«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
LA FURIA DEL MONDO
Cesare De Marchi
Feltrinelli 2006
Libro questo che richiama aggettivi importanti, pesanti e pensosi, quasi ponderosi. Libro che si erge come uno sperone di roccia, granitico, imponente tra le stampe italiane contemporanee. Libro rugginoso e nebbioso, dalle pagine spesse e l’inchiostro denso. Libro tedesco di autore italiano, ma da lungo tempo in Germania. Libro austrogermanico di spirito, stile e respiro. Libro di altri tempi, non degli anni Duemila, forse nemmeno del Novecento, al più del primo Novecento, ma io direi più libro Ottocentesco.
Se mi capitasse di incontrare Cesare De Marchi, se ne avessi la fortuna, intendo, perché chiunque incontri Cesare De Marchi ha di fronte un grande scrittore italiano e per questo può dirsi fortunato, oltre a stringergli la mano vorrei fargli una domanda su La furia del mondo, una sola penso, ma questa vorrei davvero fargliela, perché io continuavo a ripetermi che sentivo un’eco lontana mentre lo leggevo, remotissima, dal profondo dei miei anni, quando arrivo all’ultimo capitolo, il ventiduesimo, prima dell’epilogo e questo si apre così:
Tarda estate: odorosa, calda, accecante.
Ho sorriso pensando all’eco delle mie memorie e a Cesare De Marchi.
Mi tolga la curiosità signor De Marchi, la prego sia sincero, ma lei, quell’incipit all’ultimo capitolo, voglio dire, lo sa cosa intendo, lei non l’ha scritto a caso, vero? Ha citato la fonte, l’ispirazione, il grande Stifter e quel libro monumentale che è Tarda estate che io non ricordo cosa succede, sono passati decenni, ma ricordo mentre lo leggevo e che scorre placido e inesorabile, come un tiro di buoi, vero? anche lei l’ha scritto del tiro di buoi, e a me sembrava che ci fosse quell’eco, la prego, me la tolga la curiosità, non è possibile che sia una coincidenza quell’incipit, La furia del mondo è una Tarda estate scritta un secolo e mezzo dopo, ed è impressionante come ci sia riuscito a tenere quel tono particolare di Stifter, sempre sul filo del rasoio, tra noia e indolenza, senza cadere mai e invece percorrendo quell’unica traccia possibile con il respiro dell’ineluttabilità del destino, la tragica parabola di una vita, un sentiero che si perde tra i sassi mentre procede nella furia del mondo. La prego, signor De Marchi, mi dica se è solo una mia immaginazione oppure ho ascoltato la musica che ascoltava anche lei.
Pazienza se non mi risponde. A me piace pensare che sia così e piaceva sentire l’eco di Tarda estate mentre leggevo La furia del mondo. Ma questa è solo la mia eco.
La furia del mondo è un grande libro. Si intrecciano due storie, il ragazzino contadino Abel e il pastore evangelico Radebach, una è la storia di una sensibilità nata nel luogo sbagliato al tempo sbagliato, l’altra una sensibilità in cerca del luogo giusto e del proprio tempo. Abel incarna la tragedia di un destino dal quale niente e nessuno può salvarlo. Radebach invece incarna l’uomo il cui proprio destino lo plasma con le proprie insicurezze, il proprio egoismo, le proprie illusioni e le proprie condanne. È un personaggio angelico Abel, un angelo esile nel corpo e fragile nello spirito, un angelo sporco di fango, ma innegabilmente destinato a volare, almeno per un poco, sopra di tutti. Radeback, il pastore di anime, la guida spirituale, il marito devoto di moglie innamorata e perfetta, di bellezza e spirito, è invece l’essere umano che dubita, si pente, riconosce sbagli e cambia idea, da cattolico a protestante, dalla mondanità romana alla ruvida campagna tedesca. Abel è il bambino, puro, vittima, solo. Radebach è uomo, che come tale, pur condividendo amore e devozione con la moglie Annette, per le proprie scelte la costringe alla vita ritirata del villaggio rurale. Abel e Annette sono vittime di Radebach. In realtà è il destino che gioca le carte, è la furia del mondo che spazza le vite di tutti i protagonisti.
Finora ero abituato, da uomo di ragione e ancor più da uomo di fede, a chiedermi sempre di fronte a qualsiasi evento, che posto o che funzione gli spettasse in un disegno più ampio, e credevo di vedere nella storia umana in grande come pure nella piccola storia di ciascun individuo, qualcosa come un filo provvidenziale che l’attraversa tutta da un capo all’altro; non sapevo e non so tuttora concepire la gratuità assoluta: la mia mente esige che il mondo abbia un disegno, in cui con una specie di dolce necessità vadano a disporsi le cose e i fatti che lo costituiscono. […] Un tempo ero riuscito a persuadermi che quanto mi accadeva non fosse privo di senso, e che in ogni mio stato si contenesse un dovere da compiere. Oggi ho come una vertigine di irrealtà nell’accorgermi che l’impalcatura di forme concetti e perfino sentimenti in cui avevo creduto di racchiudere il mondo, è rimasta vuota; peggio, che il mondo se ne va in balia di una forza instabile e casuale.
Un libro importante, opaco, pietroso, difficile da leggere per il passo lento che impone e ancor più difficile da concepire nella sua inattualità stilistica e respiro penetrante. Un libro che se respirate vi si deposita nella memoria.
Nota: voglio ringraziare moltissimo Domenico Fina il cui commento a un libro di De Marchi che mi aveva deluso mi ha convinto a non abbandonare De Marchi e a leggere La furia del mondo. Grazie davvero per avermelo detto e bravo io ad averti ascoltato.
grande libro. Come scrivi un’opera dal respiro ottocentesco eppure una delle migliori del nuovo millennio.
A De Marchi quando lessi il libro, ho scritto due email alle quali ha gentilmente risposto. Hai ben detto, lui nei riferimenti e nell’indole è vicino alla letteratura tedesca, di fine ottocento, è traduttore fra gli altri di Theodor Fontane. Effi Briest, quel gran capolavoro è un altro di quei romanzi che si inseriscono come La furia del mondo, nei romanzi in cui il mondo soffoca il protagonista, gli toglie aria, infatti Effi Briest, leggiadra fanciulla, figlia del’aria, all’inizio del libro subirà via via la furia, stupida, del mondo. Lo stesso accade anche al protagonista de La vocazione, altro romanzo significativo di De Marchi, una furia del mondo dei nostri giorni, con un finale piuttosto spiazzante e strano. Bello e da leggere ma non con l’ampiezza e la necessità del capolavoro che è La furia del mondo.
Grazie a te per le belle letture che fai e che sai illustrare da vero amante della letteratura.
Un consiglio di lettura che, per più ragioni, è nelle mie corde. Grazie!