”. Questo se vi piacciono le etichette.

A me non piacciono molte né le metafore né le etichette, quindi leggo solo la storia e leggendola ho cambiato idea sentendo che cambiava l’intonazione, sorprendendomi la storia ruotava, Bayal lentamente ombreggiava e inspessiva la vicenda.
All’inizio ho pensato che la scrittura fosse molto rigida, e pure la traduzione mi sembrava affettata, manualistica. Mi sembrava un raccontare ingessato in una postura artritica, una lingua quasi inespressiva, come inespressivo era il protagonista, la città, i luoghi, i dialoghi. Immaginate un uomo privo di espressione che recita un dialogo, senza intonazione, una sera buia e piovosa di novembre, in un luogo privo di contorni.

Il forestiero, nuovamente viaggiatore, raggiunse un’altra volta la stazione, e alle prime luci del giorno si trovò di fronte agli austeri e silenziosi capannoni che durante la notte si erano innalzati, enormi, come minacciose, possenti configurazioni dell’ombra.

Sentite la rigidità di questo narrare? La fatica del traduttore che stenta nell’accostare aggettivi tutti tesi a dare corpo all’ombra, che è incorporea invece. La sentite anche voi o la sento solo io?

Per questo Il paradosso del controllore è ostico inizialmente, perché non invoglia, anzi, rigetta ogni tentativo di stabilire empatia mostrandovi quell’espressione immobile di crudeltà sopita e indifferenza antica.
Poi il tono muta, lentamente, come se si sciogliesse, certo non in un sorriso o in un’espressione rilassata, questo no, si scioglie in una smorfia di dolore, in sguardi esterrefatti, suda rassegnazione, la sporcizia che il passare del tempo raccoglie su una vita umana si accumula e l’uomo anonimo acquista una sua forma perversa di vitalità, quella che è necessaria per accelerare la discesa verso il disfacimento finale.

È come se il destino già scritto, ovviamente, immodificabile e irrilevante si mettesse in moto dopo quell’unico fatto improvviso, la discesa dal treno, ha svelato la verità. Sono ruote dentate, bielle e pulegge che faticosamente si muovono, cigolando avanzano di qualche millimetro che diventano centimetri prendono velocità finché l’orribile ingranaggio della vita inizia a rotolare con un fragore cupo che significa solo una cosa: non ci sono freni che potranno rallentarlo.
Cambia il tono della narrazione, io ne do merito a Bayal e anche alle due traduttrici, bravissime in realtà, a mettere a servizio degli ingranaggi della storia le articolazioni del polso che trascrive, rendendole fluide, quasi aprendosi all’inevitabile conclusione.

Due pastori raccontarono di averlo visto andare lungo i binari al ritmo di un lento, con la cadenza di uno stonato paso doble. Giunse così al passaggio a livello, si sistemò nella casupola del guardiano e prese possesso dell’abitazione. Poi chiuse la strada su entrambi i lati con e catene, come se stesse davvero per transitare un treno, e assistette solitario all’avanzare sottile e invisibile della mattina.

Bello. C’è forse un po’ di Saer di Cicatrici nel controllore di Bayal, e questo, se pure fosse solo uno strascico d’ombra del grande Saer, per me vale oro.
Spero molto che vengano tradotti anche gli altri suoi libri.

2 commenti su “Il paradosso del controllore – Gonzalo Hidalgo Bayal

  1. simonetta nove
    25 marzo 2015

    oh la fatica c’è stata! ma ne valeva pena. grazie! simonetta nove

    • 2000battute
      25 marzo 2015

      sono particolarmente contento che proprio questo libro le sia piaciuto, io aspetto molto che vengano pubblicati altri titoli

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